Academic literature on the topic 'Carico ipossico'

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Journal articles on the topic "Carico ipossico"

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Ometto, A. "L'indagine ecografica nella sindrome ipossico-ischemico-emorragica del neonato." Rivista di Neuroradiologia 7, no. 2 (April 1994): 157–61. http://dx.doi.org/10.1177/197140099400700204.

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Abstract:
L'evolversi degli strumenti ecografici negli ultimi 15 anni ha consentito l'identificazione precoce e la documentazione nel loro evolversi della maggior parte delle lesioni neuropatologiche a carico dell'encefalo del neonato, soprattutto pretermine. Nella sindrome ipossico-ischemico-emorragica, l'epoca di insorgenza e il tipo di lesione cerebrale dipendono dall'epoca in cui si realizza l'evento ipossico-ischemico, dalla sua durata e soprattutto dall'età gestazionale del neonato. Infatti le lesioni cerebrali vanno interpretate in rapporto al livello maturativo raggiunto dall'encefalo e dal circolo encefalico al momento dell'insulto ipossico-ischemico. Sono presentati i quadri ecografici piu significativi riscontrati in corso di sindrome ipossico-ischemico-emorragica alle differenti epoche gestazionali puntualizzando per ogni tipo di lesione i criteri diagnostici, le scansioni più significative e le epoche a cui è opportuno eseguire gli esami.
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Sozzi, Matteo, Lorella Algeri, Matteo Corsano, Davide Crivelli, Maria Angela Daga, Francesca Fumagalli, Paola Gemignani, et al. "Il ruolo dello psicologo nella presa in carico di pazienti con alterazioni delle funzioni cognitive." RICERCHE DI PSICOLOGIA, no. 3 (December 2021): 1–10. http://dx.doi.org/10.3280/rip2021oa12257.

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Abstract:
L'intervento degli psicologi è risultato, nella risposta alla pandemia COVID-19, fin da subito essenziale a seguito del dilagare dell'epidemia. Ora che, per alcuni aspetti, l'emergenza per la salvaguardia delle vite umane è in regressione, emerge un altro settore di intervento degli psicologi: l'ambito neuropsicologico. Le più recenti evidenze empiriche suggeriscono, infatti, che l'infezione da COVID-19 possa comportare, come conseguenza del tropismo del virus per il Sistema Nervoso Centrale e dei prolungati periodi di ipossia da grave desaturazione, importanti sequele sul sistema nervoso centrale. Tali conseguenze comportano compromissioni delle funzioni cognitive, emotive e comportamentali, un quadro noto con il nome neuroCOVID. Con questo lavoro si intendono delineare indicazioni per le pratiche di valutazione e riabilitazione neuropsicologica di pazienti con COVID-19 e compromissioni cognitive-affettive-comportamentali, oltre che delineare il ruolo del neuropsicologo nel gestire la presa in carico e la cura di tale popolazione clinica.
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Dissertations / Theses on the topic "Carico ipossico"

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PERGER, ELISA. "SLEEP APNEA AND HYPOXIA: NEW THERAPEUTIC PROSPECTIVES." Doctoral thesis, Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2023. https://hdl.handle.net/10281/404617.

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Abstract:
Un terzo della popolazione europea è affetta da apnee ostruttive del sonno (OSA), patologia che ha conseguenze negative su morbilità cardiovascolare e qualità della vita. L’OSA è caratterizzata da ripetuti episodi di collasso delle alte vie respiratorie che determinano ipossia intermittente, modifiche della pressione intratoracica e risvegli corticali. L’ipossia intermittente ha un ruolo chiave nel determinare le conseguenze cardiovascolari dei disturbi del respiro nel sonno e può sovrapporsi, peggiorandone la prognosi, a condizioni caratterizzate da ipossia tonica quali l’alta quota o le patologie respiratorie croniche o infettive, esacerbando lo stress ossidativo, l’angiogenesi e quindi l’attivazione del sistema nervoso simpatico con conseguenti incrementi della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e dell’infiammazione. Il trattamento gold standard per l’OSA è la terapia ventilatoria che risulta però non tollerata dalla metà dei pazienti che ne fanno uso. Nuove strategie terapeutiche sono pertanto auspicabili. Recentemente sono stati identificati specifici fattori fisiopatologici che contribuiscono allo sviluppo dell’OSA: un’elevata collassabilità delle vie aeree superiori, l’instabilità del sistema di controllo del respiro, una ridotta soglia di arousal ed una ridotta risposta compensatoria dei muscoli dilatatori della faringe. Quest’ultima è dovuta alla perdita di attività noradrenergica e aumento delle influenze muscariniche alle alte vie aeree. Il riconoscimento di questi tratti fisiopatologici ha permesso di ipotizzare e sviluppare nuove strategie terapeutiche per l’OSA. Obiettivo: Valutare l’efficacia della somministrazione per 1 settimana della combinazione di reboxetina (noradrenergico) ed ossibutinina (antimuscarinico) sul trattamento dell’OSA e dell’effetto dei farmaci sugli endotipi fisiopatologici. Metodi: E’ stato condotto uno studio randomizzato controllato cross-over in doppio cieco per comparare 4mg di reboxetina più 5mg di ossibutinina (reb-oxy) in pazienti con OSA. I pazienti sono stati sottoposti ad una polisonnografia basale (PSG), una dopo 7 notti di assunzione di reb-oxy ed una dopo 7 notti di assunzione di placebo per confrontare l’indice di apnea-ipopnea (AHI–outcome primario). Outcome secondari comprendevano il carico ipossico, modifiche degli endotipi, la variabilità della frequenza cardiaca, test di vigilanza. Risultati: Hanno completato lo studio 16 pazienti con età 57 [51-61] anni (mediana [range interquartilico]) ed indice di massa corporea 30 [26-36] kg/m2. Reb-oxy ha determinato una riduzione di AHI da 49 [35-57] eventi/h al basale a 18 [13-21] eventi/h (59% di riduzione mediana) e 39 [29-48] eventi/h (6% riduzione mediana) confrontato con il placebo (p<0·001). La frequenza cardiaca mediana durante la PSG è stata 65 [60-69] bpm al basale ed è aumentata fino a 69 [64-77] bpm dopo reb-oxy e 66 [59-70] bpm dopo placebo (p=0.02). La somministrazione di reb-oxy non ha comportato modifiche di variabilità della frequenza cardiaca, pressione arteriosa nelle 24 ore. Il test di vigilanza si è ridotto da 250 [239-312] ms al basale a 223 [172-244] ms dopo reb-oxy versus 264 [217-284] ms dopo placebo (p<0·001). Conclusioni: Il miglioramento delle conoscenze della fisiopatologia dell’OSA ha permesso di identificare la responsività muscolare delle alte vie come target principale di strategia terapeutica per l’OSA, predisponendo il percorso verso la medicina di precisione anche nel contesto dei disturbi del respiro nel sonno. Il nostro studio ha evidenziato il dato pionieristico dell’effetto positivo della somministrazione di reboxetina più ossibutinina sulla gravità dell’OSA e sull’ipossia associata agli eventi ostruttivi nel sonno. I risultati del nostro studio sottolineano la possibilità di una terapia personalizzata con farmaci per trattare l’OSA ed il carico ipossico ad essa relato.
Introduction: Obstructive sleep apnea (OSA) affects one third of the population in Europe and has major negative consequences for cardiovascular disease and quality of life. OSA is characterized by recurrent episodes of apneas and hypopneas associated with repetitive episodes of intermittent hypoxemia, intrathoracic pressure changes, and arousals. Intermittent hypoxemia, particularly with concomitant hypercapnia, activates the sympathetic nervous system and it is the major contributor to negative cardiovascular consequences. Intermittent hypoxia might also worsen concomitant tonic hypoxia due to high altitude or due to acute or chronic respiratory diseases by promoting oxidative stress and angiogenesis, thus increasing sympathetic activation with blood pressure elevation, inflammation and endothelial dysfunction. Although OSA and its hypoxic consequence are effectively alleviated with positive airways pressure, this treatment is yet unsatisfactory, being poorly tolerated by up to half of patients. Thus, new treatment strategies are strongly needed. With the aim of better understand OSA physiopathology, key contributors of its development have been identified and include upper airway collapsibility, ventilatory instability, low arousal threshold and reduced pharyngeal dilator muscle responsiveness during sleep, due to loss of noradrenergic drive and enhanced muscarinic influences to upper airway muscles. The recognition of these pathophysiological traits permitted to advance the research in the field of OSA new therapeutic perspectives. Aim: The aim of this study was to evaluate the effect of 1-week of reboxetine (a noradrenergic) plus oxybutynin (an antimuscarinic) on OSA severity (primary outcome) and their effect on endotypic traits and cardiovascular autonomic modulation. Methods: We performed a randomized, placebo-controlled, double-blind, crossover trial comparing 4 mg reboxetine plus 5 mg oxybutynin (reb–oxy) to placebo in OSA subjects. After a baseline in-lab polysomnogram (PSG), patients performed PSGs after 7 nights of reb-oxy and 7 nights of placebo to compare apnea-hypopnea index (AHI, primary outcome). Secondary outcomes included hypoxic burden, heart rate variability, blood pressure and heart rate changes and psychomotor vigilance test. Home oximetry evaluated overnight oxygen desaturation throughout treatment. Results: 16 subjects aged 57[51-61] years (median [interquartile range]) with body mass index 30[26-36] kg/m2 completed the study. Reb-oxy lowered AHI from 49[35-57] events/h at baseline to 18[13-21] events/h (59% median reduction) compared with 39[29-48] events/h (6% median reduction) on placebo (p<0·001). Response rate for reb-oxy was 81% versus 13% for placebo p<0·001). Median nocturnal heart rate during the PSG was 65 [60-69] bpm at baseline and increased to 69 [64-77] bpm on reb-oxy vs 66 [59-70] bpm on placebo (p=0.02). Reb-oxy administration was not associated with any modification in heart rate variability, 24-hour, day-time and night-time systolic and diastolic blood pressure. The psychomotor vigilance test decreased from 250[239-312] ms on baseline to 223[172-244] ms on reb-oxy versus 264[217-284] ms on placebo (p<0·001). Home oximetry illustrated acute and sustained improvement in oxygen desaturation index on reb-oxy versus placebo. Conclusions: The recent understanding of OSA pathophysiological mechanisms brought to hypothesize that, among the others, muscle responsiveness would be the main target to develop a precision medicine to treat OSA. We demonstrated that OSA severity and OSA-related hypoxic consequences are greatly decrease by the administration of reboxetine-plus-oxybutynin. These results highlight potential possibilities for personalized medicine with pharmacological therapy to treat OSA and its related hypoxic burden.
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Ruggeri, Riccardo. "L'epcidina e il suo ruolo nell'omeostasi del ferro a livello cardiaco." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2016. http://amslaurea.unibo.it/11251/.

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Abstract:
L’epcidina (HAMP) è un ormone peptidico coinvolto nella regolazione sistemica dell’omeostasi del ferro e risulta essere espresso anche a livello cardiaco. Questo studio è stato condotto per approfondire le conoscenze riguardo al ruolo dell’epcidina e dei geni regolatori del ferro e il loro coinvolgimento nella patologie cardiache. Sono stati condotti studi sull’atassia di Friedreich (FRDA), una patologia neurodegenerativa caratterizzata dallo sviluppo di una cardiomiopatia da sovraccarico di ferro. A tale scopo, sono stati derivati cardiomiociti da cellule staminali pluripotenti indotte umane (hiPSCs) di un paziente affetto da FRDA e da un soggetto sano (Ctr) e in queste cellule è stata analizzata l’espressione del gene HAMP. I risultati ottenuti hanno evidenziato un aumento significativo dell’espressione genica di HAMP nei cardiomiociti FRDA rispetto ai controlli. Parallelamente, l’espressione genica di HAMP e di altri geni regolatori del ferro è stata analizzata in un modello animale murino sottoposto a ipossia intermittente (IH) e a un danno ischemico indotto dalla legatura coronarica (LAD). Nel gruppo di topi normossici sottoposti alla legatura coronarica (Normo LAD) è stata evidenziato un aumento dell’espressione genica di HAMP simile a quello riscontrato nei cardiomiociti FRDA, suggerendo che questo gene potrebbe essere indotto in presenza di un danno cardiaco. Inoltre, l’espressione della ferritina, una proteina coinvolta nello storage del ferro con attività antiossidante, rimane invariata nei topi sottoposti a un danno cardiaco come la LAD, mentre risulta essere aumentata nei topi sottoposti a IH. Pertanto, l’aumento di espressione della ferritina potrebbe contribuire ai meccanismi di cardioprotezione indotti dall’ipossia intermittente. I risultati di espressione genica ottenuti in questo studio saranno validati mediante studi di espressione proteica.
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Capria, Carla, Maria Carmela Cerra, Marcello Canonaco, and Sandra G. V. Imbrogno. "Sistema NOS/NO e condizioni di stress: meccanismi di adattamento cardiaco." Thesis, 2012. http://hdl.handle.net/10955/1123.

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Abstract:
Dottorato di Ricerca in Biologia animle, Scuola di Dottorato “Life Sciences”, Ciclo XXV, a.a. 2011-2012
Questo lavoro di tesi di dottorato ha analizzato l’influenza di condizioni di stress, quali temperatura e disponibilità di ossigeno, sulla modulazione ossido nitrico sintasi (NOS)/ossido nitrico (NO)‐dipendente della performance cardiaca dei teleostei (Parte 1 e 2). Nell’ultima parte del lavoro, realizzato presso il Dipartimento di Medicina Cardiovascolare dell’Università di Oxford, è stato valutato l’effetto dello stress iperglicemico sulla struttura e funzionalità dell’enzima NOS nei mammiferi (Parte 3). Parte 1. Temperatura e modulazione NO‐dipendente della risposta di Frank‐Starling nel teleosteo Anguilla anguilla La legge di Frank Starling è una proprietà fondamentale del miocardio dei vertebrati che permette al cuore di generare una risposta contrattile adeguata alle variazioni del precarico. È stato dimostrato che nel cuore di anguilla (Anguilla anguilla), l’Ossido nitrico (NO) esercita un effetto rilassante diretto sul miocardio, aumentando la sensibilità del cuore alla risposta di Frank‐Starling. Utilizzando un preparato di cuore isolato e perfuso come modello sperimentale, il presente studio ha analizzato la relazione tra modulazione NO‐dipendente della risposta di Frank‐Starling e variazioni di temperatura. I risultati ottenuti hanno dimostrato che nei pesci acclimatati a varie temperature (animali primaverili perfusi a 20°C e animali invernali perfusi a 10°C) l’inibizione della Ossido Nitrico Sintasi (NOS), e quindi della produzione di NO, mediante trattamento con L‐NIO ha ridotto la risposta di Starling, mentre in condizioni di shock termico (animali primaverili perfusi a 10 e 15°C e animali invernali perfusi a 15 e 20°C) il trattamento con L‐NIO non ha esercitato alcun effetto. Le analisi di Western Blotting hanno evidenziato una riduzione dell’espressione di p‐eNOS e p‐Akt in campioni sottoposti a shock termico. Inoltre, in condizioni di acuti aumenti di temperatura, è stato osservato un incremento dell’espressione proteica di Hsp90. Nel complesso, i risultati suggeriscono che la modulazione NOS/NO dipendente della risposta di Starling nel cuore dei pesci è sensibile allo stress termico. Parte 2. Sistema NOS/NO e resistenza all’ipossia: il cuore di goldfish come modello sperimentale Il goldfish (Carassius auratus) è un teleosteo noto per la sua capacità di tollerare prolungati e severi stati ipossici, ed è pertanto considerato un prezioso modello sperimentale per lo studio dei meccanismi che permettono la sopravvivenza ed il mantenimento della funzionalità cardiaca in condizioni in cui la disponibilità di O2 rappresenta un fattore limitante. Il presente lavoro ha permesso la caratterizzazione morfo‐funzionale del cuore di goldfish ed ha fornito le basi per l’analisi del ruolo dello NO sia come modulatore della performance cardiaca basale che come fattore coinvolto nei meccanismi di tolleranza a condizioni di ipossia. Oltre alle classiche 4 camere cardiache, ovvero seno venoso, atrio, ventricolo e bulbo arterioso, sono state identificate altre due strutture, corrispondenti alla regione atrio‐ventricolare (AV) e al cono arterioso. L’atrio è molto ampio ed altamente trabecolato; il ventricolo appare costituito da una parte esterna di miocardio compatto, vascolarizzato da vasi coronarici, ed una interna di miocardio spugnoso; la parete bulbare è caratterizzata da un elevato rapporto elastina/collagene, che ne aumenta la compliance. Gli esperimenti di immunolocalizzazione hanno evidenziato la presenza dell’isoforma endoteliale attiva della NOS (p‐eNOS) a livello dell’endotelio coronarico ed, in minor misura, nei miocardiociti e nell’endotelio vascolare. L’utilizzo di preparati di cuore isolato e perfuso, ha permesso la caratterizzazione funzionale del cuore di goldfish sia in condizioni basali che in risposta ad incrementi di precarico. I cuori sono risultati estremamente sensibili ad incrementi della pressione di riempimento, raggiungendo il massimo valore di SV (SV=1.08±0.09 mL/kg peso corporeo) a 0.4 kPa. In condizioni ipossiche, tale sensibilità è risultata ancora maggiore; i preparati hanno infatti raggiunto il massimo valore di SV (SV=1.5±0.2 mL/kg peso corporeo) a valori di pressione di riempimento minori (0.25 kPa). Variazioni della pressione di postcarico ne hanno invece compromesso la funzionalità. Tali caratteristiche morfo‐funzionali ci permettono di definire il comportamento del cuore di goldfish come pompa di volume. In condizioni basali, il trattamento con L‐NMMA (inibitore della NOS) ha esercitato un effetto inotropo positivo sia in normossia che in ipossia, mentre il trattamento con nitrito ha indotto un effetto inotropo negativo in condizioni normossiche ed un effetto inotropo positivo in condizioni ipossiche. In risposta agli incrementi di precarico, il trattamento con L‐NMMA ha significativamente ridotto la curva di Starling in normossia, mentre non ha esercitato alcun effetto in ipossia; al contrario, il nitrito non ha modificato la risposta di Starling in condizioni normossiche, mentre ha ridotto tale risposta in condizioni ipossiche, riportandola ai valori di controllo ottenuti in normossia. Questi risultati hanno evidenziato un ruolo del sistema NOS/NO nella modulazione della performance cardiaca sia basale che fisicamente stimolata, ed una sensibilità dei meccanismi di regolazione NOS/NO‐dipendenti a variazioni della concentrazione di ossigeno. Parte 3. NOS e stress iperglicemico: ruolo della BH4 sulla struttura e funzionalità dell’enzima La NOS, principale sorgente di NO in condizioni fisiologiche, è sintetizzata in forma monomerica, ma esplica le sue funzioni solo dopo formazione dell’omodimero attivo. Il corretto funzionamento della struttura dimerica richiede la presenza di una serie di cofattori, il più importante dei quali è la 5,6,7,8‐tetraidrobiopterina (BH4), responsabile della stabilizzazione del dimero. In assenza di tale cofattore infatti l’enzima produce anione superossido e non NO. La BH4 è sintetizzata in vivo attraverso un pathway il cui enzima limitante è la GTP Ciclo Idrolasi (GCH). Una riduzione della disponibilità di BH4 è stata associata alla disfunzione vascolare correlata a varie patologie con implicazioni a livello cardiovascolare, tra cui il diabete. In questo contesto, utilizzando modelli di topi mGCH‐Tg è stato analizzato il ruolo della BH4 nel disaccoppiamento dell’enzima NOS associato a stress iperglicemico. La caratterizzazione del fenotipo di questo modello sperimentale ha evidenziato una over‐espressione, miocardio specifica, dell’enzima GCH, ed un aumento delle concentrazioni di BH4 e dei suoi prodotti ossidati in tessuto ventricolare di topi mGCH‐Tg rispetto ai topi WT. Inoltre, la produzione di superossido è risultata significativamente ridotta rispetto ai topi di controllo, confermando l’ipotesi che la BH4 riveste un ruolo fondamentale nella stabilizzazione della forma dimerica dell’enzima NOS. L’induzione del diabete di tipo 1 non ha modificato tali risultati. La concentrazione di BH4 e dei suoi prodotti ossidati, così come la produzione di superossido, non sono risultate infatti modificate in condizioni di iperglicemia, supportando l’ipotesi che un aumento della disponibilità di BH4 favorisce l’accoppiamento dell’enzima NOS anche in condizioni di stress iperglicemico. Nel complesso, i nostri dati suggeriscono un ruolo protettivo della BH4 nei meccanismi di stress ossidativo associati alla condizione diabetica. Nell’insieme, i dati ottenuti suggeriscono che nel cuore dei vertebrati il sistema NOS/NO rappresenta un punto nodale su cui convergono segnali attivati da condizioni di stress (ad esempio, variazioni di temperatura, stress ipossico ed iperglicemico), e da cui si dipartono cascate trasduzionali fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi cardiaca in talicondizioni.
Università della Calabria
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