Academic literature on the topic 'Concorrenza tra ordinamenti giuridici'

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Journal articles on the topic "Concorrenza tra ordinamenti giuridici"

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Menis, Claudio. "Les rapports entre le droit communautaire et la nouvelle loi italienne relative à la protection de la concurrence." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 79–92. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344974.

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Abstract:
Abstract La nuova legge italiana sulla concorrenza s’inserisce in un contesto economico e giuridico caratterizzato dall’esistenza del diritto comunitario della concorrenza, che è applicable a tutti i comportamenti delle imprese che producono effetti nella Comunità economica europea.Il diritto comunitario non esclude che gli Stati membri introducano leggi nazionali per la protezione della concorrenza, che anzi possono coesistere legittimamente con il diritto comunitario e anche svolgere un ruolo importante in seno alla Comunità.Pertanto, è utile esaminare quale sia l’incidenza del diritto comunitario della concorrenza sulla legge italiana e, inoltre, quale sia il ruolo che la legge italiana può svolgere per contribuire ad assicurare il buon funzionamento del mercato comune.In primo luogo, è necessario esaminare i rapporti tra gli articoli 85 e 86 del Trattato CEE e i diritti nazionali della concorrenza.Tali articoli si applicano esclusivamente ai comportamenti delle imprese che sono suscettibili d’influenzare gli scambi commerciali tra Stati membri. Essi non hanno quindi il compito di sostituirsi ai diversi diritti nazionali della concorrenza ma, al contrario, lasciano aperta agli Stati membri la possibilità di emanare norme specifiche per il controllo delle imprese i cui comportamenti hanno effetto nei rispettivi territori nazionali.Peraltro, secondo quanto ha stabilito nel 1969 la Corte di Giustizia delle Comunità europee, l’applicazione parallela del diritto comunitario e del diritto nazionale non può essere ammessa che nella misura in cui non pregiudichi l’applicazione uniforme, in tutto il mercato comune, delle norme comunitarie.Tra i diversi casi possibili, quelli in cui le autorità nazionali possono agire sono sia il caso in cui la Commissione abbia ritenuto di vietare gli accordi o le pratiche in discussione, ed in cui un divieto a livello nazionale potrebbe contribuire ad elevare le sanzioni nei riguardi dell’impresa incriminata (pur tenendosi conto del fatto che per motivi di equità le sanzioni cumulate non possono superare un certo livello), sia il caso in cui la Commissione abbia dichiarato che un accordo o una pratica non rientrano nel campo d’applicazione degli articoli 85 o 86; in quest’ultimo caso, secondo la dottrina prevalente, un’attestazione negativa non priverebbe le autorità nazionali del diritto di applicare la loro legislazione sulla concorrenza. Un caso analogo è quello in cui la Corte, con una speciale lettera amministrativa (lettre de classement), abbia espresso l’opinione di non dover intervenire in applicazione dell’art. 85, e nel quale le autorità nazionali possono applicare le loro norme più ristrette.Per quanto riguarda, poi, il regolamento comunitario attinente alle concentrazioni nei suoi rapporti con i diritti nazionali di concorrenza, esso non determina il suo campo di applicazione sulla base dell’influenza esercitata sugli scambi tra Stati membri, ma in funzione del criterio della dimensione comunitaria dell’operazione di concentrazione. In questo caso, contrariamente a quanto accade per l’applicazione degli articoli 85 ed 86 del Trattato CEE, viene escluso qualsiasi intervento dei sistemi nazionali nei riguardi delle concentrazioni di dimensione comunitaria (con due eccezioni: quando la concentrazione rischia di determinare una «posizione dominante” all’interno di uno Stato membro e quando uno Stato membro intenda assicurare la protezione di interessi legittimi che non sono tutelati dal regolamento comunitario).Gli Stati membri possono, invece, applicare la loro legislazione alle concentrazioni che non abbiano dimensione comunitaria.Tutto quanto precede riguarda i rapporti tra normative CEE e diritti nazionali degli Stati membri. Vediamo adesso la posizione della legge italiana con riguardo al diritto comunitario della concorrenza.A questo riguardo, vi sono alcune difficoltà interpretative. Infatti, secondo il primo comma dell’art. l della legge, quest’ultima si applicherebbe alle intese, agli abusi di posizione dominante ed alle concentrazioni d’imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie. Pertanto, l’Autorità italiana, dopo aver constatato che un caso sottopostole non rientra nell’ambito di applicazione della legge, ne informa la Commissione delle Comunità europee, trasmettendole tutte le informazioni in suo possesso.Se ci si attenesse, quindi, ai due primi’ paragrafi, si potrebbe ritenere che la legge italiana non possa mai essere applicata a casi che rientrano nella competenza del diritto comunitario della concorrenza; tale limitazione del diritto italiano della concorrenza, come si è visto, non è richiesta dal diritto comunitario (salvo per le concentrazioni di dimensione comunitaria).Il terzo paragrafo dell’art. 1, tuttavia, sembra introdurre un’eccezione a questa limitazione, affermando che, per quanto riguarda i casi per i quali la Commissione delle Comunità europee ha gia iniziato una procedura, l’Autorità italiana deve sospendere l’istruttoria, «salvo per gli eventuali aspetti di esclusiva rilevanza nazionale».Due interpretazioni sono possibili: che gli «aspetti di esclusiva rilevanza nazionale” si riferiscano soltanto a comportamenti che non sono suscettibili d’influenzare gli scambi tra Stati, oppure che si riferiscano anche a comportamenti che possono influenzare tali scambi e, di conseguenza, la legge italiana potrebbe applicarsi anche a comportamenti che rientrano nel diritto comunitario della concorrenza. In quest’ultimo caso potrebbe esservi un’applicazione parallela dei due ordinamenti della concorrenza, sempre con il rispetto del primato del diritto comunitario (salvo che per le concentrazioni di dimensione nazionale).Sara compito dell’Autorità scegliere tra queste due possibili interpretazioni.
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Piliu, Salvatore. "Il diritto delle comunità umane intenzionali: nuovi ordinamenti giuridici?" Zeszyty Naukowe KUL 60, no. 3 (October 28, 2020): 349–56. http://dx.doi.org/10.31743/zn.2017.60.3.349-356.

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Abstract:
Il presente intervento si propone di analizzare dal punto di vista giuridico il nuovo fenomeno, oramai globalizzato, delle comunità umane intenzionali, con l’intento di comprendere se queste nuove tipologie di aggregazione di individui possano essere considerate come forme alternative di collettività organizzate produttive di modelli giuridici differenti rispetto a quelli tradizionali, ovvero capaci di dar vita a nuovi ordinamenti giuridici, partendo dall’assunto ubi societas, ibi ius. Partendo dalle definizioni elaborate nel campo della sociologia giuridica di comunità e di comunità intenzionali, si è poi analizzata la problematica inerente la capacità delle comunità intenzionali di produrre regole giuridiche da applicare ai componenti delle comunità. È stata poi esaminata l’organizzazione giuridica della Comunità di Damanhur, situata in Piemonte (Italia), in cui vi sono norme interne di diritto privato e di diritto pubblico che regolano la vita dei consociati, un vero e proprio sistema giuridico interno della Comunità, che pone non pochi problemi nel rapporto con il diritto italiano. Il nuovo progetto di legge presentato nel 2017 al Parlamento italiano, in merito al riconoscimento giuridico delle Comunità intenzionali, potrebbe regolare in maniera definitiva questa materia, ovvero i rapporti tra Comunità e Stato di appartenenza, con il conseguente riconoscimento della esistenza di ‘ordinamenti giuridici autonomi’ facenti capo alle Comunità intenzionali.
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Cafagno, Maurizio. "L'evoluzione delle procedure di gara, alla ricerca di un bilanciamento tra le ragioni dell'efficienza economica e le ragioni dell'imparzialità amministrativa." ECONOMIA PUBBLICA, no. 3 (November 2021): 55–80. http://dx.doi.org/10.3280/ep2021-003003.

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Abstract:
Lo scritto muove dalla constatazione che studi ed osservazioni empiriche illu-strano come la disomogenea distribuzione di informazioni tra soggetti che si tro-vano a negoziare alimenta l'incertezza e concede spazio all'opportunismo, in-nalzando i costi di transazione. Calando, però, la questione strategica della miti-gazione dell'opportunismo all'interno dei tre diversi ordini di rapporti chiamati in causa dalle negoziazioni pubbliche, ossia il rapporto tra pubblica amministrazio-ne e funzionari, tra pubblica amministrazione e concorrenti e tra pubblica am-ministrazione e contraenti, possono affiorare delle prospettive legittime che, uscendo dalle strettoie della modellistica contabile familiare alla prassi giuridica , consentano di acquisire e sfruttare nuova informazione, in corso di gara, adat-tando stime e proposte e consentendo, in tal modo, di guadagnare parecchio in termini di efficienza. In definitiva ed in sintesi, teoria ed esperienza, che trovano ampio supporto ed ispirazione nel diritto europeo, inducono a pensare che l'obiettivo di innalzare efficienza e convenienza dei meccanismi di gara postula il ricorso a modelli di-versificati, aperti a gradi variabili di flessibilità. A ben vedere il diritto europeo, assumendo il patrocinio di procedure contrattuali più aperte e di criteri di bilan-ciamento più flessibili, ispirati dall'idea che la stretta sorveglianza dei funzionari e delle amministrazioni non sia la finalità incondizionatamente prioritaria, ac-credita piuttosto l'idea che gli oneri del formalismo vadano sopportati soltanto sinché si può supporre che ne discendano benefici superiori in termini di stimolo all'intensificazione degli scambi. Lo scritto approda alla conclusione che l'efficienza vada considerata alla stregua di una variabile endogena, e non esogena, rispetto alle politiche di promozione della concorrenza. Onde, sarebbe utile convalidare anche nel nostro ordinamento un criterio di libertà delle forme procedimentali, almeno per i cosiddetti contratti esclusi, che non sempre e non necessariamente siano tenute a tradursi in procedure di gara, fatta salva la possibilità di accesso alla tutela giurisdizionale per l'aspirante che dimostri di aver subito gli effetti lesivi e discriminatori della violazione dei principi generali.
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Dammacco, Gaetano. "Riflessioni sul diritto di satira e i suoi limiti." Studia z Prawa Wyznaniowego 23 (December 30, 2020): 101–21. http://dx.doi.org/10.31743/spw.10355.

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Abstract:
La satira è un paradigma estremo della libertà di espressione, ma esistono incertezze sulla sua definizione concettuale e sulla relativa disciplina giuridica. Lo sviluppo della comunicazione ha prodotto numerose figure letterarie simili tra loro come la cronaca (una registrazione impersonale e non interpretativa di fatti accaduti), la critica (analisi soggettiva e giudizio relativi a fatti accaduti) e la satira (critica sarcastica di personaggi, comportamenti, modi di fare individuali con scopo di denuncia sociale). Gli elementi che caratterizzano la satira, sviluppatisi nel corso dei secoli, sono sostanzialmente due: attenzione alle contraddizioni (della politica, della società, della religione, della cultura) e intento moralistico per promuovere un cambiamento sociale. La satira religiosa colpisce il potere ecclesiastico e le sue contraddizioni, ma colpisce anche i simboli religiosi e i contenuti delle religioni. Ne conseguono differenti conseguenze giuridiche. Quando colpisce il patrimonio di fede dei credenti essa non è accettabile. La satira religiosa genera una specie di conflitto tra differenti valori costituzionali, e cioè tra il diritto alla libera espressione del pensiero e il diritto alla reputazione e alla tutela del sentimento religioso. Il diritto di satira in generale è riconosciuto dagli ordinamenti giuridici (sia internazionali, sia nazionali) come diritto soggettivo di rilevanza costituzionale, che deriva dalla libertà di espressione e di pensiero. Pensiero, coscienza e religione – per esempio nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – sono omologhi (come beni giuridici o valori etici). Pertanto pensiero, coscienza e religione non possono essere in contrapposizione tra loro. Notevoli incertezze esistono sulla disciplina giuridica del diritto di satira, che non può mai offendere i diritti fondamentali della persona, la sua dignità, la sua reputazione. La Carta di Nizza ha favorito un orientamento, che considera il diritto di libera espressione nella sua forma più ampia ed espansiva. È tuttavia sempre stato affermato il valore prevalente dei diritti umani fondamentali, che non possono essere offesi dall’esercizio del diritto di satira. Negli ordinamenti giuridici nazionali, la forza del diritto di satira consiste nel riconoscimento del suo rango costituzionale, ma anche nei limiti che deve avere. La giurisprudenza ha elaborato i vincoli “formali”, tra i quali i più importanti sono il limite della continenza e della funzionalità.
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Zanichelli, Maria. "Il valore dell'uguaglianza nella prospettiva del diritto." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 42 (January 2012): 33–45. http://dx.doi.org/10.3280/las2011-042003.

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Abstract:
L'uguaglianza, ideale filosofico centrale nel pensiero occidentale moderno, č divenuta un principio fondamentale degli ordinamenti giuridici attuali. La filosofia del diritto offre dunque un'angolatura privilegiata per esaminare alcuni interrogativi teorici posti da questo concetto. L'uguaglianza tra le persone č un presupposto morale o un obiettivo politico? Quale relazione intercorre fra uguaglianza e diversitÀ? Sono fatti o valori? Quali disuguaglianze sono ingiuste? Che cosa significa giuridicamente trattare le persone ‘come uguali'? Il divieto di discriminazione puň essere giustificato sulla base del principio di uguaglianza quale fondamento dei diritti individuali o quale fondamento della comunitÀ politica.
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Lacey, Eric F. "The Italian Competition Law Compared with Other OECD Countries’ Competition Laws." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 147–51. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345090.

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Abstract:
Abstract L’ltalia è il penultimo Paese membro dell’OCSE che abbia adottato una legge sulla protezione della concorrenza (adesso solo la Turchia non ha alcuna legge al riguardo).Peraltro, la legislazione vigente nei Paesi OCSE non è del tutto identica. Vi è, per esempio, una notevole differenza tra la legislazione anti-trust degli Stati Uniti, con proibizione (rafforzata da sanzioni penali) della fissazione di prezzi e di ripartizione dei mercati, ed il progetto di legge belga contro l’abuso di potere economico, che da luogo ad un tipo di controllo molto tenue.Per quanto riguarda, in particolare, le norme attinenti alle concentrazioni, l’ltalia è il quindicesimo Paese OCSE ad avere una normativa. Questo significa non soltanto che nove Paesi OCSE devono ancora convincersi dell’utilità del controllo delle concentrazioni, ma che, date le divergenze tra le diverse normative in vigore, sono anche diversi i criteri e le procedure mediante cui possono essere valutate fusioni ed acquisizioni.Si può affermare che l’impostazione della legge italiana, di carattere dichiaratamente proibitivo, quanto ad accordi restrittivi ed abuso di posizione dominante segue l’attuale tendenza dei Paesi OCSE a favore di questo metodo di controllo piuttosto che del metodo del caso per caso, che e ancora vigente nei Paesi nordici, in Irlanda e nel Regno Unito.Per quanto attiene, invece, alle concentrazioni, l’impostazione di carattere proibitivo non si estende normalmente al loro controllo. Molti ordinamenti preferiscono il sistema del «caso per caso» e così fa anche la legge italiana, anche se questa procedura richiede un giusto equilibrio tra l’esigenza di completare in tempi stretti l’indagine, per non danneggiare le imprese interessate, e l’altrettanto legittima esigenza di avere tempo sufficiente per un esame accurato. Su questo ultimo aspetto, i tempi previsti dalla legge italiana sembrano più brevi della media dei Paesi OCSE. In particolare, il periodo di tempo previsto dalla legge italiana perché l’Autorità effettui l’indagine è di quarantacinque giorni, mentre il tempo mediamente previsto nei Paesi OCSE è di tre mesi.Un elemento molto positivo della legge italiana è quello di sottoporre le concentrazioni ad una valutazione di natura strettamente concorrenziale, senza introdurre dementi di natura politica o sociale. Inoltre, in molti Paesi il Governo ha il potere di dire l’ultima parola sull’autorizzazione o meno delle concentrazioni.Bisogna anche notare che, mentre molti Paesi hanno costruito poco per volta la loro legislazione concorrenziale, partendo dagli accordi orizzontali per poi estendere il controllo all’abuso del potere di mercato e giungendo quindi al controllo delle concentrazioni, la legge italiana include tutti e tre questi tipi di restrizioni della concorrenza. Essa riguarda, inoltre, sia il mercato dei beni che quello dei servizi.La legge italiana si applicherà sia alle imprese private che a quelle pubbliche, con l’eccezione dei monopoli pubblici. Per quanto riguarda le banche e le assicurazioni, la legge italiana riserva ad essi un trattamento analogo a quello di altre leggi della concorrenza, anche se adesso sembra emergere la tendenza a restringere le esenzioni dalle leggi sulla concorrenza di cui godono questi settori.L’Autorità italiana per l’applicazione della legislazione concorrenziale ha ampi poteri di investigazione, di decisione e anche di sanzione, attraverso la comminazione di multe, nonche importanti funzioni consultive. In altri ordinamenti vi è una distinzione tra gli organi che nelle diverse fasi applicano la legislazione della concorrenza. La legge italiana, dato che l’Autorità è responsabile delle varie fasi, potrà essere applicata più facilmente, anche se si potrebbe rilevare che la distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisionali dà maggiori garanzie (in ogni caso, le parti hanno comunque diritto di ricorrere contro le decisioni dell’Autorità).L’applicazione di sanzioni, che è un aspetto essenziale del sistema di controllo, è modellata nella legge italiana sulla base della normativa CEE e sembra adeguata.Per quanto riguarda il particolare trattamento riservato alle istituzioni finanziarie, sebbene in diversi Paesi vi siano norme speciali nei riguardi delle concentrazioni bancarie (con approvazione da parte delle autorità bancarie, in sostituzione delle autorità che si occupano della concorrenza o in aggiunta all’approvazione di queste ultime), non si riscontra in altri ordinamenti una norma come quella secondo cui anche l’acquisizione di una quota del cinque per cento del capitale debba essere sottoposta ad autorizzazione. Soltanto l’Olanda, forse, ha una regola analoga, mentre l’Australia ha una regola che stabilisce un limite generale del quindici per cento per un solo investitore.Nel complesso, la legge italiana per la concorrenza sembra fornire una buona base per una efficiente politica della concorrenza. Evidentemente, tutto dipenderà dal modo in cui l’Autorità assicurerà che le norme siano effettivamente applicate, soprattutto per quanto riguarda l’art. 4 (che prevede deroghe per le intese) e l’art. 8, paragrafo 2, sulle deroghe per le imprese che forniscono servizi d’interesse economico generale. Sarebbe molto spiacevole se questa norma fosse utilizzata per non applicare la legge allo stesso modo, sia alle imprese private che a quelle pubbliche.
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Lacey, Eric F. "Some Comparative and Contrasting Features of OECD Countries’ Competition Laws*." Journal of Public Finance and Public Choice 7, no. 1 (April 1, 1989): 81–87. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344703.

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Abstract:
Abstract La legislazione sulla concorrenza nei paesi OCSE presenta, nei rispettivi ordinamenti, profonde diversità, sia sostanziali che procedurali.La relativa regolamentazione riguarda, soprattutto: 1) accordi orizzontali tra imprese concorrenti, con esclusione di quelli che non sono considerati anti-competitivi, come gli accordi a fini di ricerca e sviluppo e quelli attinenti ai diritti di proprietà intellettuale; 2) accordi verticali; 3) abuso di posizione dominante (con ampie differenze, sia nella definizione di « posizione dominante » che di « abuso »); 4) fusioni e concentrazioni, con « soglie », anche in questo caso, molto diverse, ma generalmente con un uso limitato del potere di controllo delle autorità, per evitare interferenze con il mercato.Le procedure per l’applicazione della liquidazione sono caratterizzate in tutti i paesi OCSE dalla distinzione tra l’attività investigativa e quella decisionale, ma gli organi preposti possono anche essere numerosi (come nel Regno Unito), con conseguenti complicazioni.
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Howe, Martin. "Reflections on the Italian Law for the Protection of Competition and the Market." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 135–45. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345081.

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Abstract:
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato è oggetto di grande interesse nel Regno Unito, a motivo dell’intenzione del governo di modificare il sistema britannico di regolamentazione della concorrenza, soprattutto per quanto riguarda i cartelli.La nuova legge deve ancora essere presentata, ma un libro bianco è stato preparato dal governo.La necessità di cambiare la legislazione al riguardo è emersa, in parte, perché essa è piuttosto antica (la prima legge è del 1948) e per vari aspetti inefficace, ed in parte per la difficoltà di conciliarla con la regolamentazione comunitaria.L’industria britannica teme che la diversità tra sistema nazionale e sistema comunitario di tutela della concorrenza possa tradursi in procedure concorrenti e con risultati discordanti, cosa che metterebbe in svantaggio le imprese britanniche rispetto a quelle degli altri partners comunitari.È rimarchevole il fatto che la legge italiana sia non soltanto modellata sulla base della legge comunitaria, ma che essa affermi che la legge nazionale non sarà applicata quando la Comunità europea abbia giurisdizione.Nel Regno Unito, invece, si insiste sulla possibilità di compiere indagini a livello nazionale, pur accettando il primato della legislazione comunitaria, in caso di contrasto. Si ammette che pratiche o accordi vietati dalla Commissione non possono essere consentiti, ma si sostiene che possono essere vietati, a livello nazionale, accordi e pratiche ammessi a livello comunitario.Peraltro, l’apparentemente chiara distinzione contenuta nella legge italiana tra i compiti della legislazione nazionale e quelli della legislazione comunitaria rischia di venir meno tutte le volte che i due ordinamenti interpreteranno le leggi in modo diverso. Questa possibility era stata alla base dell’opposizione del Regno Unito al conferimento alla Commissione europea della giurisdizione esclusiva per le fusioni di «dimensione comunitaria».Il sistema britannico è basato sul concetto di «interesse pubblico», che è per sua natura impreciso, anche se esso viene applicato in modo pragmatico e flessibile, cosa da non sottovalutare se si tiene conto del fatto che in questo campo le opinioni convenzionalmente accolte possono cambiare.Vi sono tuttavia numerosi vantaggi in un sistema che, come quello italiano, è basato su proibizioni, e di essi tiene conto il libro bianco governativo: dà messaggi più chiari alle industrie su cosa sia consentito, conferisce poteri investigativi più precisi all’Autorità della concorrenza e può anche stabilire sanzioni per comportamenti illegali, con possibili effetti deterrenti.L’Autorità italiana dovrebbe dare assoluta priorità alla eliminazione degli accordi decisamente anti-concorrenziali, come quelli diretti alla fissazione dei prezzi, alle domande ed offerte concordate, ed alla suddivisione del mercato. Si tratta di accordi che hanno raramente una giustificazione di carattere efficientistico o di altra natura.I cartelli su cui è necessario concentrarsi sono quelli di carattere orizzontale, mentre i cartelli verticali non sembrano rilevanti, almeno di regola. Pertanto, l’avere inserito anche i cartelli verticali nella legislazione italiana (conformemente a quella europea) complica molto il lavoro dell’Autorità (a motivo dell’intenso lavoro burocratico che ne conseguira) senza effettivamente contribuire alla tutela della concorrenza, che potrebbe in questo caso avvenire attraverso il ricorso alla categoria dell’abuso di posizione dominante.Per quanto riguarda le concentrazioni, sebbene quelle orizzontali siano il modo più semplice mediante cui si può giungere all’abuso di posizione dominante, bisogna riconoscere che esse costituiscono una parte molto controversa della politica della concorrenza. Vi è il problema di stabilire le dimensioni della concentrazione da sottoporre a controllo, nonché quello della prevalenza di altre considerazioni, attinenti, per esempio, alla promozione dello sviluppo regionale, rispetto ai principii della concorrenza.A proposito delle concentrazioni, bisogna distinguere il caso in cui le attività in questione siano esposte alla concorrenza internazionale da quello in cui non lo siano. In quest’ultimo caso, gli effetti delle concentrazioni devono essere esaminati con attenzione maggiore, per verificare se possano aver luogo benefici sotto il profilo di una maggiore efficienza o sotto altri aspetti. Si tratta, comunque, di valutazioni molto complesse, che non possono risolversi con una semplice formula circa il tasso di concentrazione.La repressione dell’abuso di posizione dominante è indubbiamente una parte essenziale della legislazione per la tutela della concorrenza. Tale è quindi anche nel Regno Unito, dove peraltro l’inesistenza di proibizioni rende difficile ottenere effetti deterrenti. Peraltro, un limite all’accoglimento del sistema previsto dall’art. 86 del Trattato CEE (così come del corrispondente articolo 3 della legge italiana) è costituito dalla difficoltà di definire l’«impresa dominante” e, ancor più, l’«abuso», con la conseguenza che si rischia di rendere ancora più difficile la vita delle imprese, che si troverebbero di fronte al divieto di compiere atti «illegali” che non sono precisamente definiti.Sebbene siano state numerose nel Regno Unito le indagini in materia di abuso di posizione dominante, nella maggior parte dei casi esse hanno condotto alla conclusione della loro infondatezza. È probabile che l’Autorità italiana abbia esperienze analoghe.Per quanto possano essere diverse, da Paese a Paese, le leggi sulla concorrenza e gli stessi ordinamenti, nonché i sistemi economici e sociali, è sorprendente la somiglianza tra i problemi che le autorità responsabili della tutela della concorrenza si trovano di fronte.
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Da Re, Antonio, and Andrea Nicolussi. "Raccomandazioni controverse per scelte difficili nella pandemia. Appunti etico-giuridici su responsabilità dei medici e linee guida." Medicina e Morale 69, no. 3 (November 3, 2020): 347–70. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2020.707.

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Abstract:
Il saggio sviluppa alcune riflessioni di carattere giuridico ed etico sul rapporto tra responsabilità medica e linee guida che nel tempo hanno assunto particolare rilievo in molti ordinamenti giuridici. Le situazioni straordinarie derivanti dalla pandemia hanno reso ancora più delicata la questione, da un lato per via della mancanza di linee guida vere e proprie e dall’altro lato per il proliferare di raccomandazioni di vario genere e provenienza che hanno generato anche confusioni. Tra queste raccomandazioni hanno avuto un particolare clamore le raccomandazioni etico-cliniche della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI). Esse hanno dato avvio alla pubblicazione di raccomandazioni sul medesimo tema in molti altri Paesi e il saggio dà conto delle più rilevanti. Si sofferma tuttavia sul documento italiano, perché può essere considerato il modello di linea guida, imitata anche in altri documenti segnalati, nella quale viene previsto un limite d’accesso alle terapie intensive basato sul criterio aprioristico dell’età. Ciò pone il problema non solo della eticità di un simile criterio ma anche della competenza di una società scientifica a prevedere regole che possano ledere gravemente diritti fondamentali. Il saggio critica il criterio aprioristico ed extraclinico e propone al suo posto un criterio clinico integrato in funzione delle situazioni di scarsità di risorse e di emergenza. Tale criterio integrato sarebbe più rispettoso della competenza dei medici e valorizzerebbe la loro professionalità, senza invadere l’ambito e la competenza delle scelte politiche che spettano alle istituzioni democratiche.
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Charrier, Guy. "Parallèle entre la loi italienne pour la protection de la concurrence et le système français." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 103–15. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345045.

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Abstract:
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato presenta una notevole analogia, sia nei concetti che nei principali meccanismi applicativi, con le principali legislazioni dei Paesi membri della CEE e soprattutto con quelle che sono state introdotte negli anni più recenti.Il campo d’applicazione riguarda, almeno in principio, tutti i settori di attività, sia nel sistema italiano che in quello francese, poiché nessuna deroga è prevista, salvo per alcune particolari attività, come gli audio-visivi, la stampa, le banche e le assicurazioni.Questa estensione del campo di applicazione della legislazione si spiega con il fatto che essa riguarda tutte le pratiche anti-concorrenziali che vadano a detrimento del buon funzionamento del mercato e che tali pratiche siano suscettibili di provenire da tutti gli operatori economici.In Francia, peraltro, vige una distinzione tra comportamenti diretti a falsare il mercato, e che ricadono sotto le categorie di cartelli e di abuso di posizione dominante, di cui si occupa il Consiglio della concorrenza, e le pratiche restrittive, come il rifiuto di vendere, la subordinazione delle vendite, le discriminazioni e l’imposizione di prezzi, che sono di competenza dei tribunali perché in principio riguardano soltanto i rapporti tra imprese.Un secondo aspetto riguarda l’applicazione delle regole della concorrenza alle persone pubbliche. In principio, le disposizioni della legge italiana circa le imprese pubbliche (art. 8) e quelle della legge francese (art. 53) rispondono soltanto in parte alla questione. Nel diritto francese, quando una persona pubblica agisce da privato, è sottoposta alle leggi che riguardano il comportamento dei privati. Una difficoltà sorge, invece, quando questa persona pubblica, agendo nell’ambito dei suoi poteri, genera sul mercato effetti che danneggiano la concorrenza. Una recente sentenza del Tribunale dei conflitti ha concluso che le regole della concorrenza non si applicano alle persone pubbliche se non nella misura in cui esse diano luogo ad attività di produzione (di distribuzione o di servizi).La legge italiana non dà alcuna definizione del concetto di concorrenza nè dà alcun elemento che ne consenta la giustificazione economica. Altrettanto avviene con la legge vigente in Francia, ove sono i testi delle decisioni che forniscono indicazioni al riguardo.Il principio generate del divieto dei cartelli, come anche l’elenco dei casi suscettibili di costituire intese di carattere anti-concorrenziale, sono presentati in modo molto simile sia nella legge italiana che in quella francese. Ambedue riprendono, d’altronde, la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma.Tutto fa pensare che l’Autorità italiana si troverà di fronte a casi analoghi a quelli di cui si è in varie occasioni occupato il Consiglio della concorrenza francese: cartelli orizzontali (accordi sui prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sull’esclusione di un’impresa del mercato, ecc.); intese verticali (risultanti da accordi tra un produttore ed i suoi distributori nell’ambito di contratti di distribuzione selettiva o esclusiva); imprese comuni (la cui creazione può rientrare nel campo della proibizione di cartelli o costituire un’operazione di concentrazione); intese tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (nel quadro dei mercati pubblici, il Consiglio ha ritenuto che non sia contrario alle norme concorrenziali, per imprese con legami giuridici o finanziari, rinunciare alla loro autonomia commerciale e concertarsi per rispondere a delle offerte pubbliche).Sull’abuso di posizione dominante, così come per i cartelli, i due sistemi italiano e francese presentano molte somiglianze. Tuttavia, contrariamente al diritto francese ed a quello tedesco, nella legislazione italiana non si fa alcun riferimento alle situazioni di «dipendenza economica». Peraltro, l’identificazione di questo caso è alquanto complessa e, sinora, il Consiglio non ha rilevato alcun caso che rientri nello sfruttamento abusivo di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, si può forse concludere che il legislatore italiano sia stato, a questo riguardo, più saggio di quello francese. Più in generale, per quanto riguarda i casi di abuso di posizione dominante, il Consiglio deBa concorrenza ha seguito un’impostazione piuttosto tradizionalista.Anche sul controllo delle concentrazioni, il testo della legge italiana richiama quello francese e anche quello della normativa comunitaria, pur se è diversa la ripartizione delle competenze tra Autorità incaricata della concorrenza e Governo. Nella legge italiana, d’altra parte, vi sono delle norme relative alla partecipazione al capitale bancario che fanno pensare ad un dibattito molto vivo su questo tema.I livelli «soglia” per l’obbligo di notifica delle concentrazioni sono più elevati in Francia. Bisognerà poi vedere con quale frequenza il Governo italiano farà ricorso all’art. 25, che gli conferisce il potere di fissare criteri di carattere generale che consentono di autorizzare operazioni di concentrazione per ragioni d’interesse generale, nel quadro dell’integrazione europea.L’interesse delle autorità amministrative francesi nei riguardi delle concentrazioni, che un tempo era molto limitato, è divenuto più intenso negli anni più recenti, anche se i casi di divieto di concentrazioni sono stati sinora molto limitati.In conclusione, si può ricordare che un organismo competente in materia di protezione della concorrenza ha un triplice compito: pedagogico (attraverso la pubblicazione delle decisioni, delle motivazioni e delle ordinanze su questioni di carattere generale e sui rapporti attinenti al funzionamento del mercato), correttivo (per distogliere gli operatori economici da comportamenti anti-concorrenziali) e, infine, dissuasivo (poiché l’esperienza di applicazione delle leggi relative alla concorrenza dimostra che la loro efficacia dipende in modo decisivo dalla comminazione di sanzioni).
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Dissertations / Theses on the topic "Concorrenza tra ordinamenti giuridici"

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MAGLIANO, ROSANNA. "OPA, efficienza del mercato e concorrenza tra ordinamenti giuridici." Doctoral thesis, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", 2010. http://hdl.handle.net/2108/1408.

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Abstract:
Scopo del presente lavoro è l’individuazione nella normativa sulle offerte pubbliche d’acquisto di una serie di norme che sembrano accentuare le problematiche connesse alla c.d. “ concorrenza tra ordinamenti”. Ancor prima della valutazione dell’impatto della c.d. direttiva opa sul nostro ordinamento si è tentato di valutare il provvedimento in funzione degli interessi perseguiti dal legislatore comunitario, scegliendo di non tralasciare il rapporto potenzialmente conflittuale che di fronte ad una scalata ostile possa instaurarsi tra tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nell’operazione. Si è evidenziato che in un primo momento il legislatore domestico ha scelto di mantenere una linea di continuità con la disciplina già adottata dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e non si è avvalso della facoltà prevista nella direttiva di rendere opzionali gli istituti più discussi quali la passivity rule e la regola di neutralizzazione. In seguito tuttavia, dichiaratamente a causa del sopraggiungere della crisi economica mondiale, si è rinunciato ad una regolamentazione imperativa dell’obbligo di passività per gli amministratori e si è preferito lasciare alle singole società la facoltà di modulare le misure difensive da attuare per fronteggiare una eventuale opa sgradita o comunque non previamente concordata. Questo intervento straordinario merita una attenta riflessione in quanto, pur potendo apparire giustificato nell’ambito della grave crisi finanziaria venutasi a creare, può al contempo generare una pericolosa chiusura degli assetti societari e determinare, nel lungo periodo, una perdita delle capacità attrattive del nostro sistema economico. Peraltro, in seguito alle reazioni negative della dottrina e delle Autorità competenti, il legislatore è tornato ancora a modificare la normativa in materia: con l’ultimo provvedimento torna nella legislazione speciale la passivity rule ma viene fatta salva la possibilità per le singole società di derogarvi attraverso una misura c.d. di opting-out statutario. Alla luce degli interessi coinvolti è sembrato, pertanto, opportuno verificare se le misure adottate risultassero proporzionate rispetto agli obiettivi da raggiungere o se, invece, le stesse fossero eccessivamente gravose per un mercato del controllo societario che voglia restare contendibile: in particolare ci si è soffermati sul rischio che venga definitivamente compromessa anche la libera concorrenza tra imprese come valore del nostro ordinamento . Il riferimento ultimo è a tutte quelle misure nazionali che, attraverso la previsione di poteri speciali in favore delle autorità pubbliche, rafforzano la posizione di queste ultime nella compagine sociale alterando così le pari opportunità. La direttiva, contravvenendo a quello che avrebbe dovuto essere un obiettivo per un provvedimento che si ponga nel solco delle misure di armonizzazione del diritto societario europeo, considera valido l’assunto per cui tali poteri dovrebbero essere compatibili con la disciplina dei Trattati e non risolve il problema di una loro neutralizzazione in relazione alle operazioni di acquisizione. Le pari opportunità tra imprese, sotto il profilo che qui interessa, possono essere alterate in quegli ordinamenti in cui siano presenti quelle peculiari “misure antiacquisizione” costitutive delle clausole che riservano allo Stato il diritto di esercitare poteri speciali nelle società in contrasto con il principio “one share one vote”. Garantire alle autorità pubbliche tali poteri, come avviene nella legislazione di alcuni Stati membri, costituisce non solo un ostacolo ai meccanismi di ricambio del controllo basati sul mercato ma anche al libero movimento dei capitali e al diritto di stabilimento. La libertà di stabilimento delle persone giuridiche, prevista nel Trattato e faticosamente resa effettiva attraverso significative pronunce della Corte di Giustizia, deve essere garantita anche nell’acquisizione del controllo di società che abbiano sede statutaria in diversi Stati membri. La possibilità aperta dalla direttiva di rimettere ai singoli legislatori la scelta circa l’adozione delle misure di passivity rule e neutralizzazione ha reso invece incredibilmente variegato il ventaglio di possibilità che potrebbero prospettarsi alle società: la disciplina delle opa sarà in tal modo diversamente modulata non soltanto tenendo conto della normativa adottata dallo Stato in cui la società abbia la propria sede legale ma anche in conseguenza delle autonome e reversibili scelte dei soci. La convergenza sulle scelte di principio non ha condotto, ma sembra in maniera consapevole, ad una reale armonizzazione e ha rivelato la permanenza di lacune in relazione alla tutela dei piccoli investitori e dei risparmiatori in genere. Colmare tali vuoti richiede il ricorso alla legislazione dei singoli Stati membri, così accentuando una nuova concorrenza tra sistemi normativi. Il rischio che sembra prospettarsi è che l’ordinamento comunitario, che con tanta fatica si è affermato, perda il suo ruolo propulsivo nei confronti delle legislazioni dei singoli Stati per ridursi a controllore di normative in concorrenza tra loro.
The aim of this work is to identify within the provisions concerning the takeover bids a series of rules that seem to increase the problems dealing with the so-called “competition between systems”. Before trying to evaluate the impact of the so-called takeover bid directive on our system, we tried to evaluate the provision on the basis of the interests the EU legislator was pursuing. We decided not to leave out the potentially conflictual relation that may be created among all the parts involved in the operation during a hostile share raid. It was highlighted that in the beginning, the domestic legislator chose to follow a principle of continuity with respect to the discipline already adopted by means of the legislative Decree dated Feb. 24th 1998, n. 58 and the legislator did not use the possibility indicated in the directive to make the most controversial institutions, such as the passivity rule or the breaktrough rule, optional. Following the world economic crisis, each single company was allowed to modulate the defensive measures to be taken in order to face a possible undesired takeover bid or, in any case, one that was not previously agreed on. It is to be thoroughly deemed such as an extraordinary intervention, since, even if it may seem justified within the extremely serious financial crisis we are presently living, at the same time, it can lead corporate structures to close dangerously, thus making our economic system lose its attraction capacities in the long run. Moreover, following the negative reactions of the doctrine and the competent Authorities, the legislator modified the provisions on the matter again: thanks to the last measure adopted, the passivity rule comes back into the special legislation, but each single company can repeal in part by means of a measure called statutory opting-out. Due to the interests involved, it seemed it appropriate to verify whether the measures taken were proportionate to the goals to be achieved or if, instead, they were too burdensome for a market of corporate control willing to be contestable: it was taken into account the risk of permanently compromising also the free competition between undertakings, as one of the values of our system. The ultimate reference goes to those national measures taken that, through special powers given to the public authorities, reinforce the position of the latter in the social structure, thus altering the equal opportunities. The directive, by disregarding what should have been one of the goals for a provision in line with the harmonizing measures in the European corporate law, considers as a valid assumption the idea that such powers should be compatible with the discipline of the Treaties and such provision does not solve the issue of their neutralization with respect to takeover operations. Equal opportunities between undertakings, in the perspective presented in this work, may be altered in some systems where peculiar “anti-takeover measures” are in the provisions giving the State the right to exert special powers in those companies contrasting with the “one share one vote” principle. Ensuring the public authorities such powers, as some of the EU member States do in their legislations, is not only an obstacle to the mechanisms of market-based control turnover, but also to the free movement of capitals and to the right to establishment. The freedom of establishment of legal entities, provided for in the Treaty and made effective ponderously through relevant decisions of the Court of Justice, must be granted also in the control takeover of companies having their statutory headquarters in different member States. The directive has given the possibility to each single legislator to choose whether to adopt the passivity rule and neutralization measures, thus widening up the range of scenarios companies may have to face: therefore, the takeover bid discipline will be modulated differently according to the provisions in force in the State where the company has its registered office, but also as a consequence of the autonomous and reversible choices of the shareholders. The convergence on the criteria did not lead, apparently consciously, to a real harmonization and revealed some persisting lacks concerning the protection of small investors and savers in general. In order to plug such gaps each single member State must appeal to their legislations, thus emphasizing the competition between legislative systems. The EU rules, whose establishment was hard to achieve, may run the risk of losing their driving role with respect to the legislation in each single State and the afore mentioned rules may end up controlling provisions competing with each other.
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LANZA, Elisabetta. "LA CONCORRENZA NEGLI ORDINAMENTI COSTITUZIONALI. PROFILI DI COMPARAZIONE TRA ITALIA E STATI UNITI D’AMERICA." Doctoral thesis, Università degli studi di Ferrara, 2012. http://hdl.handle.net/11392/2389255.

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Abstract:
This research aims to focus on the basis of the freedom of competition in the constitutional systems. On one hand, the thesis reconstructs the antitrust role in the constitutional framework and, on the other hand, it investigates the relationship between the antitrust enforcement and the interests of the community and of the private citizen, as a consumer. Competition is a rule of neutralization of the power and the choice of the market structure is an expression of the correlation between power and liberty. The need for a balance between authority and liberty was the reason of the adoption of the Sherman Act in the United States of America. In order to analyze the relationship between power and liberty - besides the cultural, institutional and judicial evolution of the competition in the Italian constitutional system - the thesis develops the history of the adoption of the Sherman Act. The US experience is shaped by the role of the competition regulation as an instrument of public policy and the protection of the individual fundamental rights, under a substantial and procedural perspective, through the claim of class actions: a feature also recently introduced in Italy. The thesis starts with the analysis of the introduction of the freedom of competition in Italy, from the efforts of the Constitutional framers up to the recent reform motion of Art. 41 of the Italian Constitution. Art. 41 represents the basis of the competition, even if it explicitly refers just to the freedom of economic initiative. On this aspect, the thesis thoroughly studies the relevant doctrine on the issue, and examines the Italian developments since accession to the European Economic Community and the adoption of the statute n. 287/1990. The statement of the principle of competition in the Italian constitutional structure is also the result of the long route run by the Italian Constitutional Court. For a long time, the Court considered the competition as a fact, consequent to the enforcement of the freedom of economic initiative. Step by step, the Court attributed a constitutional value to the competition. Moreover, the Court played an important role in the settlement of the boundaries between Regions and State on the legislative regulation of the competition. Indeed, the competition, as a principle intended for the neutralization of power, shows the influence of the antitrust model on the development of a democratic legal system. Therefore, in the last part of the thesis there is a comparative analysis between United States of America and Italy on some issues, having a special purport on the antitrust systems under a public law point of view, id est: the relationship between information pluralism and freedom of competition, the relationship between competition and consumer, the competition policies in the federal and in the regional system, and the repercussions of the competition model in the democratic legal system.
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RUSSETTI, DANIELE. "Abuso del diritto: principio interpretativo o categoria generale del diritto dell'unione europea." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2013. http://hdl.handle.net/10281/41955.

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Abstract:
L’abuso trova origine nella tensione tra la libertà di agire e gli scopi personali sottesi a tale agire. Lo scontro tra i suddetti elementi costituisce il terreno fertile su cui questo si innesta e cresce. Difatti, il diritto soggettivo si articola nella (lecita) possibilità di assumere un comportamento previsto dalla norma e, quindi, di poter agire per soddisfare un interesse degno di tutela a livello legislativo. Dal momento che questo, inteso come agere licere, è una facoltà “positiva”, l’ordinamento giuridico non può tollerare il perseguimento di obiettivi non contemplati dalla ratio normativa il quale si presenta come la negazione stessa di un corpus iuris. Configurandosi in termini di facoltà non soggetta ad alcuna regola, esso si pone in aperto contrasto con il principio di sistematicità e di coerenza che caratterizzano un sistema di norme. Ecco che la fattispecie dell’abuso nasce dal continuo ed inesorabile impegno da parte dell’ordinamento di riconoscere ai singoli individui, siano essi persone fisiche o giuridiche, uno spazio di libertà per il perseguimento di interessi “personali” degni di tutela da parte dell’ordinamento, senza che ciò possa sconfinare in un’azione priva di fondamento giuridico. Secondo il diritto UE, l’abuso si è posto e si pone come la sintesi del binomio libertà di azione o scelta vs scopo ultimo dell’azione o scelta. Se da un lato i Trattati istitutivi dell’UE attribuiscono ai soggetti libertà fondamentali da poter utilizzare in uno spazio giuridico senza frontiere, dall’altro si pone il problema di arginare tutti quei fenomeni in cui il formale esercizio del diritto attribuito sia del tutto incoerente con l’obiettivo della norma, dando vita a possibili forme di contrasto tra quanto concesso e, dunque, quanto effettivamente realizzato. È proprio in un’ottica di concorrenza tra gli ordinamenti, e quindi di circolazione dei modelli normativi, che si concretizza la possibilità di utilizzare il diritto per fini non coerenti con il dettato normativo, i.e. in maniera abusiva. Consapevoli di ciò, i Giudici della Corte di Giustizia, al fine di evitare un impiego distorto del diritto UE, hanno enucleato l’assunto secondo cui non è possibile utilizzare abusivamente (o fraudolentemente) il diritto comunitario/europeo. A detta di chi scrive, tale inciso deve essere giustificato alla luce di quella peculiare esigenza di individuare una clausola generale idonea a colmare le possibili lacune di un sistema particolarmente complesso come quello europeo, con inevitabili riflessi a livello nazionale. Stante il limitato ambito di applicazione delle misure interne volte a tutelare i sistemi giuridici nazionali, la Corte di Giustizia ha voluto “creare” uno strumento in grado non solo di preservare la coerenza del sistema europeo da possibili usi impropri dello stesso, ma anche di evitare che attraverso questo, si dessero vita a fenomeni di elusione o frode della disciplina nazionale. L’abuso è stato individuato ogni qual volta i singoli abbiano utilizzato le libertà di matrice europea per finalità non ammesse dalle disposizioni normative che attribuivano tali posizioni giuridiche. Inoltre, si è considerata legittima l’azione degli Stati membri di non riconoscere la fattispecie integrata dal singolo in quanto realizzata in palese violazione della sovranità delle leggi nazionali, ossia dello Stato di origine. Così facendo, l’esercizio delle disposizioni europee, eventualmente dotate di efficacia diretta, viene paralizzato, con il conseguente riconoscimento di forza cogente della norma nazionale impropriamente elusa. Il vero problema dell’abuso si pone quando ci si trovi di fronte a comportamenti individuali che corrispondono a fattispecie di esercizio di situazioni giuridiche, determinate da una norma positiva in modo più o meno dettagliato, ma in ogni caso tale da attribuire, prima facie, una precisa protezione a colui che agisce. È proprio in tali situazioni che si viene a creare quell’apparenza di legittimità del comportamento individuale, conforme alla fattispecie astratta di esercizio di un diritto contemplata dalla norma, che generalmente non corrisponde alla ratio ultima della disposizione e, quindi, del sistema giuridico europeo. La richiamata formula, e i casi in cui è stata utilizzata, fanno emergere, ictu oculi, che la nozione di abuso (nonché quella di frode!) e il correlato divieto sono legati proprio all’esercizio delle facoltà connesse alle libertà fondamentali, in particolare quando si considerino situazioni in cui si profili una diversità di disciplina normativa di determinate fattispecie tra le legislazioni nazionali. L’abuso e la frode costituiscono l’uso improprio, id est oltre i limiti, della facoltà offerta dall’ordinamento europeo di scegliere tra più alternative nell’ambito dell’esercizio delle libertà fondamentali. Ecco, dunque, che sulla base di quanto supra esposto è possibile ravvisare l’importanza del divieto dell’abuso del diritto. Coniugando la duplice veste di canone ermeneutico nonché di categoria generale del diritto dell’Unione Europea, il divieto si mostra nella sua veste di correttivo alle lacune normative del sistema giuridico sovranazionale. Assolve la funzione di risolvere i conflitti normativi, di proteggere gli spazi comuni e di garantire il continuo adattamento del diritto europeo alla trasformazione della società. La sua stabilità funzionale si lega, quindi, ad un’intrinseca dinamicità operativa, tesa da un lato a precludere l’esercizio improprio delle libertà fondamentali e dall’altro a tutelare la coerenza sistematica dell’ordinamento UE. Il divieto in questione si presta ad essere un correttivo malleabile alle imprevedibili fenomenologie abusive e, dunque, stante la peculiare natura che lo contraddistingue, si appalesa quale rimedio evolutivo inquadrabile nel novero delle metodologie anti-formali che consente una tutela effettiva dal lato sostanziale. Ecco dunque che si pone come la giusta sintesi fra il principle of construction che caratterizza la corretta interpretazione del diritto in generale, sia da parte del singolo operatore economico che da parte delle Amministrazioni nazionali, e una categoria generale di sistema che informa l’ordinamento UE. Preme sottolineare come l’essenza della richiamata clausola deve fare i conti, però, con la relativa applicazione pratica che non può tradursi in una capziosa ed ingiustificata limitazione di quella autonomia privata che caratterizza gli operatori che agiscono nel mercato interno UE. La libertà dei singoli nello scegliere le modalità più adeguate per realizzare la propria attività è imprescindibilmente collegata a quel concetto di autonomia privata tutelata sia a livello nazionale che europeo. In particolare, la facoltà di agire, avvalendosi di quanto messo legittimamente a disposizione dall’ordinamento in cui si opera, costituisce una declinazione della più generale libertà di iniziativa economica, intesa quale comportamento volontario volto alla realizzazione degli interessi del soggetto che agisce. Allo stesso tempo tale autonomia di scelta è subordinata alle legittime possibilità contemplate dal sistema giuridico di riferimento, non potendo ammettere le azioni che non risultano coerenti con le finalità che permeano tale ordinamento. Anche in questa direzione, allora, può essere valutato l’abuso del diritto e il divieto ad esso correlato. Quando si sostiene l’impossibilità di utilizzare abusivamente il diritto UE, si vuole definire indirettamente la gamma di scelte che l’ordinamento europeo reputa compatibili con gli obiettivi a cui questo tende, nel rispetto dei principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento dei singoli. In forza di ciò, il divieto sotteso all’esercizio abusivo del diritto europeo deve essere interpretato in modo da non pregiudicare i comportamenti o le operazioni legittime. La portata di tale proibizione risulta chiara: il diritto invocato da un soggetto è escluso quando l’attività posta in essere non ha altra spiegazione che quella di raggiungere impropriamente un beneficio che collide con gli scopi e con i risultati ammessi e tutelati dalle disposizioni di una determinata branca del diritto. Operazioni così siffatte non meritano di essere protette poiché si manifestano nella loro tensione di sovvertire la finalità dello stesso sistema legale in cui si collocano. Il divieto di abuso del diritto costituisce, dunque, anche una limitazione alla libertà di iniziativa dei singoli che opera quando l’esercizio di un diritto si concretizza in una fattispecie che, sebbene rispetti le condizioni normativamente poste per l’applicazione della disciplina positiva, si pone in contrasto con gli obiettivi da essa perseguiti e, al contempo, è priva di valide motivazioni idonee a giustificarla. L’autonomia privata, che ricomprende la libertà di scelta delle forme giuridiche attraverso cui realizzare i propri obiettivi, non costituisce, quindi, un dogma assoluto. Nel mercato interno questa non può essere considerata un valore intangibile in quanto trova fondamento e limite nei valori e nei principi che permeano l’ordinamento europeo. Alla luce di ciò, è possibile cogliere il precario equilibrio che caratterizza l’autonomia privata in seno all’Unione. La tutela di questa libertà non contempla quelle azioni il cui scopo è rappresentato dal raggiungimento di un vantaggio mediante comportamenti artificiosi e/o ingannevoli, privi di adeguate motivazioni che possano legittimare tali condotte; per contro, ove tale autonomia e, dunque, la sottesa libertà di iniziativa non fossero adeguatamente garantite, verrebbero compromessi gli stessi obiettivi a cui tende il sistema giuridico europeo, ossia la realizzazione e il consolidamento di uno spazio senza frontiere in cui la libertà di scelta e l’equivalenza tra gli ordinamenti giuridici ne costituiscono l’essenza. Ecco, quindi, la necessità di interpretare le azioni poste in essere alla luce dello scopo ultimo cui tendono in quanto solo così è possibile da un lato accertare la natura abusiva delle condotte e dall’altro lasciare impregiudicati i comportamenti legittimi frutto di quella libertà di scelta posta a fondamento dell’autonomia privata e dello stesso ordinamento europeo.
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FORGANNI, ANTONELLA. "Profili giuridici dell'interazione tra antidumping e altre politiche comunitarie: politica della concorrenza e relazioni esterne." Doctoral thesis, Università Bocconi, 2010. https://hdl.handle.net/11565/4053939.

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VILLA, VALENTINA. "LE DIFFERENTI FORME SOCIETARIE SOVRANAZIONALI NEL QUADRO DELL¿UNIONE EUROPEA NELLA PROSPETTIVA DELLA CONCORRENZA TRA ORDINAMENTI E DELL¿ESERCIZIO DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano, 2016. http://hdl.handle.net/2434/351705.

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Abstract:
Il presente lavoro si propone di analizzare l’adozione delle cd. forme associative comuni nell’attuale quadro del diritto dell’Unione Europea, volgendo particolare attenzione agli aspetti legati al diritto di stabilimento delle società all’interno dell’Unione, alla loro capacità di mobilità, e alle conseguenti implicazioni sul fenomeno della cd. concorrenza “verticale” ed “orizzontale” fra ordinamenti. Il presente studio si concentra in via preliminare sulla mobilità delle società “nazionali” e sui problemi connessi al loro riconoscimento nello spazio europeo, per poi soffermarsi sui modelli societari comuni introdotti all’interno dell’ordinamento comunitario, ovverosia il Gruppo Europeo di Interesse Economico (GEIE), la Società Europea (SE), la Società Cooperativa Europea (SCE), la proposta di regolamento (poi ritirata) circa la Società Privata Europea (SPE) e la più recente proposta di direttiva relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (SUP). La ricerca analizza i tratti costitutivi di ciascuno dei predetti modelli associativi, introdotti nel tentativo di ovviare alle difficoltà incontrate dai privati in seno alle proprie società nazionali in situazioni legate allo spostamento e in generale alla mobilità delle società stesse, in primis in fase di trasferimento della sede. Infatti, se in astratto il diritto di stabilimento garantito dal Trattato è pieno, nella pratica esso incontra numerosi ostacoli che ne rendono complessa l’attuazione. Sul punto, si è cercato di evidenziare come gli ostacoli alla capacità di mobilità societaria derivino principalmente dalle diversità esistenti tra le legislazioni sostanziali emanate a livello nazionale in materia societaria, nonché tra le varie norme di conflitto adottate dagli Stati membri in riferimento alle società. Si vedrà quindi come, in casi di trasferimento transfrontaliero della sede sociale, ciascuno Stato membro utilizzi i propri criteri di collegamento e, di conseguenza, una legge applicabile alla fattispecie di volta in volta differente. Non a caso, dati gli interessi dei vari Stati, quando una società intende “uscire” dal proprio ordinamento, non le è in genere consentito di operare un semplice trasferimento, ma le viene richiesto di cessare la propria attività e, successivamente, ricostituirsi nello Stato di destinazione. Al riguardo, non si potrà comunque tralasciare di evidenziare come gli organi comunitari abbiano in verità “lasciato cadere” la possibilità di fornire una più dettagliata disciplina in materia, abbandonando in un certo qual modo la proposta di direttiva sul trasferimento transfrontaliero della sede sociale. Con riferimento a ciascun modello associativo comune, vengono analizzati, in particolare, la procedura di costituzione, gli assetti di governance, comprensivi dell’organizzazione e del funzionamento degli organi di amministrazione e degli organi di controllo societario, e le cd. situazioni patologiche della vita delle società, anche nell’ottica di tutela dei creditori, con specifico riferimento alla disciplina di scioglimento e liquidazione. Di pari passo, il presente lavoro si propone di approfondire la pratica di trasferimento di sede realizzata tramite fusione, situazione che – diversamente dal trasferimento di sede tout court – pare essere circondata da un minor numero di problemi, anche in virtù della direttiva 2005/56/CE relativa alle fusioni transfrontaliere e della giurisprudenza della Corte (ad es., caso Sevic), che hanno fornito un efficace ed esaustivo quadro regolatore. La ricerca contiene, poi, una digressione circa la giurisprudenza emanata dalla Corte in materia, a partire dai casi Daily Mail, Centros, Überseering, Inspire Art, fino a giungere alla decisione nel caso Cartesio, che ha aperto nuovi problemi interpretativi rispetto alla problematica del trasferimento, limitando in qualche modo la scelta del diritto applicabile, mettendo in luce gli ulteriori sviluppi dei principi giurisprudenziali in punto di diritto di stabilimento espressi nei casi National Grid e Vale Építési. Quest’ultimo profilo comporta, inoltre, un esame circa la natura del fenomeno di cd. concorrenza fra ordinamenti giuridici: infatti, il cittadino europeo, che si trova a cospetto di differenti ordinamenti giuridici all’interno dei quali inserire la propria società, potrebbe optare per una scelta (i) in fase di costituzione della società o (ii) anche successivamente, durante la “vita” della società stessa. Tuttavia, come si è evidenziato, la seconda situazione si attuerebbe tramite la procedura di trasferimento di sede, che però risulta problematica. Le varie imprese sono pertanto chiamate a scegliere l’ordinamento a cui sottoporsi già in fase di costituzione, andando così a collocare gli ordinamenti stessi su un piano reciprocamente competitivo. La ricerca, peraltro, non verte solamente sul fenomeno di concorrenza orizzontale (tra i vari Stati membri), ma anche su quello di concorrenza verticale (fra gli Stati membri e l’Unione), in quanto intende verificare in che modalità e in che misura, fino al momento in cui si scrive, siano stati utilizzati i predetti modelli associativi comuni da parte degli operatori. La citata analisi sulla concorrenza fra ordinamenti a livello europeo include, infine, un approfondimento circa il medesimo fenomeno in atto negli Stati Uniti, dove il sistema concorrenziale fra i 50 Stati vige ormai da più di un secolo, e mira ad evidenziarne ambiti di uniformità e differenze rispetto al modello europeo. Tra queste ultime, viene attribuito particolare peso all’assenza di modelli societari di tipo federale negli Stati Uniti, cui va di pari passo la costante scelta di specifici Stati storicamente “favorevoli” alla costituzione di entità societarie – su tutti il Delaware – che risultano particolarmente appetibili per i privati, anche grazie all’istituzione di sofisticate infrastrutture giudiziarie che vedono la presenza di tribunali altamente specializzati, competenti a dirimere controversie nella sola materia societaria.
The work aims at examining the adoption of the so called “harmonized corporate vehicles” in the European Union, with particular attention to the legal issues connected with the right and freedom of establishment of companies within the EU, their capacity of cross-border mobility and consequent implications on the phenomenon of “vertical” and “horizontal” state competition. The work preliminarily focuses on the mobility of national companies, as well as on problems connected with their recognition in the European area, and then examines each of the harmonized corporate vehicles introduced in the EU, i.e., the European Economic Interest Grouping (EEIG), the European Company (SE), the European Cooperative Company (SCE), the Proposal of a European Regulation on the European Private Company (SPE) withdrawn by the Commission in 2013 and the Proposal for a Directive on the Single-member Private Limited Liability Company (SUP) issued in 2014. The research examines the corporate features of each harmonized vehicle, which were introduced with a view to remedy the difficulties usually encountered by business operators and national companies in circumstances of cross-border mobility, in particular while transferring the corporate seat. In fact – on one hand – the right of establishment granted by the European Treaty is full, but – on the other hand – the exercise of such right in concrete is quite difficult. In this respect, the work tries to outline that the obstacles to corporate mobility are mainly due to the diversities existing among material legislations adopted by the Member States in the corporate field, as well as to the different rules of private international law adopted by the Member States over companies. Attention is also paid to the different criteria used by the Member States to regulate cross-border transfers of the seat, which fact usually triggers the application of different applicable laws. The work examines, for each of the abovementioned vehicles, the issues connected with their incorporation, governance (including the structure and organization of managing and audit bodies), dissolution and liquidation, also paying attention to the profiles of protection of creditors. The work also explores the situation of transfer of the seat abroad through merger: this option, in fact, differently from the “typical” transfer of the seat, appears to be less difficult, mainly due to the application of Directive No. 2005/56 on cross-border mergers and also in light of the case-law of the EU Court of Justice (e.g., Sevic case), which have provided for an efficient and exhaustive regulative framework. The research includes a specific chapter on the case-law developed by the EU Court of Justice with regard to corporate transnational mobility, focusing on the Daily Mail, Centros, Überseering and Inspire Art case-law, until the Cartesio decision – which has brought some new interpretative problems on practices of transfer of the seat by limiting the choice of applicable law – and including the most recent decisions issued by the Court in National Grid and Vale Építési cases. The latter profile then triggers an analysis of the state competition phenomenon: the European citizen, in fact, can choose among different jurisdictions to incorporate his company either during the incorporation procedure or after incorporation, by transferring the corporate seat. The second option, however, appears to be quite problematic. Operators are thus required to choose the jurisdiction to incorporate their companies at the very beginning, by posing Member States in mutual competition. In this respect, anyway, the work not only outlines the presence of a “horizontal” competition (involving the different Member States), but also stresses on the presence of a “vertical” competition (involving the Member States and the EU), to verify if and how the harmonized European vehicles have been used by business operators and entrepreneurs so far. The analysis of state competition at a European level includes a digression on the long-standing competition existing in the U.S. among the 50 States, to highlight similarities and discrepancies between the European and the American model. In the last chapter, particular attention is paid to the absence of “federal corporate models” in the U.S. and to the choice of specific States which were generally deemed favorable to incorporations (e.g., Delaware) thanks to a sophisticated legislative and judiciary infrastructure implemented over years.
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Tocci, Mario. "Il danno punitivo tra ordinamento giuridico comunitario ed ordinamenti giuridici statali." Thesis, 2011. http://hdl.handle.net/10955/854.

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PETRINI, Maria Celeste. "IL MARKETING INTERNAZIONALE DI UN ACCESSORIO-MODA IN MATERIALE PLASTICO ECO-COMPATIBILE: ASPETTI ECONOMICI E PROFILI GIURIDICI. UN PROGETTO PER LUCIANI LAB." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251084.

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Abstract:
Con l’espressione “marketing internazionale” ci si riferisce a quell’insieme di attività adottate dall’impresa al fine di sviluppare o perfezionare la propria presenza sul mercato estero. Oggetto della presente ricerca è l’analisi degli aspetti problematici che tali attività sollevano sul piano giuridico: attraverso un approccio basato sull’integrazione della cultura economica del marketing d’impresa con quella più propriamente giuridica, l’indagine mira ad individuare le fattispecie di marketing rilevanti sotto il profilo giuridico e giuspubblicistico, ad analizzarne i profili che risultano più critici per l’impresa e proporre soluzioni concrete. La ricerca è stata condotta in collaborazione all’azienda Gruppo Meccaniche Luciani, che oltre ad essere un affermato fornitore di stampi per calzature, progetta design innovativi attraverso una sua articolazione organizzativa creativa, denominata Luciani LAB. L’impresa investe molto nell’innovazione, ed in questo senso, particolarmente significativo è stato l’acquisto di una potente stampante 3D, tecnologicamente all’avanguardia, che ha consentito all’azienda di progettare diversi prodotti, tra cui una borsa, realizzarli in prototipazione rapida, e successivamente renderli oggetto di specifiche campagne promozionali, illustrate nel presente lavoro. Viene evidenziato come queste rispecchino la peculiarità dell’approccio al marketing da parte della piccola/media impresa, descritto dalla dottrina maggioritaria come intuitivo ed empirico, distante da quello teorico e strategico del marketing management. La collaborazione con l’impresa partner del progetto ha costituito il riferimento principale per l’elaborazione del metodo con cui condurre la ricerca: l’azienda ha promosso i propri prodotti mediante diverse strumenti di marketing, come inserti pubblicitari su riviste, campagne di e-mail marketing e fiere di settore. Queste attività si distinguono tra esse non solo rispetto alle funzioni, alle differenti modalità con cui vengono impiegate e al pubblico cui si rivolgono, ma anche e soprattutto rispetto alla disciplina giuridica di riferimento: ognuna di esse infatti è regolata da un determinato complesso di regole e solleva questioni che si inseriscono in una specifica cornice giuridica. Al fine di giungere ad una sistematica trattazione dei profili giuridici connessi, si è scelto di classificare le diverse azioni di marketing in tre gruppi: quelle riferite alla comunicazione, quelle inerenti l’aspetto del prodotto e quelle che si riferiscono al cliente Per ognuna di queste aree si individua una precisa questione critica per l’impresa, e se ne trattano i profili problematici dal punto di vista giuridico. In relazione al primo gruppo, ovvero la comunicazione pubblicitaria d’impresa, si evidenziano le criticità connesse alla possibilità di tutelare giuridicamente l’idea creativa alla base del messaggio pubblicitario: si mette in discussione l’efficacia degli strumenti giuridici invocabili a sua tutela, in particolare della disciplina del diritto d’autore, della concorrenza sleale e dell’autodisciplina. Si prende come riferimento principale il contesto italiano, considerando la pluralità degli interessi pubblici, collettivi ed individuali coinvolti. Il secondo profilo d’indagine riguarda la disciplina giuridica riconducibile all’e-mail marketing, uno degli strumenti più diffusi di comunicazione digitale. L’invasività di questo sistema nella sfera personale dei destinatari impone l’adozione di adeguati rimedi da parte delle imprese per evitare di incorrere nella violazione delle disposizioni a tutela della privacy. Si trattano le diverse implicazioni derivanti dall’uso di tale strumento, in particolare quelle riferite al trattamento dei dati personali alla luce della normativa vigente in Italia e nell’Unione Europea, e connesse alle modalità di raccolta degli indirizzi e-mail dei destinatari potenzialmente interessati. Infine, la costante partecipazione alle fiere di settore da parte dell’azienda dimostra quanto l’esteriorità del prodotto costituisca uno strumento di marketing decisivo per la competitività aziendale, dunque grande è l’interesse dell’impresa a che il suo aspetto esteriore venga protetto dall’imitazione dei concorrenti. Il tema giuridico più significativo che lega il processo di marketing al prodotto dell’azienda è proprio la protezione legale del suo aspetto, ovvero la tutela del diritto esclusivo di utilizzarlo, e vietarne l’uso a terzi. L’aspetto di un prodotto può essere oggetto di protezione sulla base di diverse discipline che concorrono tra loro, sia a livello nazionale che sovranazionale, dei disegni e modelli, del marchio di forma, del diritto d’autore e della concorrenza sleale. Si è scelto di concentrare il lavoro, in particolare, sulla prima: si ricostruisce il quadro normativo e l’assetto degli interessi implicati dalla fattispecie, per arrivare ad evidenziare le principali criticità nell’interpretazione delle norme, sia a livello nazionale, che nell’Unione Europea. Si approfondiscono gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza di alcune disposizioni chiave per l’applicazione della disciplina, quali gli artt. 6 e 7 del Regolamento CE, n. 6/2002, concernenti rispettivamente il «carattere individuale» e la «divulgazione», i due requisiti fondamentali per ottenere la registrazione e conseguente protezione giuridica del disegno. Tali nozioni sono soggette ad interpretazioni parzialmente difformi da parte dei giudici dei diversi Stati membri, e ciò contribuisce a minare l’applicazione omogenea della disciplina in tutto il territorio UE. In questo senso, viene messo in evidenza il ruolo chiave dell’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’interpretazione di tali concetti, avente l’effetto di uniformare l’approccio degli Stati. La Direttiva 98/71/CE ha introdotto la possibilità di cumulare la protezione conferita all’aspetto del prodotto dalla disciplina dei disegni e modelli con quella riconosciuta dalle altre normative. Tale previsione solleva questioni di rilievo sistematico e concorrenziale: ci si interroga su quali problemi di tipo sistematico e di concorrenza vengano sollevati dal riconoscimento su uno stesso prodotto della protezione sia come disegno che come marchio di forma, e sia come disegno che come opera dell’ingegno. In particolare nell’ambito del diritto dei marchi d’impresa e del diritto d’autore, le tutele hanno durata potenzialmente perpetua, diversamente dalla registrazione come disegno o modello, che garantisce la titolarità del diritto di utilizzare il proprio disegno in via esclusiva per un periodo limitato di massimo 25 anni. Questa differenza temporale rende il cumulo problematico sia a livello di coordinamento, che di concorrenza, poiché incentiva il sorgere di “monopoli creativi” sulle forme del prodotto. Il presente lavoro ha come obiettivo l’ampliamento della conoscenza sul tema del marketing con particolare riferimento ai profili giuridici che si pongono, con riguardo alla promozione del prodotto nell’ambito dell’Unione Europea. Si ritiene che il valore aggiunto e l’aspetto più originale della ricerca consista nella sua forte aderenza alla realtà della piccola/media impresa: tramite l’integrazione della ricerca giuridica e dello studio dei fenomeni di marketing si delineano i problemi pratici che questa si trova a dover affrontare nell’implementazione delle attività quotidiane di marketing. Tale indagine vuole essere utile a tutte le piccole/medie imprese che si trovano impreparate nell’affrontare le sfide poste dal marketing e nel conoscere le implicazioni giuridiche che da questo derivano.
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8

BASILI, Silvia. "Gli attuali scenari del commercio internazionale dei prodotti agroalimentari, tra vecchie e nuove questioni di sicurezza alimentare: una riflessone comparatistica ta UE, USA e CINA." Doctoral thesis, 2018. http://hdl.handle.net/11393/251081.

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Abstract:
Il commercio dei prodotti agroalimentari ha assunto oggi una dimensione globale, che pone una serie di questioni su cui è necessario riflettere. Una di queste riguarda la sicurezza alimentare intesa nell'accezione di food safety, ossia come il diritto di ogni individuo a consumare cibo sano e sicuro. La sicurezza alimentare implica l'assenza di elementi estranei che sono riconducibili ai residui dei trattamenti antiparassitari, veterinari, contaminanti ambientali o ancora l'assenza di adulterazioni nel processo di produzione, che possono comportare un rischio per la salute dei consumatori. La tesi analizza le principali dinamiche internazionali relative all'attuale commercio dei prodotti agroalimentari, focalizzando l'attenzione sulla questione della sicurezza alimentare, che da un lato deve garantire senza compromessi la tutela di tutti i consumatori, e dall'altro però, le misure adottate non devono costituire inutili ostacoli commerciali per le imprese alimentari esportatrici. L'analisi inizia dagli accordi nati nell'ambito della WTO, con la firma del Trattato di Marrakech nel 1994, con lo scopo di favorire gli scambi commerciali internazionali attraverso una maggiore armonizzazione delle differenti normative di riferimento. Per quanto riguarda specificamente la sicurezza alimentare si fa riferimento all'Accordo SPS sulle misure sanitarie e fitosanitarie e al Codex Alimentarius, che hanno lo scopo di creare un sistema di norme internazionali valido all'interno dei paesi membri della WTO per tutelare la salute dei consumatori e garantire pratiche eque nel commercio degli alimenti. Dal contesto multilaterale della WTO si procede ad analizzare il ruolo degli accordi bilaterali o regionali, nati in seguito alla crisi del multilateralismo, iniziata con il round di Doha nel 2001e dovuta principalmente all'eterogeneità delle posizioni dei Paesi membri. In particolare nell'ambito degli accordi bilaterali si fa riferimento al partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) recentemente negoziato tra UE e USA, e fermo per ora a tale fase. Si tratta di un accordo di libero scambio volto ad abbattere molte barriere commerciali esistenti tra le due sponde dell'Atlantico, con particolare riferimento a quelle non tariffarie consistenti in divergenze normative che ostacolano le esportazioni, tra cui vanno sicuramente ricomprese le misure sanitarie e fitosanitarie, che si sono rivelate le questioni maggiormente dibattute nel corso delle trattative del TTIP, offrendo lo spunto per analizzare in chiave comparatistica le due diverse tradizioni giuridiche di food safety, delineate attraverso la tematica degli OGM, dove emerge la distanza dell'approccio giuridico tra le due potenze transatlantiche. L'uso delle moderne tecniche di ingegneria genetica in campo alimentare è stato uno dei temi particolarmente discussi nell'ambito delle negoziazioni; gli OGM erano già stati oggetto di una controversia tra Europa e USA nell'ambito della WTO. In ogni caso il TTIP, nonostante il suo fallimento, segna comunque la volontà delle due potenze di trovare una base normativa comune. L'ultima parte della tesi riguarda invece l'evoluzione della sicurezza alimentare in Cina, che grazie alla rapida crescita economica degli ultimi anni, si attesta ad essere una delle potenze protagoniste degli scambi commerciali mondiali, completando in tal modo il quadro internazionale di riferimento. L'introduzione nel 2009 della prima legge sulla sicurezza alimentare, poi modifica nel 2015, rappresenta un primo avvicinamento ai sistemi normativi occidentali. L'analisi delle diverse normative di food safety nel contesto europeo, statunitense e cinese mostra come la globalizzazione economica abbia determinato anche una globalizzazione giuridica o meglio un progressivo allineamento dei diversi sistemi normativi. La necessità di facilitare gli scambi commerciali per competere a livello mondiale ha favorito l'avvicinamento dei vari ordinamenti giuridici. Pertanto si assiste a una sorta di "contaminazione legislativa" estranea alla politica commerciale comune della WTO, ferma da tempo ad una fase di completa stagnazione. In particolare per quanto riguarda il settore alimentare si auspica che il progressivo avvicinamento dei sistemi normativi sul tema della sicurezza alimentare possa favorire la nascita di una food law unitaria a livello globale, che sappia rispondere alle esigenze economiche - commerciali della libera circolazione dei prodotti, e contemporaneamente garantire la tutela di tutti i consumatori, assicurando un elevato livello di qualità e sicurezza.
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Books on the topic "Concorrenza tra ordinamenti giuridici"

1

La Concorrenza tra ordinamenti giuridici. Roma: Laterza, 2004.

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2

I diritti umani tra giustizia oggettiva e positivismo negli ordinamenti giuridici europei. Napoli: Edizioni scientifiche italiane, 1996.

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3

Rapporti e concorrenza tra ordinamenti: Atti del seminario di studio, 10 marzo 2006, Facoltà di economia, Università di Siena. Milano: Giuffrè, 2007.

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Legnani Annichini, Alessia. «Proxeneta est in tractando». Bononia University Press, 2021. http://dx.doi.org/10.30682/sg273.

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Abstract:
Il volume indaga le origini della categoria professionale del mediatore di commercio, disegnandone l’identità e precisandone attività, incompatibilità, responsabilità criminale e civile nell’arco storico ricompreso tra Basso Medioevo e prima Età Moderna. Ne emerge un ritratto caratterizzato da poche luci e molte ombre, viziato dalla considerazione deteriore espressa dalle fonti dottrinali benché la senseria risulti spesso necessaria per la riuscita delle contrattazioni commerciali. Il profilo del proxeneta è stato ricostruito privilegiando lo scandaglio e la razionalizzazione della dottrina di diritto comune in quanto presupposto ineludibile di ogni percorso giuridico all’interno del complesso coacervo di fonti che connotano gli ordinamenti giuridici di Antico Regime
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