Journal articles on the topic 'CONCETTI SORTALI'

To see the other types of publications on this topic, follow the link: CONCETTI SORTALI.

Create a spot-on reference in APA, MLA, Chicago, Harvard, and other styles

Select a source type:

Consult the top 39 journal articles for your research on the topic 'CONCETTI SORTALI.'

Next to every source in the list of references, there is an 'Add to bibliography' button. Press on it, and we will generate automatically the bibliographic reference to the chosen work in the citation style you need: APA, MLA, Harvard, Chicago, Vancouver, etc.

You can also download the full text of the academic publication as pdf and read online its abstract whenever available in the metadata.

Browse journal articles on a wide variety of disciplines and organise your bibliography correctly.

1

Mackie, Penelope. "Sortal Concepts and Essential Properties." Philosophical Quarterly 44, no. 176 (July 1994): 311. http://dx.doi.org/10.2307/2219612.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
2

Baillie, James. "Identity, Survival, and Sortal Concepts." Philosophical Quarterly 40, no. 159 (April 1990): 183. http://dx.doi.org/10.2307/2219810.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
3

WIGGINS, DAVID. "Sortal Concepts: A Reply To Xu." Mind & Language 12, no. 3-4 (May 4, 2007): 413–21. http://dx.doi.org/10.1111/j.1468-0017.1997.tb00081.x.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
4

Wiggins, David. "Sortal Concepts: A Reply To Xu." Mind and Language 12, no. 3&4 (September 1997): 413–21. http://dx.doi.org/10.1111/1468-0017.00055.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
5

Xu, Fei. "Sortal concepts, object individuation, and language." Trends in Cognitive Sciences 11, no. 9 (September 2007): 400–406. http://dx.doi.org/10.1016/j.tics.2007.08.002.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
6

Noonan, H. "Moderate Monism, Sortal Concepts, and Relative Identity." Monist 96, no. 1 (January 1, 2013): 101–30. http://dx.doi.org/10.5840/monist20139616.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
7

Suzuki, Ikuro. "The Paradox of Coincidence and Sortal Concepts." Kagaku tetsugaku 41, no. 1 (2008): 15–28. http://dx.doi.org/10.4216/jpssj.41.1_15.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
8

Rhemtulla, Mijke, and Fei Xu. "Postscript: Sortal concepts are fundamental for tracing identity." Psychological Review 114, no. 4 (2007): 1095. http://dx.doi.org/10.1037/0033-295x.114.4.1095.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
9

Kim, Joongol. "The sortal resemblance problem." Canadian Journal of Philosophy 44, no. 3-4 (August 2014): 407–24. http://dx.doi.org/10.1080/00455091.2014.959359.

Full text
Abstract:
Is it possible to characterize the sortal essence of Fs for a sortal concept F solely in terms of a criterion of identity C for F? That is, can the question ‘What sort of thing are Fs?’ be answered by saying that Fs are essentially those things whose identity can be assessed in terms of C? This paper presents a case study supporting a negative answer to these questions by critically examining the neo-Fregean suggestion that cardinal numbers can be fully characterized as those things whose identity can be assessed in terms of one-one correspondence between concepts.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
10

Leonard, Nick, and Lance J. Rips. "Identifying and counting objects: The role of sortal concepts." Cognition 145 (December 2015): 89–103. http://dx.doi.org/10.1016/j.cognition.2015.08.003.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
11

Andreatta, Filippo. "LA POLITICA INTERNAZIONALE NELL'ERA DELLA GLOBALIZZAZIONE." Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 33, no. 1 (April 2003): 3–29. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200026952.

Full text
Abstract:
IntroduzioneCome spesso accade ai concetti di gran moda, anche la globalizzazione è presa a prestito nelle accezioni più disparate. Invocato come deus ex machina per spiegare ogni sorta di fenomeno sociale, il concetto rischia di perdere la sua utilità e di non spiegare più nulla (Sartori 1979). Un concetto è infatti utile nella misura in cui specifica un insieme di fenomeni al quale è applicabile, distinguendoli dagli altri. Se un concetto è applicato ad ogni situazione, la sua (sovra-)estensione così generalizzata ne assottiglia l'intensione, cioè la sua capacità di specificare e di spiegare i fenomeni. Un'estensione senza limiti porta ad una completa evanescenza esplicativa perché non si può attribuire la stessa causa ad un fenomeno e al suo contrario. La globalizzazione rischia questo fato in quanto utilizzata in una tale varietà di contesti da rendere estremamente ardua una sua definizione precisa. Se il concetto significa per ciascuno una cosa diversa, allora si entra in una torre di Babele nella quale ognuno parla la propria lingua senza possibilità di confrontarsi con gli altri.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
12

Srinivasan, Mahesh, Eleanor Chestnut, Peggy Li, and David Barner. "Sortal concepts and pragmatic inference in children’s early quantification of objects." Cognitive Psychology 66, no. 3 (May 2013): 302–26. http://dx.doi.org/10.1016/j.cogpsych.2013.01.003.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
13

Rhemtulla, Mijke, and Fei Xu. "Sortal concepts and causal continuity: Comment on Rips, Blok, and Newman (2006)." Psychological Review 114, no. 4 (2007): 1087–94. http://dx.doi.org/10.1037/0033-295x.114.4.1087.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
14

Gomez, Iris, and Alan D. Manning. "The continuity paradox and emergent linguistic structure: Discontinuous sortal concepts versus the innate syntax hypothesis." Lingua 103, no. 4 (December 1997): 195–223. http://dx.doi.org/10.1016/s0024-3841(97)00019-3.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
15

Xu, Fei, Susan Carey, Kyra Raphaelidis, and Anastasia Ginzbursky. "Twelve-month-old infants represent sortal concepts more specific than object: Further evidence from reaching." Infant Behavior and Development 19 (April 1996): 832. http://dx.doi.org/10.1016/s0163-6383(96)90886-3.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
16

Ruggiero, Giuseppe. "Un oceano di silenzio. Omaggio a Franco Battiato." PSICOBIETTIVO, no. 1 (March 2022): 155–61. http://dx.doi.org/10.3280/psob2022-001012.

Full text
Abstract:
Prendendo spunto dalle immagini di un documentario recentemente trasmesso dalla Rai in memoria di Franco Battiato, l'Autore propone una sua personale rilettura di alcune delle piu celebri opere musicali del cantautore siciliano, che rappresentano una sorta di itinerario simbolico ricco di spunti anche per la formazione e la crescita personale del terapeuta. In particolare, egli prende in esame alcune tematiche centrali della poetica di Battiato: la consapevolezza di se, oltre gli automatismi comportamentali, il rapporto dell'uomo con il sacro, l'attualita di costrutti fondamentali delle filosofie orientali, tra cui il concetto di morte e rinascita.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
17

Mosca, Maria N. "La sublimazione come capacità dell'analista e come funzione. Una solidarietà sublimata." PSICOTERAPIA PSICOANALITICA, no. 2 (November 2022): 143–51. http://dx.doi.org/10.3280/psp2022-002009.

Full text
Abstract:
In questo scritto l'autrice propone come sia interessante abbinare al concetto pulsionale di S. Freud sulla sublimazione, la posizione teorica di S. Ferenczi, che connota il concetto di sublimazione con un valore aggiunto: una capacità che l'analista pone al servizio del paziente in una sorta di lavoro della sublimazione: la solidarietà sublimata. Questo lo si può trovare in diversi suoi articoli in cui evidenzia come, nella complessità della relazione tra analista e paziente, vi siano aspetti fun-zionali alla cura ancora non teorizzati. Il lavoro della sublimazione in seduta, implica un lavoro della simbolizzazione della coppia analitica, in cui l'analista medium (S. Ferenczi) e il medium malleabile (R. Roussillon), contribuendo a tali forma-zioni simboliche, svolgono un compito fondamentale. Si accenna il lavoro con i pazienti lì dove non vi sono rappresenta-zioni simboliche, riportando un flash clinico.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
18

Bella, Andrée. "Ian Hacking e il bambino abusato. Dalla prefettura di polizia al dipartimento di filosofia." PARADIGMI, no. 1 (April 2011): 175–85. http://dx.doi.org/10.3280/para2011-001011.

Full text
Abstract:
L'articolo presenta alcuni temi importanti dell'epistemologia delle scienze psichiche di Hacking e dei suoi studi sul concetto di "abuso su minore". La storia della nozione di abuso e la sua progressiva medicalizzazione sono secondo Hacking un esempio della circolaritŕ classificatoria che egli attribuisce alle conoscenze nelle scienze dell'uomo. Per un meccanismo di interazioni fra esperti e pubblico, il termine "abuso su minore" copre, a partire dagli anni Sessanta, un numero sempre maggiore di comportamenti, fino a divenire una sorta di tabů attorno a cui si č catalizzata una rilevante attenzione pubblica e mediatica che contribuirebbe a provocare forti cambiamenti di tipo socio-culturale.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
19

MANCOSU, PAOLO. "IN GOOD COMPANY? ON HUME’S PRINCIPLE AND THE ASSIGNMENT OF NUMBERS TO INFINITE CONCEPTS." Review of Symbolic Logic 8, no. 2 (January 16, 2015): 370–410. http://dx.doi.org/10.1017/s1755020314000471.

Full text
Abstract:
AbstractIn a recent article (Mancosu, 2009), I have explored the historical, mathematical, and philosophical issues related to the new theory of numerosities. The theory of numerosities provides a context in which to assign ‘sizes’ to infinite sets of natural numbers in such a way as to preserve the part-whole principle, namely if a setAis properly included inBthen the numerosity ofAis strictly less than the numerosity ofB. Numerosity assignments differ from the standard assignment of size provided by Cantor’s cardinality assignments. In this paper I generalize some worries, raised by Richard Heck, emerging from the theory of numerosities to a line of thought resulting in what I call a ‘good company’ objection to Hume’s Principle (HP). The paper is centered around five main parts. The first (§3) takes a historical look at nineteenth-century attributions of equality of numbers in terms of one-one correlation and argues that there was no agreement as to how to extend such determinations to infinite sets of objects. This leads to the second part (§4) where I show that there are countably-infinite many abstraction principles that are ‘good’, in the sense that they share the same virtues of HP (or so I claim) and from which we can derive the axioms of second-order arithmetic. All the principles I present agree with HP in the assignment of numbers to finite concepts but diverge from it in the assignment of numbers to infinite concepts. The third part (§5) connects this material to a debate on Finite Hume’s Principle between Heck and MacBride. The fourth part (§6) states the ‘good company’ objection as a generalization of Heck’s objection to the analyticity of HP based on the theory of numerosities. In the same section I offer a taxonomy of possible neo-logicist responses to the ‘good company’ objection. Finally, §7 makes a foray into the relevance of this material for the issue of cross-sortal identifications for abstractions.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
20

Giovannella, Carlo. "DULP: complessità , organicità , liquidità." Interaction Design and Architecture(s), no. 7_8 (September 20, 2009): 11–15. http://dx.doi.org/10.55612/s-5002-007_8-001.

Full text
Abstract:
Un intervento che, senza pretese di universalità ontologica, intende contribuire alla costruzione di una visione condivisa sulla natura di un sistema complesso, nella speranza che essa possa fungere da quadro di riferimento, flessibile, entro il quale ragionare del DULP. A partire dalla descrizione di alcuni comportamenti identificativi della natura complessa di un sistema, si procederà€ nella descrizione di alcuni ingredienti e di alcuni tratti caratterizzanti la complessità sistemica con l’obiettivo di identificare i ‘motori’ delle ‘emergenze’ e le corrispondenze tra sistemi complessi e organici. La presa d’atto della rilevanza del contesto ci condurrà ai concetti di coevoluzione e liquidità€ sistemica. La mappatura di tale quadro al mondo dell’apprendimento e l’assunto della centralità della persona ci condurranno alla valorizzazione degli approcci ai processi ‘design inspired’ e a discutere alcune delle caratteristiche di quello che potremmo definire una sorta di lento crossover verso l’affermarsi di un nuovo paradigma.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
21

Senegačnik, Brane. "La via romana e la possibilità di un‘ identità culturale aperta." Ars & Humanitas 16, no. 1 (December 22, 2022): 113–29. http://dx.doi.org/10.4312/ars.16.1.113-129.

Full text
Abstract:
Certamente non è facile distinguere l’eredità culturale latina dall’imperialismo romano, poiché in questo caso si tratta di una sorta di espansionismo culturale – nondimeno il filosofo francese Rémi Brague ha cercato, senza trascurare la realtà storica, di definire come suo tratto centrale l’eccentricità, cioè il fatto di trarre la propria identità da una fonte esterna. Partendo dal concetto che la cultura é un elemento acquisito, qualcosa di secondario, la cultura medesima in quest’accezione, che sorge dalla propria alterità rispetto all’altro, acquisisce un ruolo estremamente importante. Quest’atteggiamento viene definito come «via romana» e viene considerato dall’autore una formula specifica che definisce l’evoluzione di tutta la cultura europea. Le sue fonti esterne sono la grecità, che la cultura europea ha ereditato dal paganesimo romano, e la tradizione religiosa ebraica nella quale è radicato il cristianesimo. Sembra che questa formula si sia realizzata nel contesto reale in base a due presupposti: il primo è – aldilà delle inevitabili dinamiche trasformazioni – un minimo nucleo duraturo; il secondo una realtà antropologica che rappresenta un elemento di trascendenza rispetto alle singole realtà culturali, al quale tutte appartengono. Quest’ultimo concetto, che è stato alcuni decenni fa sottolineato da Leszek Kołakowski, pone un’interessante sfida ai paradigmi scientisti della sociologia attuale ed inaugura nuovi aspetti alla discussione riguardo all’imperialismo.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
22

Saketopoulou, Avgi. "Pensare psicoanaliticamente, pensare meglio: riflessioni sul transgender." PSICOTERAPIA E SCIENZE UMANE, no. 1 (March 2021): 61–76. http://dx.doi.org/10.3280/pu2021-001007.

Full text
Abstract:
Viene sfatato il mito secondo cui il genere (gender) sarebbe un concetto non psicoanalitico imposto agli psicoanalisti da altre discipline (ad esempio dalla sociologia) e/o da attivisti, e sostenuto che vada sdrammatizzato il discorso sul transgender in modo che possiamo lavorare e pensare collettivamente sui gender complessi e sulle loro varie incarnazioni. Ciò implica che si riesca a identificare il motivo per cui la categoria della incarnazione transgender ha prodotto una tale crisi nel nostro campo - cercare cioè le fonti di questa crisi internamente piuttosto che esternamente. Questa crisi è sorta in parte perché il tema del trans ha confrontato gli analisti con i limiti delle teorie consolidate sul corpo, sulla categoria dell'azione e, in alcune scuole psicoanalitiche, sul duraturo primato della fantasia filogenetica. Gli psicoanalisti vengono esortati a impegnarsi in questa crisi in modo produttivo ripensando, cioè pensando meglio, il tema del transgender.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
23

Cardia, Carlo. "Identitŕ religiosa e culturale europea: la questione del crocifisso." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 1 (December 2010): 33–66. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2010-001003.

Full text
Abstract:
La presenza del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia č stata ritenuta incompatibile con la libertŕ di religione e di educazione dalla Corte di Strasburgo, con una sentenza (Lautsi) che appare in contrasto con la giurisprudenza costante della stessa Corte, la quale riconosce agli stati un ampio margine di apprezzamento in materia della libertŕ religiosa, a tal fine richiamandosi alla tradizione dei singoli paesi. La sentenza, disattendendo il suo stesso criterio di valutazione, che impone di esaminare il contesto storico-culturale, perviene, con una sorta di atteggiamento di ‘iconoclastia laica', a un concetto limitato e fuorviante di educazione delle nuove generazioni. Infatti, se si concepisce il simbolo religioso come un elemento negativo e conturbante, i bambini cresceranno con un senso di ostilitŕ verso questi simboli, come se fossero fattori di divisione, e il rapporto tra religioni diverrebbe un rapporto diffidente, ostile e potenzialmente conflittuale. Senza poi considerare il fatto che il diritto di una maggioranza religiosa va tutelato con la stessa cura di quelli delle minoranze.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
24

Presciuttini, Silvia. "Maschere e volti nel setting ai tempi della pandemia." STUDI JUNGHIANI, no. 54 (February 2022): 85–100. http://dx.doi.org/10.3280/jun54-2021oa13064.

Full text
Abstract:
L'"emergenza sanitaria" ha costretto gli analisti a cercare modalità inedite per proseguire l'analisi. L'articolo si sofferma in particolare sui cambiamenti apportati nel setting dalla presenza della mascherina sanitaria, tracciando un excursus che dal tema della "maschera" negli usi collettivi delle culture umane si svolge attraverso il concetto junghiano di Persona, in contrapposizione al tema del "volto" come immagine autentica del sé. Una vignetta clinica illustra le criticità apportate dalla mascherina nel setting, nel suo ostacolare la comunicazione delle emozioni. In mancanza di un'elaborazione trasformativa dei dati concreti, anche lo "smascheramento" può condurre a un incontro destabilizzante. Nei momenti di oscurità e confusione che si attraversano in analisi, l'analista sperimenta quella sorta di "identità inconscia" fra terapeuta e paziente che Jung ha definito Nigredo. Il corpo sottile acquista allora caratteri di gravità, pesantezza, spessore, che ne danneggiano la qualità trasformativa. 
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
25

Jardilino Maciel, Antonio Frank. "Uno sguardo sulla questione della temporalità." Perspectivas 4, no. 2 (March 23, 2020): 23–51. http://dx.doi.org/10.20873/rpv4n2-58.

Full text
Abstract:
Nel contesto scientifico la plasticità e l’epigenesi sono divenuti due dei concetti più pregnanti del nostro tempo. Il primo, dislocato dal suo ambito originario, cioè l’estetica, continua a rivelare il suo potenziale filosofico, scientifico ed epistemologico. Nel pensiero di Catherine Malabou, la plasticità ha subito una vera e propria metamorfosi concettuale – dalla plasticità della temporalità alla plasticità cerebrale –, riferendosi alla capacità di ricevere e dare una forma. Allo stesso tempo, la “bomba al plastico” è una sostanza che provoca violentissime deflagrazioni. Nel primo caso, la plasticità ha una valenza positiva, venendo concepita come una sorta di lavoro “scultoreo” in senso biologico. La plasticità struttura l’identità, costituisce la sua storia, la temporalità e l’avvenire di una soggettività vivente. Nel secondo, la plasticità è una pura negazione. Nessuno pensa alla “plasticità cerebrale” come il lavoro radicale del negativo all’opera nelle lesioni cerebrali, nella deformazione o nella rottura delle connessioni neuronali, nelle sofferenze psichiche, nelle strutturazioni che avvengono nel vivente, nei traumi vari, nelle catastrofi naturali e politiche, nelle malattie neurodegenerative. Nella sua evoluzione teorica la plasticità verrà articolata in stretta relazione con lo sviluppo neuronale. La neuroplasticità, come concetto scientifico, ci consente di stabilire un ancoraggio biologico alla questione della formazione e decostruzione della soggettività e della temporalità. In questo senso, la plasticità non è il semplice riflesso del mondo, ma è frutto di un’istanza biologica conflittuale che rivela la forma di un altro mondo possibile. Da un lato, l’elaborazione di un pensiero dialettico in ambito neuronale, inteso come sviluppo neuroplastico, ci permette di uscire dalla stretta alternativa tra riduzionismo e antiriduzionismo, la quale è sempre rappresento il limite teorico della filosofia occidentale degli ultimi anni. Dall'altro, è possibile assumere il carattere trascendentale del pensiero totalmente connessa alla sua materialità. La nozione di epigenesi, in questo caso, si afferma come una “nuova forma di trascendentale”. Come figura biologica l’epigenesi si pone come condizione di possibilità della conoscenza e della razionalità rivelando, pertanto, la sua caratteristica a priori. Per mezzo delle nozioni di plasticità ed epigenesi il tempo può essere indagato in stretta connessione con la vita, con lo sviluppo organico del vivente, oltre che a permetterci una nuova visione della soggettività.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
26

Cogliani, Maurizio. "Musica e bellezza. Sinestesia etico-estetica e origine del pensiero creativo." EDUCAZIONE SENTIMENTALE, no. 16 (September 2011): 105–23. http://dx.doi.org/10.3280/eds2011-016008.

Full text
Abstract:
La nota affermazione del principe Miskin nell'Idiota di Dostoevskij («La bellezza salverŕ il mondo»), offre una singolare chiave di lettura che, sulla base di un'interpretazione letterale del testo russo, conduce a invertire i termini della frase: "Il mondo salverŕ la bellezza". Affinché ciň sia possibile, č necessario che il mondo recuperi l'essenza del bello che consiste nella sua gratuitŕ; nell'essere, cioč, irriducibile a ogni definizione, e che pertanto trova un imprescindibile punto di riferimento nellaplotiniana, tradotta col termine "grazia". La grazia, per la sua neutralitŕ, rappresenta lo spazio aperto in cui far interagire la bellezza e il mondo: ciň che rende possibile un'esperienza che č insieme estetica ed etica. Il carattere immediato della grazia puň essere poi riferito sul piano psicoanalitico all'in quanto cognizione intuitiva propria del procedimento inconscio che attiva successivamente il processo consapevole su un piano culturale, linguistico, storico. Recuperando, quindi, nella gratuitŕ della bellezza anche la componente psicoanalitica che dall'inconscio arriva alla consapevolezza di sé, si amplia il significato stesso di bellezza e dell'esperienza estetica, la quale si contrassegna come conoscenza estesico-estetica che consiste primariamente nell'esercizio di una sensibilitŕ in grado di percepire ed elaborare sensazioni tramite l'. All'incrocio tra etica ed estetica si pone l'esperienza musicale. Nella sua sostanziale intraducibilitŕ, la musica č veicolo o "contenitore di risonanza" per le emozioni: il simbolo musicale appare oggettivamente come significante vuoto che mentre vanifica l'orizzonte dei concetti definiti, evoca quello indefinito dell'immaginazione e degli affetti. L'ascolto musicale, dunque, attiva una percezione interiore, una sorta di "insight estetico" (Di Benedetto, 2000) a livello inconscio, di per sé intraducibile in quanto proprio delle forme del pensiero simmetrico (Matte Blanco, 1981), suscettibile, poi, di essere dispiegato attraverso le relazioni asimmetriche proprie del pensiero logico. Č in questa chiave che puň essere interpretato il concetto di "tensione rinviante" (Morelli, 2010): qualitŕ evolutiva tipicamente umana che ci rende capaci di creare quello che ancora non c'č e di innovare l'esistente. Le esperienze estetiche che emergono dalle categorie a cui questa tensione rinvia hanno nella discontinuitŕ e nella creazione dell'inedito un fattore comune che in musica si ritrova a livello sia compositivo che improvvisativo. In conclusione, la musica, evocando e inducendo emozioni, rimanda a una dimensione di senso il cui nucleo č costituito dalla confluenza di sentire e pensare e che, nell'infinita combinazione di simmetrico e asimmetrico, rivela il vero volto della creativitŕ, in un processo che coinvolge anche la conoscenza e l'apprendimento.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
27

Fioretti, Fabrizio. "Il termine "mafia"." Tabula : periodicus Facultatis philosophicae Polensis; rivista della Facoltà di lettere e filosofia; Journal od the Faculty of Humanities No. 9 (2011): 64–77. http://dx.doi.org/10.32728/tab.09.2011.4.

Full text
Abstract:
Data la confusione venutasi a creare nel corso della storia passata e recente, si propone uno studio incentrato sulla questione relativa al termine "mafia". Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, "mafia" oggi è un termine polisemico che non significa solo criminalità organizzata o stragi ma anche lealtà, giustizia, coraggio, potere, intrigo. Compito di questo breve saggio è di capire quali sono gli eventi che hanno contribuito a fare di "mafia" un termine polisemico. In questo senso, dopo una prima parte introduttiva volta a chiarire l’introduzione di questo termine nel vocabolario italiano, sono stati individuati tre principali punti di svolta. Il primo riguarda la delicata situazione politica italiana di fine Ottocento quando il termine, trovatosi in mezzo alle dispute politiche e culturali tra meridione e settentrione, si fece carico di numerosi significati e interpretazioni, che ne alterarono irrimediabilmente sia l’uso sia la funzione. Il secondo riguarda l’introduzione del concetto di "Cosa Nostra", che trasformò il termine in una sorta di sinonimo universale di criminalità organizzata senza nessun tipo di differenziazione concettuale o regionale. Il terzo riguarda l’utilizzo del termine nel ramo cinematografico, televisivo e di conseguenza in quello pubblicitario e virtuale che sta portando il termine verso significati sempre più lontani da quello originario.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
28

Piperno, Flavia. "Dalla catena della cura al welfare globale. L'impatto delle migrazioni sui regimi di cura nei contesti di origine e le nuove sfide per una politica di co-sviluppo sociale." MONDI MIGRANTI, no. 3 (March 2011): 47–61. http://dx.doi.org/10.3280/mm2010-003004.

Full text
Abstract:
Il mio articolo analizza alcuni aspetti dell'impatto sociale delle migrazioni sui contesti di origine. A questo scopo utilizzo il concetto del ‘diamante della cura', analizzato da diversi autori come Evers (1996), Jenson (2003) e Kofman e Raghuram (2009). Si tratta di una sorta di rombo; ognuno dei quattro angoli del rombo rappresenta un attore della cura: al vertice troviamo la famiglia, poi lo Stato (il livello nazionale e locale), la comunitŕ (Ong, no profit, volontariato, cooperazione sociale, etc.), e infine il mercato. L'articola analizza come l'emigrazione, specie quella femminile, incide su ognuno di questi quattro livelli comportando nuovi problemi e opportunitŕ che dovrebbero essere presi in considerazione dalle politiche sociali e di cooperazione allo sviluppo. L'articolo presenta alcuni dei principali ri-sultati di diversi programmi di ricerca portati avanti dal CeSPI a partire dal 2005. Nell'ambito di questi programmi, l'analisi di campo č stata portata avanti in Romania, Ucraina, Ecuador e Perů: alcuni dei principali paesi di provenienza del flusso migratorio femminile diretto all'Italia. Nell'articolo analizzo anche la possibilitŕ di attivare strategie "win win" che beneficino, cioč, contemporaneamente i paesi di arrivo e di origine. In questo contesto cito alcune buone pratiche che hanno puntato a promuovere uno sviluppo sociale comune e transnazionale valorizzando i flussi migratori indirizzati al settore socio-sanitario e della cura.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
29

Lin, Tong, Lars O. Tjernberg, and Sophia Schedin-Weiss. "Neuronal Trafficking of the Amyloid Precursor Protein—What Do We Really Know?" Biomedicines 9, no. 7 (July 10, 2021): 801. http://dx.doi.org/10.3390/biomedicines9070801.

Full text
Abstract:
Alzheimer’s disease (AD) is the most common type of dementia, contributing to 60–80% of cases. It is a neurodegenerative disease that usually starts symptomless in the first two to three decades and then propagates into a long-term, irreversible disease, resulting in the progressive loss of memory, reasoning, abstraction and language capabilities. It is a complex disease, involving a large number of entangled players, and there is no effective treatment to cure it or alter its progressive course. Therefore, a thorough understanding of the disease pathology and an early diagnosis are both necessary. AD has two significant pathological hallmarks: extracellular senile plaques composed of amyloid β-peptide (Aβ) and intracellular neurofibrillary tangles composed of hyperphosphorylated tau protein, and the aggregation of Aβ, which starts in earlier stages, is usually claimed to be the primary cause of AD. Secretases that cleave Aβ precursor protein (APP) and produce neurotoxic Aβ reside in distinct organelles of the cell, and current concepts suggest that APP moves between distinct intracellular compartments. Obviously, APP transport and processing are intimately related processes that cannot be dissociated from each other, and, thus, how and where APP is transported determines its processing fate. In this review, we summarize critical mechanisms underlying neuronal APP transport, which we divide into separate parts: (1) secretory pathways and (2) endocytic and autophagic pathways. We also include two lipoprotein receptors that play essential roles in APP transport: sorting-related receptor with A-type repeats and sortilin. Moreover, we consider here some major disruptions in the neuronal transport of APP that contribute to AD physiology and pathology. Lastly, we discuss current methods and technical difficulties in the studies of APP transport.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
30

Pancerz, Roland Marcin. "Hermeneutyka antropomorfizmów biblijnych u Dydyma Ślepego." Vox Patrum 55 (July 15, 2010): 521–34. http://dx.doi.org/10.31743/vp.4354.

Full text
Abstract:
Uno dei scrittori del IV secolo, che si è inserito nella controversia antropomorfita sorta in quel secolo tra i monaci del deserto egiziano, è Didimo il Cieco d’Alessandria. Nel suo Commento ai Salmi troviamo due immediate menzioni del gruppo degli antropomorfiti e la confutazione del loro errore. L’Alessandrino rimprovera loro di riferire l’essere ad immagine di Dio (Gen 1, 26) al corpo umano, di capire gli antropomorfismi biblici su Dio letteralmente, e in conseguenza di credere che Dio veramente abbia membra umane e una forma esteriore. Commentando molti frammenti biblici che parlano di Dio in questo modo, Didimo spesso mette in rilievo la necessità di un’adeguata interpretazione di tali espressioni. Il fondamentale principio interpretativo – desunto peraltro dalla tradizione anteriore – è quello di intendere queste parole qeoprepîj, cioè in modo degno di Dio, adeguato alla natura di Dio. Il significato degli antropomorfismi non può essere quello suggerito immediatamente dalla lettera della Scrittura, ma deve essere strettamente sottoposto al concetto della realtà a cui essi si riferiscono. Si deve quindi tener conto che Dio è un essere immateriale, spirituale, invisibile, privo di forma e grandezza, incomposto, immutabile, non legato ad alcun posto e libero dalle passioni umane. Nella sua teoria ermeneutica Didimo sembra pure richiamare l’attenzione sulla regola dell’analogia della fede. Nell’interpretazione degli antropomorfismi trova un ampio uso il metodo allegorico, ciò che del resto è tipico per la scuola alessandrina. Così lo scrittore ricava dalle espressioni antropomorfiche della Scrittura diversi significati, non di rado molto profondi: „il volto” di Dio è per esempio il Figlio di Dio oppure la stessa esistenza di Dio, le sue idee o la sua salvezza; lo scrutare gli uomini attraverso „le palpebre” (Sal 10, 4) esprime la divina clemenza nel giudizio; „il grembo” e „il cuore” di Dio Padre, da cui è generato il Figlio, indicano la stessa sostanza del Padre; “le mani” di Dio significano le sue varie potenze (creatrice, punitiva, protettrice), poi i due Testamenti, e infine il Figlio e lo Spirito Santo – due mediatori del Padre nella creazione del mondo; “l’ira” di Dio indica un castigo o un travaglio mandati da Lui, oppure le potenze che fanno il servizio di punizione. Ovviamente in queste interpretazioni Didimo risente spesso della tradizione anteriore (Filone e Origene). Grazie alla presa di posizione contro l’antropomorfismo Didimo appare a noi come un teologo maturo che difende l’immaterialità e la trascendenza di Dio, sa interpretare saggiamente la Scrittura e riesce a ricavarne numerosi e validi contenuti teologici.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
31

Marongiu, Cinzia. "Cartografie di appartenenza: Igiaba Scego e Kym Ragusa l'affermazione di identità plurali." Italica 99, no. 1 (March 1, 2022): 106–18. http://dx.doi.org/10.5406/23256672.99.1.08.

Full text
Abstract:
Abstract La traiettoria biografica di Kym Ragusa e Igiaba Scego e delle loro rispettive famiglie non è la stessa: mentre i nonni dell'autrice italo-afroamericana Kym Ragusa si sono spostati dall'Italia in America, i genitori di Igiaba Scego sono scappati dalla Somalia per raggiungere l'Italia. Ciò nonostante, le due autrici e le loro narrazioni hanno diversi punti in comune: entrambe sono di origine africana, entrambe parlano di una generazione di confine ed entrambe mostrano fiere un'identità multipla che mette in crisi le linee di demarcazione tracciate dal discorso dominante che vuole l'appartenenza identitaria come qualcosa di circoscritto e fisso. Ragusa e Scego mettono in discussione il vecchio dibattito sull'appartenenza nei loro racconti polietnici, evidenziando come non esista un unico paradigma attraverso cui definire la loro identità, perché le loro molteplici appartenenze identitarie non si possono descrivere con un carattere e/o fissare in una posizione stabile. Scego e Ragusa sono autrici dall'identità liquida che non tollerano distinzioni e separazioni. Questo è evidente in modo particolare nel romanzo di Igiaba Scego La mia casa è dove sono e nel memoir di Kym RagusaLa pelle che ci separa, dove le protagoniste sono delle creature doppie, delle “equilibriste in bilico” (termine usato da entrambe le autrici) fra due mondi (Scego 2010: 55). L'obiettivo di Kym Ragusa e Igiaba Scego in queste due opere è quello di resuscitare il “cadavere” di un passato dimenticato per “rimettere la carne sulle ossa” (Ragusa 95), ossia riempire i buchi della loro storia riscoprendo la ricchezza nella diversità delle loro origini. Le protagoniste di La mia casa è dove sono e di La pelle che ci separa tracciano una sorta di mappa, attraverso le storie dei loro antenati, che riflette il percorso geografico degli spostamenti della loro famiglia: percorso che permette loro di ricostruire la propria identità arricchendola di punti di vista, memorie e immagini. In questo articolo mi concentrerò principalmente sui temi e le trame di questi due libri, analizzandone le similarità e le differenze. Mostrerò come le protagoniste riescano a fondere la loro cultura d'origine e la cultura d'arrivo facendo delle loro eredità etniche un ponte (Igiaba Scego) / un crocevia (Kym Ragusa) che unisce e non separa. Durante la mia analisi, mi soffermerò in particolar modo sulla memoria coloniale e quella di immigrazione, sui sentimenti di appartenenza, sulla nozione di doppia coscienza (quella italiana e quella africana), il concetto di identità interstiziale (a metà tra la cultura di partenza e quella di arrivo, mitad y mitad per usare le parole della Anzaldúa) e di luoghi interstiziali (in between dirla come Homi Bhabba) dove l'ibridazione diviene possibile e immaginabile, come la Sicilia per Kym Ragusa e Roma per Igiaba Scego. Concluderò dimostrando come, in entrambi i memoir, l'ibridità, che appare inizialmente come una spaccatura tra due sfere culturali incompatibili, si sana attraverso la ricomposizione i ricordi e la conciliazione delle diverse componenti identitarie delle due protagoniste.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
32

Freund, Max A. "Predication and sortal concepts." Synthese, November 27, 2018. http://dx.doi.org/10.1007/s11229-018-02030-7.

Full text
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
33

Frati, Fulvio. "Dalla ‘mente isolata’ al ‘volo degli storni’." Ricerca Psicoanalitica 33, no. 3 (December 30, 2022). http://dx.doi.org/10.4081/rp.2022.648.

Full text
Abstract:
Attraverso una sorta di ‘viaggio nel tempo’, questo lavoro vuole darsi il compito di presentare un breve aggiornamento sui più recenti sviluppi del concetto di ‘cura del soggetto’ in psicoanalisi. In particolare, si pone qui l’accento sulla visione terapeutica che caratterizzava gli albori di questa disciplina, sostanzialmente orientata in senso unidirezionale dal terapeuta al paziente, e sul suo passaggio alla prospettiva attualmente invece dominante, che è diversa in quanto si fonda invece sul concetto di ‘mutualità’. In tale più recente visione, i cambiamenti nel tempo dell’assetto psichico del paziente traggono origine dai cambiamenti che il paziente stesso ha, per lo più inconsapevolmente, a sua volta prodotto nel tempo nell’assetto psichico del terapeuta che si è occupato e si sta occupando di lui. Tutto ciò sulla base di concetti e modelli che sono entrati nella sfera di interesse delle psicoanalisi soltanto in questi ultimi decenni, quali ad esempio la ‘Teoria del caos’ e le varie teorie sistemiche che si sono sviluppate a partire dalla ‘Teoria generale dei sistemi’ di Ludwig Von Bertalanffy sino ai più recenti modelli di interpretazione dei ‘Sistemi complessi dinamici non lineari’.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
34

Dasare, Vivek, and Shailesh Kinge. "The CONCEPTUAL STUDY OF RASAVAHA SORTAS & HRIDAYA." National Journal of Research in Ayurved Science 7, no. 07 (November 29, 2019). http://dx.doi.org/10.52482/ayurlog.v7i07.451.

Full text
Abstract:
Ayurveda is ancient science of life. Swasthyarakshanam and Vyadhiparimoksha are it’s main objectives. Many Fundamental principles and concepts are explained in Ayurveda. Concept of srotas is one of them. Briefly srotas means channels which are Aakasha mahabhut pradhan structures. Rasavaha srotas is an important srotas related to rasadhatu formation and transportation. Hridaya is mula sthan of rasavaha srotas. So this present article is an attempt to study the concept of rasavaha srotas and the relationship between Hridaya Rog and resavahasrotodushtihetu.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
35

Luzi, Alfredo. "<<Dentro la lingua avita>>. La nominazione in Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini." Toruńskie Studia Polsko-Włoskie, December 17, 2020, 191–204. http://dx.doi.org/10.12775/tsp-w.2020.012.

Full text
Abstract:
La poetica della parola è l’asse portante della scrittura di Mario Luzi, a partire dalle prime prove ermetiche impostate sull’idea neoplatonica della parola come rivelazione dell’essere fino agli assillanti interrogativi che intessono gli ultimi componimenti e che sono la traccia di un profondo dubbio epistemologico, non risolto dall’adesione del poeta alla fede cristiana.I saggi critici, che accompagnano come una sorta di autocommento la produzione in versi, sono disseminati da una serie di riflessioni sulla potenzialità dell’atto poetico che si configurano come complesso “itinerario del dicibile”.Nell’arco di più di mezzo secolo Luzi progressivamente innesta il concetto ebraico di davar a quello greco di logos, perno filosofico e teologico della poetica ermetica.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
36

Debelouchina, Galia T., and Tom W. Muir. "A molecular engineering toolbox for the structural biologist." Quarterly Reviews of Biophysics 50 (2017). http://dx.doi.org/10.1017/s0033583517000051.

Full text
Abstract:
AbstractExciting new technological developments have pushed the boundaries of structural biology, and have enabled studies of biological macromolecules and assemblies that would have been unthinkable not long ago. Yet, the enhanced capabilities of structural biologists to pry into the complex molecular world have also placed new demands on the abilities of protein engineers to reproduce this complexity into the test tube. With this challenge in mind, we review the contents of the modern molecular engineering toolbox that allow the manipulation of proteins in a site-specific and chemically well-defined fashion. Thus, we cover concepts related to the modification of cysteines and other natural amino acids, native chemical ligation, intein and sortase-based approaches, amber suppression, as well as chemical and enzymatic bio-conjugation strategies. We also describe how these tools can be used to aid methodology development in X-ray crystallography, nuclear magnetic resonance, cryo-electron microscopy and in the studies of dynamic interactions. It is our hope that this monograph will inspire structural biologists and protein engineers alike to apply these tools to novel systems, and to enhance and broaden their scope to meet the outstanding challenges in understanding the molecular basis of cellular processes and disease.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
37

Frigoli, Diego. "L’archetipo del Sé e l’Ecobiopsicologia." Ricerca Psicoanalitica 31, no. 2 (October 15, 2020). http://dx.doi.org/10.4081/rp.2020.278.

Full text
Abstract:
L’attuale psicoterapia del profondo, con i suoi differenti modelli, si sta confrontando con la turbolenza degli sviluppi delle neuroscienze, con la ricchezza emozionale determinata dalle moderne concezioni del trauma e dell’attaccamento e con l’opportunità di scambi mutuamente fecondi con tutta la gamma delle più recenti acquisizioni della fisica quantistica e della biologia evoluzionistica. Questi importanti mutamenti culturali impongono una sorta di revisione dei modelli di funzionamento psicoterapico perché, nel clima di convergenza che si va designando tra la psicoterapia del profondo, il tema dell’archetipico, le neuroscienze, e più in generale con la fisica quantistica e la biologia evoluzionistica, si stanno gettando le basi di una nuova cornice epistemologica della complessità – l’ecobiopsicologia – nella quale mente, cervello e natura fanno parte di un campo in-formativo originato dal campo Akashico. Oggi questa esigenza sistemico-complessa è sentita come una necessità che ci offre la visione di un mondo sempre meno topografico e sempre più olografico. In questa prospettiva i costrutti tradizionali quali l’inconscio, l’empatia, la somatizzazione, il conflitto, l’alexitimia ed altri dovrebbero essere integrati, tramite il simbolo e l’analogia vitale, con i concetti di cognizione, di archetipo, di immaginario, di in-formazione, affinché la psicoterapia non si limiti ad esplorare il complesso dell’Io ma aspiri a focalizzarsi sugli stati dissociati del Sé, recuperando così una visione più integrale del disagio del paziente.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
38

Papa, Alessandra. "Il malato e il nemico Questioni etiche e antropologiche dell’uso sociale della medicina." Medicina e Morale 61, no. 4 (April 4, 2016). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2012.128.

Full text
Abstract:
L’articolo è una riflessione filosofica intorno alla medicina predittiva; una nuova forma di indagine medica che rischia di diventare un’insormontabile verità oracolare, allorquando la malattia si traduce culturalmente in processi di esclusione e di riconoscimento negativo: processi che identificano definitivamente l’essere umano con il suo danno organico. Rischio culturale, inoltre, quello dell’inimicizia rispetto al malato, che in chiave politica si ripropone in termini di cittadinanza fragile, come per esempio accade con i tentativi di strumentalizzare le nuove metodologie di lettura profonda della persona. Una capacità di predizione che, nelle sue applicazioni pratiche, ci mette perciò di fronte a non pochi aspetti problematici, persino inediti. Si profila, cosicché, la possibilità che l’azione terapeutica stessa sia esautorata per rispondere a esigenze di una mera medicalizzazione e che questa abbia, in effetti, come unico obiettivo quello di soddisfare solo meri criteri di produttività funzionale, all’interno di un progetto sociale sanitario legato a modelli interpretativi bio-organici della persona umana. Da qui l’implosione degli stessi concetti di malattia e di malato, la malattia è, infatti, intesa come fatto privato e debitum sociale, anche quando solo presunta e attesa, e la persona malata viene ad essere intesa come disfunzionale, non degna di amicizia e solidarietà sociale, cioè come una sorta di nemico pubblico. Il che, su un piano politico, si risolve inevitabilmente in una perdita di cittadinanza attiva. Nei nuovi e più complessi scenari della medicina diagnostica – rispetto all’eredità genetica e rispetto alla cosiddetta biopolitica – si pone allora come un’emergenza il problema della cittadinanza fragile e del cittadino vulnerabile, a causa del prevalere della lettura dell’immagine genetica dell’essere umano rappresentato, oramai, mediante la comparazione di screening, test diagnostici e profili di rischio. ---------- The article is a philosophical reflection about the predictive medicine, a new form of medicine which could become an insurmountable oracular truth, when the disease is reflected culturally in processes of exclusion and negative acknowledgment, processes that identify definitively the human being with his organic damage. A cultural risk, moreover, that enmity respect to the patient, in which key policy intends in terms of citizenship fragile, as for example the face of attempts to exploit the new methodologies of deep reading of the person. Ability to predict that, in its practical applications, puts us in front of many problematic aspect, even unpublished. There is thus the possibility that the therapeutic action itself is concerned to respond to the needs of a mere medicalization with the sole aim of satisfying the criteria of productivity functional into a social welfare-related health linked to bio-organic interpretative models of the human person. Hence the implosion of the same concepts of disease and sick, so the disease is understood as a private fact and social debitum even when only presumed and waiting and on the other the sick person seen as dysfunctional, not worthy of friendship and social solidarity that is, as a kind of public enemy. Which, on a political level, results in a loss of citizenship. In new and more complex scenarios of diagnostic medicine – in front ofthe legacy genetics and compared to the so-called biopolitics – this raises the problem of citizenship as an emergency fragile and vulnerable citizen, because of the prevalence of reading the image of genetics’ human being represented by the comparison of screening, diagnostic tests and risk profiles.
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
39

Hervé, Caroline. "Communs." Anthropen, 2018. http://dx.doi.org/10.17184/eac.anthropen.086.

Full text
Abstract:
Les communs (commons en anglais) peuvent être définis comme un ensemble de ressources physiques, matérielles ou immatérielles que les êtres humains cherchent à exploiter, à gérer ou à protéger pour assurer leur survie biologique, économique, sociale ou encore culturelle. Très à la mode depuis une quarantaine d’années en anthropologie, sociologie, histoire, économie ou encore en philosophie, ce concept a vu son champ d’application s’élargir, ses propositions théoriques s’étoffer et ses analyses se complexifier, tout en perdant progressivement son sens historique. Sortis du champ académique et instrumentalisés par les mouvements de résistance au néolibéralisme, les communs sont désormais au cœur de débats de société. La façon dont cette notion interroge les interactions entre les êtres humains et leur environnement, son intérêt pour éclairer la fabrication du social et sa réutilisation dans le débat public en fait un objet de recherche riche pour l’anthropologie. La définition du concept de communs est une entreprise difficile tant il renvoie à des usages divers. Si certains chercheurs tendent à privilégier, en français, l’usage du pluriel afin de marquer la grande variété des ressources regroupées sous la terminologie de communs, que l’on parle de ressources naturelles, mais également sociales ou intellectuelles, d’autres auteurs insistent sur l’importance d’utiliser le terme au singulier afin de souligner son potentiel théorique et pratique (Hardt et Negri 2012 ; Dardot et Laval 2014). L’origine étymologique du terme commun, construit sur les locutions latines cum et munus, renvoie à une idée centrale, celle de la mise commun ou de la gestion commune de biens, mettant l’accent sur le fait que le commun « implique donc toujours une certaine obligation de réciprocité liée à l’exercice de responsabilités publiques » (Dardot et Laval 2014 : 23). Ces deux aspects, celui de réciprocité et de responsabilité publique, sont au cœur de la définition historique des communs. Les origines du concept renvoient à une pratique de gestion des terres qui était courante dans différentes régions d’Europe avant la fin du Moyen-Âge et qui consistait en la gestion commune de certaines terres par un groupe de personnes ou d’unités familiales pendant une période de temps limitée. Dans certaines circonstances, tout le monde pouvait avoir accès à ces terres, selon des règles d’usage particulières ; dans d’autres cas, leur usage était restreint et contrôlé. Ce fonctionnement communal a progressivement été mis en cause par les autorités publiques et les cercles politiques à partir du milieu du XVIIIe siècle. En l’espace d’un siècle, la plupart des communs en Europe de l’ouest devinrent ainsi des propriétés privées ou publiques (De Moor 2011 : 425). Ceci correspond au phénomène connu des enclosures qui s’est particulièrement développé en Angleterre dans la seconde moitié du XVIIIe siècle, à travers lequel de larges étendues de champs ouverts, connus sous le nom de terrains communaux ou commons, ont progressivement été parcellisés et enclos (Hemmungs Wirtén 2013 : 2), dans un contexte marqué par l’augmentation démographique et l’industrialisation. Ce retour dans l’histoire est important pour comprendre les confusions qui sont apparues lorsque les chercheurs des différentes disciplines ont commencé à s’intéresser plus largement à la question des communs à partir du milieu du XXe siècle. L’une des confusions les plus importantes a été introduite par le biais du travail de Garrett Hardin dans son célèbre article « The Tragedy of the Commons », publié en 1968, dans lequel il explique que les communs sont susceptibles de surexploitation et donc de disparition. Sa thèse principale repose sur l’idée biaisée que les communs historiques étaient accessibles à tous et en tout temps. À la suite de la parution de cet article, les chercheurs ont ainsi commencé à utiliser le terme de communs pour faire référence à toutes formes de ressources utilisées par tous et sans contrôle, ce qui ne correspond pourtant pas à sa définition historique (De Moor 2011 : 425). L’article de Hardin a ouvert de nombreuses recherches portant sur les solutions à mettre en œuvre pour contrer la dégradation des communs. Mais ces travaux sont souvent restés coincés entre deux options : la prise en charge des communs par l’État ou par le marché. C’est dans ce contexte que le travail de la politologue Elinor Ostrom (1990), en proposant une troisième voie, a eu un retentissement important dans le monde académique, et même au-delà. La publication de son livre Governing the Commons constitue une étape essentielle dans les recherches sur la gestion des communs. Non seulement, elle montre que l’exploitation des communs ne mène pas inéluctablement vers leur fin, mais elle explore la diversité des arrangements institutionnels permettant la gestion de ceux-ci, sans pour autant avoir recours à l’État ou à la privatisation. Sa contribution est consacrée en 2009 lorsqu’elle reçoit, en même temps qu’Oliver Williamson, le prix Nobel d’économie pour son analyse de la gouvernance économique et celle des communs. La création de l’International Association for the Study of the Commons en 1989 ou encore la création de l’International Journal of the Commons en 2007, révélateurs d’un engouement scientifique pour la question des communs, permettent la diffusion des théories et des méthodes dans les différentes disciplines et dans la société civile, à tel point que l’étude même des communs comporte aujourd’hui des enjeux politiques, sociaux et même éthiques (Peugeot et Piron 2015). Les travaux d’Elinor Ostrom s’inscrivent dans une démarche résolument interdisciplinaire puisqu’elle utilise des études de cas, des concepts, des modèles et des méthodes issus de différentes sciences sociales, et tout particulièrement de l’anthropologie. Loin de développer une perspective purement institutionnelle, Ostrom s’intéresse en effet avant tout aux stratégies développées par les acteurs sociaux pour gérer des ressources en commun. Elle s’appuie pour cela sur de nombreuses études de cas développées par des anthropologues pour comprendre par exemple les systèmes d’irrigation au Népal, dans les Philippines ou à Los Angeles, la gestion des forêts en Inde, en Asie, en Afrique et en Amérique latine ou encore la pêche côtière en Inde ou au Canada (Acheson 2011 : 320). Même si son usage de l’anthropologie est qualifié de fragmentaire, puisque sortant ces études de cas de leurs contextes politiques ou culturels, ses travaux sont néanmoins reconnus comme une contribution majeure à la discipline anthropologique (Rabinowitz 2010). Outre celle des interactions entre les hommes et leur environnement, les travaux d’Ostrom rejoignent bien d’autres questions intéressant les anthropologues. Ils interrogent directement la gestion des ressources collectives, la nature des liens de coopération et la fabrique des communautés (Rabinowitz 2010 : 104), la production des normes et des règles sociales, ainsi que de la propriété, privée ou publique (Acheson 2011 : 320). Enfin, en montrant le rôle important de la réciprocité dans la plupart des cas de gestion alternative des ressources, les anthropologues ont mis en évidence, à partir de leurs différents terrains, le fait que l’homme n’était pas uniquement animé par une logique économique, mais que le symbolisme était central dans les pratiques d’échange, renvoyant ainsi aux théories sur le don, concept dont les anthropologues ont étudié les multiples formes dans les sociétés humaines. Dans la foulée des propositions théoriques de Hardin et de Ostrom, un véritable engouement s’est manifesté autour de la question de ces communs naturels, en anthropologie et dans les autres disciplines des sciences sociales. Ces travaux ont fourni des modèles inspirant pour d’autres types d’objets de recherche et plus récemment les chercheurs ont commencé à identifier de nouveaux communs (new commons), comme des biens communs sociaux (social commons) qui constituent des ressources sociales ou des services destinés à des groupes sociaux spécifiques, des communs de nature intellectuelle ou encore culturelle incluant des ressources aussi variées que la musique, l’artisanat, les technologies numériques, etc. (Nonini 2006 : 166-167). Certains anthropologues ont même avancé l’idée que les communs peuvent englober des dimensions plus invisibles de la vie sociale relevant du domaine cognitif, corporel ou affectif, comme par exemple chez les Urarina, peuple indigène du Pérou, pour lesquels la notion même de tranquillité doit être l’objet d’un partage ou d’une réciprocité (Walker 2015). L’extension du concept de communs à des domaines aussi divers de la vie sociale explique aujourd’hui la difficulté à en donner une définition uniforme et certaines ambivalences quant à ses usages et ses analyses. De façon plus générale, la naturalisation du discours sur les biens communs a nécessité de s’engager dans une réflexion critique sur cet objet, ce que l’anthropologie a pu prendre en charge à travers sa capacité à mettre en perspective la production du social. Le succès du terme ne s’est en effet pas limité au milieu académique. Dans le contexte des dernières décennies, alors que des corporations, des gouvernements et d’autres types d’institutions politiques, privées ou non-gouvernementales, ont dépossédé certains groupes humains de leurs ressources dans la mouvance de la globalisation néolibérale, des stratégies de résistance et de lutte pour conserver ou retrouver le contrôle sur ces biens se sont développées (Nonini 2006 : 165). Dans le même temps, les propositions théoriques sur les communs ont mis en valeur des alternatives séduisantes face à la mainmise du marché ou de l’État sur ces ressources. Les anthropologues ont ainsi montré que ces luttes ne concernent pas seulement le contrôle des ressources matérielles mais également le contrôle des significations culturelles associées aux communs et aux processus qui les préservent ou les détruisent (Nonini 2006 : 165). Les stratégies et les perspectives antagonistes des différents groupes se disputant les communs sont ainsi devenues des objets de recherche riches pour l’anthropologie. Dans le contexte sud-américain où la surexploitation des ressources naturelles s’impose comme un nouveau paradigme économique, le constat que chacune des deux parties réutilise le concept de biens communs et de communs pour légitimer, d’un côté l’exploitation des ressources naturelles, et de l’autre la lutte contre cette exploitation, rappelle la nécessité de repenser les fondements ontologiques de chacune de ces deux façons de concevoir la relation entre les humains et le monde naturel. Dans ce cadre, les peuples autochtones nous invitent plutôt à penser ces confrontations ontologiques à travers le concept d’« incommuns » ; celui-ci révèlerait plutôt l’existence et la persistance d’une certaine incompatibilité entre différentes façons d’être au monde. En effet, alors que les entreprises extractrices font reposer leurs justifications sur la distinction entre nature et culture, et plus précisément sur le contrôle de la nature par les êtres humains, les peuples autochtones de leur côté se perçoivent en continuité avec le monde naturel, engagé dans une relation réciproque avec lui et dans l’obligation de le protéger (Blaser et De La Cadena 2017 : 186-187).
APA, Harvard, Vancouver, ISO, and other styles
We offer discounts on all premium plans for authors whose works are included in thematic literature selections. Contact us to get a unique promo code!

To the bibliography