Journal articles on the topic 'Concetto di dolore'

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1

Rogora, Chiara. "Condividere il dolore psichico in seduta." PSICOBIETTIVO, no. 3 (November 2011): 132–36. http://dx.doi.org/10.3280/psob2011-003008.

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Abstract:
Il commento al caso proposto dal dott. Luci si articola attorno alla lettura psicodinamica del concetto di identificazione proiettiva. Tale meccanismo di difesa apre ad una nuova possibile lettura del caso clinico, nell'ottica della costruzione di uno spazio intersoggettivo tra la paziente e il terapeuta. Si affronta inoltre l'approfondimento dell'inquadramento diagnostico anche sotto il profilo dei vissuti e dell'organizzazione psichica della paziente.
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2

Spagnuolo Lobb, Margherita, Federica Sciacca, Andrea Roberta Di Rosa, and Michela Mazzone. "Attivazione corporea ed emotiva nel dolore: un ponte tra le neuroscienze e la terapia della Gestalt per comprendere il desiderio di aiuto del terapeuta." QUADERNI DI GESTALT, no. 1 (June 2022): 81–93. http://dx.doi.org/10.3280/gest2022-001006.

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Abstract:
L'attivazione corporea ed emotiva di fronte al dolore è stata collegata al desiderio di aiutare l'altro. Basandosi su precedenti ricerche di neuroestetica, e sul concetto di Conoscenza Relazionale Estetica nel quadro della terapia della Gestalt, la ricerca ha indagato le reazioni di 29 individui di fronte a immagini di dolore e sentimenti neutri, in rappresentazioni artistiche e in foto di attori. Gli individui sono stati testati con SCL-90-R, MAIA e IRI. I risultati confermano l'ipotesi che il desiderio di aiutare è connesso con l'attivazione corporea-emozionale, con la capacità di sentire il proprio corpo e tuttavia tenere l'emozione dell'altro. L'attivazione corporeo-emotiva è stata mostrata solo nella rappresentazione artistica del dolore. Una possibile spiegazione è che il "movimento" che attiva una persona di fronte al dolore è meglio espresso nelle immagini artistiche.
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3

della Redazione, A. cura. "Note di lettura." SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), no. 73 (June 2022): 157–71. http://dx.doi.org/10.3280/las2022-073012.

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Abstract:
Tonia Cancrini, Un Tempo per l'Amore. Eros, dolore, odio (Paola Linguiti); Fabio Macioce, La vulnerabilità di gruppo. Funzione e limiti di un concetto controverso (Gianluca Gasparini); Valeria Bizzari e Raffaele Vanacore, a cura di, Il corpo vivo nel mondo. Introduzione al pensiero di Thomas Fuchs (Natalie Bragazzi); Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe, Scritti di etica (Timothy Tambassi)
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4

Molteni, Massimo. "Il volto senza fine: la sofferenza della mente." CHILD DEVELOPMENT & DISABILITIES - SAGGI, no. 1 (January 2011): 43–55. http://dx.doi.org/10.3280/cdd2010-001005.

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Abstract:
Il concetto e l'esperienza umana del dolore sono cambiati nel corso della storia dell'uomo: se per gli antichi greci, cosě come anche nella Bibbia, il dolore faceva parte della vita e come tale era accettato, oggi invece esso viene rifiutato come elemento esistenziale estraneo, da eliminare il piů presto e il piů efficacemente possibile. La scienza medica ha fatto grandi passi in questa direzione, ma la possibilitŕ di attenuare o annullare il dolore fisico non ci esime dalla necessitŕ di riflettere sul vero senso della sofferenza, intesa come aspetto ineliminabile della condizione umana. La percezione della sofferenza dipende non solo dalle caratteristiche personali dell'individuo, ma anche dal contesto socioculturale in cui egli č inserito, variabili che condizionano anche la capacitŕ di comprensione della sofferenza dell'altro. Quanto piů un sistema - persona o societŕ - č complesso, tanto maggiore sarŕ la sofferenza da esso percepita. In definitiva, č inevitabile sia che l'uomo soffra sia che ricerchi la cancellazione della sofferenza: una dicotomia, questa, che acquista un suo senso e una prospettiva di risoluzione solo tramite l'apertura ad una dimensione piů ampia ed elevata rispetto a quella puramente fisica. In quest'ottica, la lotta - umana in generale e medica in particolare - contro sofferenza e dolore assume una connotazione non solo di utilitŕ immediata, ma anche di importante significato ultimo.
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5

De Col, Alessandra, and Ilaria Picchio. "Figlio solo, solo un figlio, figlio unico? Quando la lealtŕ al ricordo del fratello e al dolore dei genitori č figlia di un trauma da lutto." RIVISTA DI PSICOTERAPIA RELAZIONALE, no. 36 (December 2012): 85–98. http://dx.doi.org/10.3280/pr2012-036006.

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Abstract:
In questo lavoro le autrici hanno voluto presentare un caso clinico in cui il concetto di lealtŕ al ricordo di chi č venuto a mancare e al dolore di tale trauma puň dar luogo a una sintomatologia che preannuncia una scissione psicologica, una difficoltŕ a definirsi all'interno della famiglia. L'etica e la fedeltŕ alla famiglia, la lealtŕ ad essa per proteggerla dal dolore, portano a sacrificare a volte il proprio sé. La lettura relazionale delle dinamiche della famiglia aiuta a mettere in luce la funzione della difficoltŕ a definirsi del piccolo M. In questa famiglia, come spesso accade in famiglie con bambini, M. č stato il filo di Arianna per entrare nel labirinto della sua dolorosa storia familiare e dipanarne la matassa. Tale famiglia ha aiutato anche le coterapeute a superare il loro "lutto" da separazione come coppia di terapia.
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6

Larcher, Mauro. "La dignità del morire. L’evoluzione del pensiero." CARDIOLOGIA AMBULATORIALE 30, no. 4 (March 22, 2022): 255–57. http://dx.doi.org/10.17473/1971-6818-2021-4-6.

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Abstract:
“Meglio la morte” si dice abbia esclamato Luigi XIV°, il Re Sole, ingurgitando l’ennesimo intruglio che i suoi archiatri protomedici gli propinavano, peraltro senza beneficio, per sedare il dolore della gangrena alla gamba che lo avrebbe presto portato alla tomba. Anche se il concetto è un po’ tirato per i capelli, questa esclamazione potrebbe essere considerata una dichiarazione anticipata di trattamento ante litteram.
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Scotto, di Fasano Daniela. "Una psicoanalisi vera in seconda battuta." INTERAZIONI, no. 1 (July 2012): 42–52. http://dx.doi.org/10.3280/int2012-001004.

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Abstract:
Confortata da evidenze cliniche, l'Autore ipotizza che nei casi di trauma, abuso, maltrattamento avvenuti nei primissimi anni di vita, il sé possa restare in animazione sospesa (Vallino, 2004), in attesa di accedere a un significato condiviso, il solo che puň avviare la mentalizz- azione (Scotto di Fasano, 2003) e, quindi, consentire sia uno sguardo rivolto al senso comunicativo del sintomo sia che la sofferenza, non restando solitaria e senza senso (Pozzi, 2003), un incomprensibile fatto carne (Scotto di Fasano, 2003), possa evolvere in dolore psichico. Il fatto che ciň possa accadere nelle fasi iniziali dello sviluppo (Salomonsson, 2011) evita ai soggetti l'incarcerazione (Shore, 1994; Steiner,1996) in stati mentali patologici. A questo proposito l'Autore riflette su un concetto tendenzialmente poco esplorato perché inquietante e scomodo da pensare, tanto piů se riferito a noi stessi, alla vita mentale in- fantile e alle funzioni genitoriali e terapeutiche: l'odio, che, per quanto ingrediente indispensabile dello sviluppo mentale (Freud, 1915; Jeammet, 1989; Nielsen, 2011), č risultato e risulta arduo da esplorare e pressoché impossibile da ammettere come costitutivo della psiche, a dispetto del fatto che il pensiero, come l'oggetto, nasce nell'odio (Freud, 1915).
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Zulian, F., M. Campanini, L. Lusiani, L. Magnani, G. Pinna, and R. Nardi. "Problematiche di fine vita: il ruolo della medicina interna ospedaliera." Italian Journal of Medicine 5, no. 1 (April 10, 2017): 1. http://dx.doi.org/10.4081/itjm.q.2017.4.

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Abstract:
<img src="/public/site/images/pgranata/PREFAZIONE.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>Etica cristiana e malattia</strong><br /><em>E. Bianchi</em></p><img src="/public/site/images/pgranata/rass.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>Le problematiche di fine vita: quale consapevolezza da parte degli internisti?</strong><br /><em>M. Gambacorta, M. Campanini, R. Nardi</em></p><p class="titolo"><strong>Il concetto di terminalità: certezze e incertezze</strong><br /><em>L. Lusiani, C. Bullo</em></p><p class="titolo"><strong>Traiettorie di malattia: non sempre i pazienti e le famiglie sono informati</strong><br /><em>L. Magnani</em></p><p class="titolo"><strong>La dignità come fattore di cura: pratica clinica nel fine vita nella medicina <em>patient centered</em></strong><br /><em>M. Felici, A. Pulerà, S. Lenti</em></p><p class="titolo"><strong>L’assistenza nel fine vita: quali responsabilità? Un approccio medico-legale al tema</strong><br /><em>A. Aprile, M. Bolcato, D. Rodriguez</em></p><p class="titolo"><strong>Il paziente terminale: aspetti di tipo etico</strong><br /><em>R. Cavaliere</em></p><p class="titolo"><strong>Cure palliative, assistenza domiciliare e <em>caregiver burden</em>: il modello dell’efficienza terapeutica</strong><br /><em>L. Occhini, A. Pulerà, M. Felici</em></p><p class="titolo"><strong>Nutrizione ed idratazione nei malati terminali</strong><br /><em>R. Risicato</em></p><p class="titolo"><strong>La gestione del dolore nel paziente terminale</strong><br /><em>G. Civardi, M. Bosco, R. Bertè</em></p><p class="titolo"><strong>Sedazione di fine vita: aspetti decisionali clinici ed etici</strong><br /><em>M. Carassiti, A. De Benedictis, M. Del Prete, B. Vincenzi, V. Tambone</em></p><p class="titolo"><strong>La rimodulazione della terapia negli anziani in fase terminale</strong><br /><em>A. Cester, F. Busonera</em></p><p class="titolo"><strong>Ruolo dell’infermiere nel <em>comfort care</em> del paziente a fine vita in Medicina Interna</strong><br /><em>D. Simonazzi, M. Lince, S. Tanzi, G. Bordin</em></p><p class="titolo"><strong>Percorso di fine vita e diagnosi di terminalità: l’esperienza dell’Ausl di Modena e Reggio Emilia</strong><br /><em>G. Chesi, E. Scalabrini, P. Vacondio, G. Pinelli, G. Carrieri, G. Cioni</em></p><img src="/public/site/images/pgranata/Sezioni.jpg" alt="" /><br /><p class="titolo"><strong>APPENDICE I<br />Metodi di riconoscimento e di valutazione del paziente in fase terminale o a rischio di elevata mortalità in ospedale</strong><br /><em>R. Nardi, G. Belmonte, L. Lusiani, M. Gambacorta, G. Pinna, M. Campanini, A. Fontanella</em></p><p class="titolo"><strong>APPENDICE II<br />RECENSIONE - Riflessioni sul dolore </strong>di Umberto Eco<br /><em>R. Nardi</em></p>
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Fontanella, A., M. Campanini, C. Nozzoli, and R. Nardi. "Medicina interna perioperatoria - Il paziente chirurgico complesso: il ruolo dell’internista nell’ospedale snello, a misura del paziente, organizzato per intensità di cure." Italian Journal of Medicine 5, no. 1 (March 21, 2017): 1. http://dx.doi.org/10.4081/itjm.q.2017.2.

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Abstract:
<p class="titolo"><img src="/public/site/images/pgranata/rass.jpg" alt="" /></p><p class="titolo"><strong>Perché l’internista è necessario nella gestione dei pazienti complessi candidati ad intervento chirurgico</strong><br /><em>F. Gilioli, G. Chesi</em></p><p class="titolo"><strong>La medicina interna nell’assistenza del paziente chirurgico complesso</strong><br /><em>M. Fabbri, S. Galli, A. Morettini</em></p><p class="titolo"><strong>Il paziente cardiopatico</strong><br /><em>G. Chesi, F. Gilioli</em></p><p class="titolo"><strong>Il paziente con broncopneumopatia cronica ostruttiva</strong><br /><em>M. Candela</em></p><p class="titolo"><strong>Il paziente diabetico</strong><br /><em>L. Morbidoni</em></p><p class="titolo"><strong>La chirurgia nel grande anziano: rischi e opportunità</strong><br /><em>A. Greco, M. Greco, G. D’Onofrio, G. Paroni, D. Sancarlo, M. Lauriola, D. Seripa</em></p><p class="titolo"><strong>Il paziente candidato ad intervento chirurgico a rischio trombo-embolico</strong><br /><em>R. Re, M. Campanini</em></p><p class="titolo"><strong>Concetto di <em>Ospedale snello</em>, <em>hospitalist</em> e di <em>co-management</em></strong><br /><em>I. Stefani, A. Mazzone</em></p><p class="titolo"><strong>L’internista nel reparto di Ortopedia: il percorso del paziente ricoverato per frattura prossimale di femore</strong><br /><em>R. Nardi, M. Mazzetti, C. Marchetti</em></p><p class="titolo"><strong>L’internista nel reparto di neurochirurgia</strong><br /><em>C. Cicognani, S. Zaccaroni</em></p><p class="titolo"><strong>L’internista nel reparto di ostetricia</strong><br /><em>A. Maina, V. Donvito, L. Balbi</em></p><p class="titolo"><strong>L’internista nel Centro Trapianti di fegato</strong><br /><em>L. Fontanella, M. Imparato</em></p><p class="titolo"><strong>La gestione del dolore post-operatorio in ambito internistico</strong><br /><em>M. Bosco, R. Bertè, G. Civardi</em></p><p class="titolo"><strong>La sindrome da rialimentazione</strong><br /><em>R. Risicato, G. Scanelli, L. Tramontano, U. Politti</em></p><p class="titolo"><strong>Terapia infusionale pre-intra-post-operatoria: solamente un problema dell’anestesista?</strong><br /><em>F. Sgambato, G. Pinna, S. Prozzo, E. Sgambato</em></p><p class="titolo"><strong>Il paziente ad elevato rischio emorragico: valutazione e management</strong><br /><em>A.M. Pizzini, I. Iori</em></p><p class="titolo"><strong>La gestione perioperatoria o periprocedurale della terapia anticoagulante-antiaggregante in elezione e in urgenza</strong><br /><em>A. Fontanella, R. Re</em></p><p class="titolo"><strong>Le complicanze mediche e gli eventi avversi indesiderabili più frequenti nel paziente internistico complesso operato</strong><br /><em>M. Silingardi</em></p><p class="titolo"><strong>Pazienti <em>chirurgici</em> ricoverati in Medicina Interna: i pazienti a rischio, selezione delle priorità e delle emergenze urgenze e pianificazione dell’assistenza</strong><br /><em>P. Gnerre, M. Gambacorta, A. Percivale</em></p><p class="titolo"><strong>Qualità, indicatori ed <em>audit</em> come strumento di miglioramento nell’assistenza del paziente complesso in chirurgia</strong><br /><em>S. De Carli, A. Montagnani</em></p><p class="titolo"><strong>Quali proposte ed evidenze per nuovi modelli organizzativi in cui l’internista può assumere un ruolo fondamentale?</strong><br /><em>A. Fontanella, M. Campanini</em></p>
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Algini, Maria Luisa. "Il filo nascosto nella noia." PSICOTERAPIA PSICOANALITICA, no. 2 (November 2021): 70–88. http://dx.doi.org/10.3280/psp2021-002005.

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Abstract:
Quanto abbiamo scritto, ipotizzato, sostenuto, "prima" del Covid, varrà così come era stato concepito, o il ciclone che ci ha travolti costringe a ripensare tutto? L'autrice se lo chiede a proposito di un suo lavoro su quegli stati chiamati "noia", tanto frequenti nella clinica quanto poco elaborati nella letteratura psicoanalitica. Per proporre che l'esperienza della pandemia ha permesso l'emergere di continuità e di-versità, portando in luce nella dichiarazione di "noia" il filo di un dolore altrimenti indicibile.
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Beccattini, Cinzia. "Nascere come psicoterapeuta nel confine tra la vita e la morte." RUOLO TERAPEUTICO (IL), no. 116 (February 2011): 35–50. http://dx.doi.org/10.3280/rt2011-116005.

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Abstract:
Le cure palliative, ponendo al centro del proprio interesse la persona nella sua totalitŕ e accettando di parlare di morte, rappresentano, oggi, per la medicina moderna e per la cultura contemporanea in generale, una provocazione ma anche un'occasione di crescita. In questo mondo tutti i curanti, al di lŕ del loro ruolo professionale, sono chiamati a confrontarsi con il senso di precarietŕ, la complessitŕ dell'esperienza del dolore e della separazione. Lo psicologo, in particolare, avverte che i concetti tradizionali di, domanda, ruolo entrano in una tensione tale da far dubitare che l'intervento psicologico possa essere denominato terapia. Nel presente articolo si racconta, attraverso l'esperienza concreta di una psicoterapeuta in formazione, la nascita e lo sviluppo del lavoro psicologico in une ci si interroga sulla possibilitŕ di definire terapia tale intervento. Si ipotizza che proprio sulla natura etica della relazione con la persona malata, si fondi il valore terapeutico dell'intervento.
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Özbek, Tülay. "La formazione dell'identità nell'interazione tra culture." INTERAZIONI, no. 1 (April 2021): 43–58. http://dx.doi.org/10.3280/int2021-001004.

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Abstract:
La formazione dell'identità dei bambini che sono cresciuti entro due o più background cul-turali è caratterizzata da un ampio spettro di identificazioni divergenti. Questo ha un impatto specifico sulla loro struttura psichica, visto che ci sono identificazioni con almeno due back-ground etnicoreligiosi e due grandi gruppi, che possono interferire col sentimento di apparte-nenza. Con riferimento ai concetti di formazione dell'identità (Erikson), identificazione (Freud), identificazione col gruppo interno e col gruppo esterno e l'emergenza di un oggetto interno (Davids, Volkan), viene proposto lo svolgersi dello sviluppo di un'identità ibrida e diasporica con almeno tre introietti gruppali per i membri della terza generazione che sono sot-toposti a una socializzazione biculturale. La formazione di un'identità ibrida rende l'Io capace di legare assieme complesse affiliazioni culturali, in modo tale che il soggetto possa sentirsi identico a se stesso nello spazio, nel tempo e nei luoghi. Allo stesso tempo, tutto ciò richiede che il dolore e la destabilizzazione associati al fatto di non avere ciò che originariamente era visto come formazione identitaria, ovverosia il sentimento di appartenere a uno ed uno solo grande gruppo, possa essere tollerata e accettata.
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Zito, M. P., S. Maldone, I. Capelli, F. Centofanti, and C. Raimondi. "Impiego della dialisi peritoneale nell'encefalopatia mitochondriale neurogastrointestinale (MNGIE): un Caso Clinico." Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 23, no. 2 (January 24, 2018): 13–17. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2011.1429.

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Abstract:
L'Encefalomiopatia Mitocondriale Neurogastrointestinale (MNGIE) è una rara malattia autosomica recessiva causata da mutazioni del gene ECGF1 che codifica per l'enzima Timidina-Fosforilasi, il quale regola il catabolismo della timidina e della desossiuridina. Tali mutazioni causano la perdita della funzione dell'enzima, conseguente aumento dei livelli plasmatici di timidina e de-ossiuridina e alterazione dei meccanismi di riparazione e replicazione del DNA mitocondriale. La MNGIE è caratterizzata da deficit neurologici (neuropatia periferica, leucoencefalomiopatia), oftalmoplegia bilaterale, ptosi palpebrale, dismotilità/atonia gastrointestinale con malassorbimento e malnutrizione. Riportiamo un caso di trattamento combinato con Dialisi Peritoneale (DP) e Nutrizione Parenterale (NP) in una paziente affetta da MNGIE e severa malnutrizione, con disturbi gastrointestinali e dolori addominali complicati da occlusioni intestinali recidivanti e severo quadro di malnutrizione. È stata quindi iniziata una NP e, un trattamento mediante DP La scelta del tipo di soluzioni da utilizzare e delle modalità di scambio si è basata sul concetto di miglioramento della rimozione dei soluti nelle soste lunghe e del riassorbimento di glucosio e acqua dal liquido peritoneale, che, in questo caso, era auspicabile. La scelta della soluzione Nutrineal PD4 è stata fatta su base empirica e sulle esperienze effettuate nei pazienti con insufficienza renale cronica e MIA sindrome.
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Baldacci, Maria Cristina. "Bioetica dell’esercizio della sessualità nel portatore di handicap fisico geneticamente trasmissibile." Medicina e Morale 46, no. 3 (June 30, 1997): 503–32. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1997.879.

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Abstract:
Nella maggioranza dei casi la corporeità dell'handicappato viene relegata ad una semplice rieducazione e indirizzata principalmente verso una migliore socializzazione, i sentimenti di tipo erotico sono ridotti alla sfera spirituale e sostituiti da un'affettività e da un amore platonico dettati da ideologie sociali. Per un handicappato avere un'immagine del proprio corpo è sicuramente più difficile che per altri: il corpo è concepito come luogo di sentimenti ambivalenti. Perchè sede della propria diversità, rappresentazione di una parte di sè che non risponde ai desideri personali, sia di ordine funzionale sia relazionale. Le persone portatrici di handicap hanno bisogno di un aiuto approppriato nella valorizzazione estetica della propria immagine data la disabilità fisica. E' necessario, quindi, aiutarli a scoprire di sè aspetti "diversamente belli" e gratificanti, non solo patinati. Nell'ambito di questa problematica, l'autrice si sofferma particolarmente, per i problemi morali che sollevano, sulle situazioni patologiche geneticamente trasmissibili. In questi casi è necessario far comprendere la giusta possibilità di evitare un danno altamente probabile, forse anche certo, ad una terza persona. In altre parole secondo l'autrice si deve collaborare con Dio a non generare dolore, e l'unico modo per farlo è attraverso l'educazione. E' auspicabile, infatti, che una persona affetta da patologia fonte di handicap fisico geneticamente trasmissibile non eserciti la propria genitalità, ma viva ed "inventi" l'esercizio della propria sessualità in modo sublimato e trascendente, mantenendo intatta e, se è possibile migliorando, la propria "salute sessuale" e mentale.
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Rubio Morales, Ricardo A. "CONCURSO DE ENSAYOS." Revista EDUCA UMCH 8 (December 26, 2016): 173–77. http://dx.doi.org/10.35756/educaumch.v8i0.49.

Full text
Abstract:
Algunos años atrás, cuando caminaba por las calles del Centro de Lima, me topé con un vagabundo que parecía estar medio loco por la forma cómo vestía. Andaba gritando por las calles su inmenso amor por Dios. En ese momento me quedé mudo, no podía creer lo que veía. Le gritaba al mundo, a sus hermanos, que se amaran y que no se dejaran llevar por el supuesto “dios dinero”. Me acerqué para escuchar más lo que decía: “Algún día todos tendrán que morir, dejarán este mundo plagado placeres y de injusticas, y no se llevarán ni sus autos, ni sus lujos, ni sus joyas; tal vez muera mañana, tal vez ustedes lo hagan también, es hora de arrepentirse y regresar con Dios, porque él los ama de verdad y siempre estará dispuesto a perdonarnos”. Ese día, aquel vagabundo alzó su voz por muchos, aquellos que son explotados, aquellos que mueren de hambre, aquellos que sufren en silencio en este mundo lleno de dolor y angustia, aquellos que ya no tienen ni fuerza para llorar. Gritaba al mundo un cambio, nos invitaba a ser parte de ello, nos invitaba a ser compasivos y solidarios, pero nadie lo escuchaba… solo lo ignoraban y seguían caminado. Los verdaderos locos aquel día fuimos nosotros, los que pasamos frente a él, lo escuchamos y sabiendo que tenía razón, no hicimos nada. Ese día callamos las injusticas que vive nuestra sociedad. Lo que más me duele al recordar aquel suceso, es que en aquel entonces estaba totalmente desequilibrado, pues vi a muchos de mis hermanos sufrir por hambre, por frio, vi a muchos apuñalarse entre sí por dinero, me alejé de todos ellos, dejé que muriesen, los dejé sufrir solos, ¡Y solo seguía caminado!, no quería ver ni oír, estaba bien y eso fue lo único que me importó. Aquel día frente al altar de Dios, caí de rodillas y comencé a llorar, lloré por todo lo que callé, por negarme a estar con él, por aprovecharme de los demás. En aquel momento en mi cabeza solo aparecieron personas que sufrían por hambre, los explotados, sentí tanto dolor, que creo que nunca podré olvidarlo. Ese día lloré por mis hermanos que sufrían, y en mi interior me preguntaba cómo era posible de que Dios pudiese soportar ver a sus hijos sufrir, llorar sangre, no lo entendía, estaba adolorido, como era posible que no hiciera nada. Si ellos lloran tu nombre - finalmente le reclame - ¡Porque no haces algo! De repente en un instante lo entendí, no sé cómo llegué ahí, pero estaba frente a él arrepentido, buscando respuestas para que no sufran mis hermanos. Me di cuenta que él me llamó para alzar la voz por los que sufren y lloran. Aquella tarde salió de mi ser la siguiente oración: “Señor Dios, que tu espada corte mi alma en dos si es necesario, pero no me dejes caer en la indiferencia; no me dejes solo, guíame en este camino lleno de oscuridad, de dolor y de sufrimiento, porque tú eres amor y misericordia” y por fin logré entender a aquel vagabundo, tenía que actuar, ya no podía hacerme el ciego y sordo otra vez. Aquel día sentí que Dios tocó mi corazón con la punta de su espada. No sé por qué me llamó, pero me siento feliz de haberlo podido escuchar, me mostró la realidad tal y como es, no para llenarme de miedo sino para ser su soldado en esta lucha. Hoy oro para que ustedes, mis hermanos luchen a mi lado, por un mundo solidario, por un mundo diferente, por un mundo mejor. Para que el oprimido se libere y haya justicia, para que el que llora sea consolado, para que el huérfano y la viuda sean atendidos. A todos mis hermanos les pido, unámonos y hagamos de este mundo un lugar mejor, porque nadie lo hará si nosotros no tenemos el valor de atrevernos ahora. Les pregunto, ¿somos conscientes que vivimos en un país en decadencia moral?, donde a pesar del crecimiento económico, los campesinos no tienen tierras, millones de familias carecen de techo, muchos trabajadores no tienen derechos y tantas personas están heridas en su dignidad. Muchos vemos sin mirar y oímos sin escuchar… No somos totalmente conscientes y muchas veces, me incluyo, no queremos darnos cuenta de que nuestro país está en problemas, y que la respuesta está en la solidaridad. Queremos hacernos los locos y dejar que todo siga su marcha, tal vez porque este sistema ahora no nos afecta directamente; pero no olvidemos que Dios espera nuestra ayuda al prójimo. Tenemos que darnos cuenta de una vez que necesitamos un cambio y este no se dará si primero no somos conscientes de que se necesita uno. Quiero reflexionar con ustedes un poco más sobre el cambio que creo necesitamos. Actualmente sé que ustedes se han percatado que vivimos en un mundo controlado por el dinero, lo idolatramos y pensamos que es lo único que importa, cuando en realidad es solo una artimaña del diablo para generar conflictos, daños y caos entre los hombres. Estamos siendo engañados. Por ejemplo se dice que se ha disminuido la pobreza, pero ello no es suficiente, pues hay miles de personas que se mueren de hambre cada día, mientras que a muchos limeños les sobra el pan, lo he visto con mis propios ojos, les cuesta compartir un plato de comida y dárselo al que lo necesita. Vivimos engañándonos con la idea de que ese no es nuestro problema y por lo tanto no debemos hacer nada Hace algunas semanas, en la universidad, nos pidieron crear una idea para solucionar un problema actual en la sociedad. Lo que hicimos fue simple: identificamos problemas había en nuestra realidad, -lamentablemente sobraron-, luego necesitábamos buscarle una solución creativa y para ello decimos crear una máquina en donde ricos y pobres salgan beneficiados. ¿A qué quiero llegar con esto? Primero, este proyecto no solo buscaba acabar con el problema de los pobres, que es el hambre, la explotación, etc., sino también acabar con el gran problema que tienen muchas de las personas adineradas, el espiritual. Segundo, quiero hacerles entender de que no es difícil generar cambios, simplemente se necesita la voluntad y una buena actitud. No entraré en detalle con respecto al proyecto porque me desviaría del tema, pero lo que deben saber es que no es difícil mejorar nuestra sociedad si todos ponemos de nuestra parte. No hay que buscar solo el beneficio propio, ni ser egoístas. El problema está en que una minoría, cada vez más reducida, cree beneficiarse con este sistema, pero les aseguro que no, porque las apariencias engañan y a pesar de que piensen tenerlo todo, dentro de ellos reina la insatisfacción, la angustia y la tristeza, frutos de la “Cultura de muerte” que hablaba San Juan Pablo II. Por eso no debemos permitir que el capital se convierta en un dios y dirija nuestro comportamiento. No le echemos la culpa a nuestros gobernantes, porque la culpa la tenemos todos al no pensar en nuestros hermanos que sufren de hambre y no tienen donde dormir. Todos somos parte de un mismo país y como tal debemos procurar el bienestar total de este; no esperemos que un nuevo gobernante lo haga, no reneguemos de nuestro país, no le echemos la culpa al de a lado, ni dejemos que el dinero tutele todo el sistema socioeconómico, pues este solo arruina nuestra sociedad, condena al hermano convirtiéndolo en su esclavo, destruye la fraternidad logrando que nos enfrentemos interponiendo nuestros intereses. Entonces, todo aquel que esté sufriendo por causa de este sistema promueva creativamente alternativas, busquemos solucionar el problema con las “Tres T” trabajo, techo y tierra con el fin de construir un país mejor. Recalco la frase “proceso de cambio” que en Bolivia emocionó al Papa Francisco, pues la considero muy interesante, y mucho más en nuestro contexto, donde creemos que con el cambio de presidente, todos los problemas sociales se van a solucionar de un día para otro, de manera radical como si fuera un acto de magia. Dejemos de pensar que nuestros representantes en el gobierno van a realizar un cambio, dejemos de pensar que si se impone una opción política o una estructura social gracias al nuevo gobierno vamos a solucionar todos estos problemas que tenemos en nuestra sociedad. Tal vez mejoren un poco, porque se han comprometido a ello, pero no existirá un verdadero cambio si este no viene acompañado de una sincera conversión de actitudes. Por eso, no esperemos resultados inmediatos y tampoco le dejemos todo el trabajo a nuestros gobernantes, pues el “proceso de cambio” al que se refiere el Santo Padre, requiere esfuerzo y dedicación, desprendimiento y solidaridad como una base sólida para un cambio sostenido, entonces conscientes de ello, busquemos juntos dar paso a paso, para lograr el tan esperado cambio en la sociedad. Otra pregunta me mantiene inquieto ¿cómo cambiar los corazones? En la historia contada al principio, yo cambie por el dolor que sentí al ver a mis hermanos sufrir, por ponerme en el lugar de ellos. Por eso los invito a ponerse en el lugar del otro, a mirar el rostro de nuestros hermanos que sufren: el rostro del campesino amenazado, del trabajador excluido, de la familia sin techo, del joven desocupado, del niño explotado; ya que cuando miramos y pensamos en estos rostros, sufrimos por ver tanto dolor y nos conmovemos, porque solo mirando las heridas de nuestro hermano y tomándolas como propias, podremos sentir lo que sienten, podremos entender y cambiar nuestros corazones. Esto nos conmueve y nos mueve, impulsándonos a buscar al que sufre para caminar juntos, consolarlo y sanar sus heridas, esa es la clave para cambiar los corazones. Necesitamos poner en práctica esa Cultura de Encuentro, porque como dice el Santo Padre “ni las ideas ni los conceptos se aman, se aman a las personas” y de esta actitud surge la esperanza, que es lo único que necesitamos para no rendirnos y poner en marcha este proyecto transformacional. Entonces, ¿Que tenemos que hacer? La primera tarea consiste en poner la economía al servicio de nuestra comunidad. Los hombres y la tierra no deben estar al servicio del dinero, esta no debe reinar, puesto que si dejamos que el dinero gobierne no solo destruirá la tierra como ya lo ha probado varias veces, si no que destruirá por completo al mismo hombre que habita en ella. Entonces repito la pregunta, ¿Qué tenemos que hacer? Primero no debemos dejar que la economía sea un mecanismo de acumulación, segundo tenemos que conseguir que esta economía sea distribuida adecuadamente entre todos de manera equitativa, no de manera igualitaria, -términos muy diferentes-. Tenemos que tener muy claro que el objetivo de esta no es solo asegurar la comida o garantizar el acceso a las Tres “T”, el verdadero objetivo debe consistir en garantizar la dignidad de cada uno de nuestros hermanos. En conclusión, tenemos que alcanzar una economía justa, en donde se creen las condiciones para que cada niño pueda gozar de una infancia sin sufrimiento y carencias, una juventud en donde puedan desarrollarse los talentos de manera plena, una adultez libre de explotaciones en la que se respeten los derechos y por último se pueda acceder a una digna jubilación en la ancianidad. Esta economía que se busca no es utópica sino posible, el problema entonces es que el sistema actual tiene otros objetivos y por lo tanto atenta contra el proyecto divino de Jesús, que nos manda a distribuir de manera justa los frutos de la tierra. Lo que tenemos que hacer entonces es cambiar primero nuestros paradigmas, dejar de echarle la culpa a los que nos representan y cambiar nuestros corazones, con el fin de cambiar los objetivos de este sistema. Quiero terminar diciendo que soy consciente que “algún día moriremos, pero los demás días no”, por ello y los desafío en este reto, quiero que mi vida valga la pena ser vivida, no quiero irme de este mundo sin haber hecho nada en la realidad que me tocó vivir, quiero ser consciente que di todo lo que pude dar antes de morir.
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"Intervento sull'apparato stomatognatico in fase acuta e cronica nel disabile grave." CHILD DEVELOPMENT & DISABILITIES - SAGGI, no. 3 (April 2012): 89–93. http://dx.doi.org/10.3280/cdd2010-003015.

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Abstract:
Intervenire sull'apparato stomatognatico nella persona con disabilitŕ grave mette particolarmente in evidenza il concetto del "prendersi cura" e la necessitŕ di far partecipare all'intervento terapeutico non solo altri specialisti, ma anche e soprattutto l'ambiente familiare e affettivo del paziente. Elementi cardine dell'approccio clinico in quest'ambito sono: - la valenza neuro-sensitiva, cognitiva, affettiva dell'area considerata (bocca, viso); - la funzione che essa esplica (masticazione, pre-digestione, deglutizione, esplorazione, mimica); - il dolore, quasi sempre presente nelle patologie orali sia acute che croniche; - il tipo di patologia odontoiatrica e la sua evoluzione; - la compliance psico-affettiva (famiglie, educatori, assistenti). Le modalitŕ del trattamento sono di tipo domiciliare, ambulatoriale, ospedaliero. Per poter attuare con il disabile grave un intervento terapeutico che curi la patologia ma che, al contempo, salvaguardi le funzioni č indispensabile effettuare un percorso personale dove il concetto di terapia deve coincidere con quello di benessere soggettivo. Ne consegue la necessitŕ di conoscere la situazione di disabilitŕ e le sue evoluzioni, in quanto parte integrante dello stato fisiologico e funzionale della persona. Questo progetto č stato applicato all'Istituto Serafico grazie alla condivisione di concetti etici, alle risorse strumentali e umane messe a disposizione, all'esperienza clinica degli operatori.
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Bertoncini, Guest Editors: F., C. Gatta, and G. Pentella. "Nursing clinical competence in area medica." Italian Journal of Medicine, October 24, 2018, 1–83. http://dx.doi.org/10.4081/itjm.q.2018.5.

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Abstract:
Introduzione Background La nursing clinical competence Il concetto di clinical competence in medicina interna Declinare e classificare i livelli di competenza Aree di assistenza nei contesti di area medica Il paziente cronico Scompenso cardiaco La broncopneumopatia cronica e ostruttiva La cirrosi epatica La pancreatite Il diabete mellito Il delirium La depressione Il paziente critico L’ipertensione La trombosi venosa profonda L’ischemia cerebrale La disfagia Gli squilibri idroelettrolitici Le polmoniti I sanguinamenti gastro-intestinali La sepsi Il monitoraggio cardiaco La ventilazione non-invasiva L’ecografia operativa bedside Somministrazione di terapia e chemioterapia Le lesioni da pressione Il dolore Gli accessi vascolari Il paziente fragile La dimissione difficile Il fine vita Obiettivo Metodi Risultati Conclusioni Bibliografia
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Persano, Fabio. "La sedazione palliativa tra etica e diritto: la situazione italiana." Medicina e Morale 62, no. 1 (February 28, 2013). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2013.111.

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Abstract:
In materia di Legge 38/2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore, va segnalato il fatto che il legislatore non ha preso esplicitamente posizione riguardo alla sedazione terminale. Questa pratica (che consiste nella riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita della coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo – altrimenti intollerabile per il paziente – nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta, quindi, refrattario) presenta due importanti problemi etici, consistenti nella necessaria soppressione della coscienza e nel possibile abbreviamento della vita del malato. La soluzione proposta dalla bioetica personalista (l’applicazione del principio del duplice effetto, per il quale un atto è etico anche se da esso ne consegue pure un male non voluto, a determinate condizioni) viene qui riproposta ed eletta a soluzione plausibile anche sul piano giuridico, attraverso una correzione del tradizionale concetto penalistico di dolo. L’articolo è arricchito da ampi riferimenti alle linee guida della Società Italiana di Cure Palliative e contiene le raccomandazioni per la pratica clinica della sedazione terminale elaborate dal Policlinico Gemelli di Roma. ---------- With reference to the Law 38/2010 on palliative care and pain therapy, it should be noted that the legislature has not adopted a position about the palliative sedation. This practice (which consists of the intentional reduction of vigilance up to unconsciousness by pharmacological means, to reduce or abolish the perception of a symptom – otherwise intolerable for the patient – even though the most appropriate means have used for the control of the symptom, which is, therefore, refractory) raises two important ethical issues, that concern the necessary suppression of consciousness and the abbreviation of life. The solution of the Personalistic Bioethics (the application of the principle of double effect, for which an act is ethical even if it causes unintended evils, under certain conditions) is here reproposed, presenting it as plausible solution also for the legal level, through a correction of the traditional concept of malice. Furthermore, the article includes extensive references to the guidelines of the Italian Society of Palliative Care as well as to recommendations of the University Hospital “A. Gemelli” of Rome on terminal sedation
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Gentile, Rosalba. "Dall’homo patiens all’homo rebellis: analisi della nuova percezione di salute e malattia in epoca contemporanea." Medicina e Morale 61, no. 6 (December 30, 2012). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2012.117.

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Abstract:
È davvero possibile circoscrivere la variegata realtà della salute e della malattia entro un dato schema concettuale, senza rischiare di misconoscere l’essenza più autentica di queste nozioni antonimiche, eppure complementari? Muovendo da questo interrogativo, il presente articolo propone una riflessione sulla malattia e sulla salute attraverso l’analisi dei paradigmi ontologico e positivistico, dei quali si è cercato di illustrare l’impianto epistemologico e l’evoluzione teorica, allo scopo di cogliere le numerose implicazioni socio- antropologiche oltreché bioetiche della realtà suddetta. La disamina dei paradigmi in questione ha inoltre consentito di evidenziare la polivalenza semantica della salute e della malattia e quindi di concludere che la loro complessità è irriducibile sia alla visione dualistica del modello ontologico, che scinde l’unità sostanziale dei due fenomeni anzidetti, sia all’ottica quantitativa del paradigma positivista, incentrata invece sull’idea della misurabilità della natura. Infatti, come la vita contempla il grado ed esclude il metro, così le manifestazioni vitali del normale e del patologico si sottraggono a soffocanti inquadramenti epistemologici, che di essi trascurano quelle significazioni ulteriori e quelle iridescenze ermeneutiche, rilevabili, viceversa, attraverso una speculazione meno dogmatica, e dunque aperta all’interdisciplinarietà. Si ritiene altresì che le visioni ontologica e positivistica, avallando e contribuendo a diffondere specifici modelli di salute e di malattia, ne abbiano, più o meno consciamente, incentivato il graduale impoverirsi etico e simbolico; culminante, in sintesi, nella rimozione culturale delle dimensioni della morte e del dolore, nell’alterarsi del rapporto medico-paziente e nella riduzione materialistica dell’idea di salute. Ciò consegue al passaggio dall’impostazione ontologica a quella positivista: mentre la prima interpreta la salute e la malattia secondo una logica di dualismo manicheo, e dunque potenzialmente moralista, la seconda ne fornisce invece una lettura per lo più laicista e talora amorale. Questa transizione paradigmatica delinea pertanto una nuova mentalità collettiva, che, negando la realtà del patologico e assolutizzando il valore del normale, esalta il dominio di una medicina dell’utopia; la quale, non più consentanea ai bisogni effettivi della persona sofferente, tradisce una superficialità inconciliabile con la sua intima vocazione umanitaria. ---------- Is it really possible to restrict the multi-faceted reality of health and disease to a given conceptual scheme, without the risk of ignoring the essence of these opposing, but complementary notions? On the basis of this question, this article proposes a reflection on disease and health through the analysis of the ontological and the positivistic paradigms. An attempt was made to explain their epistemological systems and theoretical evolution, in order to understand the many socio-anthropological and bioethical implications of health and disease. The study of the aforesaid paradigms has also allowed to highlight the semantic polyvalence of health and illness, and to conclude that their complexity is irreducible to both the dualistic view of the ontological model – which does not maintain the essential unity of the two phenomena examined here – and to the quantitative perspective of the positivist paradigm, focused on the idea of measuring nature. In fact, as human life requires gradual change and excludes measurability, similarly the vital manifestations of the normal and the pathological escape suffocating epistemological frameworks. This is because they disregard the additional meanings and the hermeneutical nuances of health and disease that are instead detectable through a less dogmatic speculation, which would hence be open to an interdisciplinary approach. It has also been opined that the ontological and the positivist visions have, more or less consciously, induced the gradual, ethical and symbolic impoverishment of the concepts of health and disease, through endorsing and helping to disseminate specific models of them. This impoverishment culminated, in summary, in the cultural removal of death and pain, in an altered relationship between doctors and patients, and in a materialistic idea of health. This ensues from the shift from the ontological to the positivistic framework: while the first interprets health and disease according to the manichaean dualism, and therefore to a potentially moralistic view, the second explains them in a more secularist and sometimes amoral way. This paradigmatic transition outlines a new collective mentality, which denies the reality of the pathological, absolutises the value of the normal, and thus enhances the dominance of an utopian medicine. This one, as no longer corresponds to the real needs of suffering people, reveals its superficial heart and so is incompatible with its humanitarian nature.
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Guallar, Javier, Lluís Codina, Pere Freixa, and Mario Pérez-Montoro. "Disinformation, hoaxes, curation and verification: review of studies in Ibero-America 2017-2020." Online Media and Global Communication, September 28, 2022. http://dx.doi.org/10.1515/omgc-2022-0055.

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Abstract:
Abstract The objective of this article is to carry out a review of disinformation research in the Ibero-American area between 2017 and 2020. To do this, American Psychological Association standards for social scientific reviews are followed and about 60 papers published in indexed journals in Ibero-America are analyzed, as well as published books on the subject. The results are shown grouped into three parts. First, the three fundamental concepts related to disinformation are reviewed: the term of disinformation itself, as well as post-truth and infodemic. Second, the main disinformation products are studied: fake news, information disorders and hoaxes, according to their types, themes, formats, and channels. In the third part, the main strategies against disinformation are presented, reviewing the published works of two of them: content curation and fact checking. The most notable authors, by quantity of research, on the subject are Magallón-Rosa with 6 works, Ufarte-Ruiz with 4 and García-Marín with 3 works. Likewise, the studies by Dolors Palau-Sampio (2018. Fact-checking y vigilancia del poder: La verificación del discurso público en los nuevos medios de América Latina [Fact-checking and surveillance of power: The verification of public discourse in Latin America’s new media]. Communication & Society 31(3). 347–365), Ángel Vizoso & Jorge Vázquez-Herrero (2019. Plataformas de fact checking en español. Características, organización y método [Fact checking platforms in Spanish. Characteristics, organization and method]. Communication & Society 32(1). 127–144), and Carlos Rodríguez-Pérez (2019. No diga fake news, di desinformación: Una revisión sobre el fenómeno de las noticias falsas y sus implicaciones [Don’t say fake news, say disinformation: A review of the fake news phenomenon and its implications]. Comunicación 40. 65–74), can be highlighted for their analysis of disinformation in the Ibero-American area; for their analysis of the typologies of hoaxes the work of Ramón Salaverría, Nataly Buslón, Fernando López-Pan, Bienvenido León, Ignacio López-Goñi & María-Carmen Erviti (2020. Desinformación en tiempos de pandemia: tipología de los bulos sobre la covid-19 [Disinformation in times of pandemic: Typology of Covid-19 hoaxes]. El profesional de la información 29(3). e290315) and for the proposals on curation the works of López-Borrull with collaborators. Conclusions include that the phenomenon of disinformation is highly polyhedral, but society has instruments to deal with it, such as curation and verification (fact checking).
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