Academic literature on the topic 'Caratterizzazione ambientale'

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Journal articles on the topic "Caratterizzazione ambientale"

1

Magro, Giuseppe, Giovanni Urbani, and Stefania Pellegrini. "Esperienza innovativa di Valutazione Ambientale Strategica. Il caso di un piano forestale provinciale." RIV Rassegna Italiana di Valutazione, no. 49 (May 2012): 77–91. http://dx.doi.org/10.3280/riv2011-049006.

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Abstract:
Il tema della valutazione ambientale strategica (VAS) č di grande attualitŕ nell'ambito del dibattito politico e tra gli specialisti del settore, sia a livello nazionale sia a livello europeo e internazionale: siamo di fronte a un concetto multidimensionale, che spesso viene considerato erroneamente un adempimento amministrativo. L'articolo presenta gli esiti ottenuti dall'applicazione di un sistema innovativo nell'ambito della procedura di VAS per la stima dei potenziali impatti di un Piano di Indirizzo Forestale di una provincia del nord. Il sistema proposto prevede la caratterizzazione delle componenti emissive associate agli elementi di stressor e l'analisi previsionale degli impatti specifici e cumulativi derivanti dall'azione simultanea degli elementi di pressione antropica, associati alla specificitŕ degli interventi costitutivi del Piano, sul territorio e sulle componenti di vulnerabilitŕ ambientale. In tale modo la procedura di VAS diventa processo, per l'attuazione di politiche razionali del territorio.
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2

Sacchelli, Sandro, Christian Ciampi, and Augusto Marinelli. "Pianificazione agroenergetica sostenibile: la modellistica come strumento di supporto alle decisioni." RIVISTA DI STUDI SULLA SOSTENIBILITA', no. 2 (February 2013): 49–68. http://dx.doi.org/10.3280/riss2012-su2005.

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Abstract:
Il presente lavoro si prefigge di delineare un quadro relativo alle metodologie di analisi che possono essere impiegate nei processi di pianificazione territoriale, per la caratterizzazione dei criteri di sostenibilitŕ e la quantificazione delle biomasse a uso energetico. Dopo aver definito una sintesi degli strumenti di pianificazione agroenergetica, presenti a livello nazionale, sono state esaminate alcune tra le piů diffuse tecniche di modellizzazione ambientale e socio-economica applicate per l'analisi quali/quantitativa della produzione e impiego di bioenergia di origine agro-forestale. A conclusione del lavoro vengono evidenziate possibili linee future di ricerca atte a favorire l'impiego degli strumenti di modellizzazione come Sistemi di Supporto alle Decisioni.
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3

Vittorio, Pasquali, Migliore Martina, and Renzi Paolo. "Ritmi ultradiani nell'attenzione sostenuta: studio dell'effetto della complessitŕ del compito e stabilitŕ test-retest." RICERCHE DI PSICOLOGIA, no. 3 (January 2012): 315–40. http://dx.doi.org/10.3280/rip2010-003001.

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Abstract:
Dati sperimentali evidenziano la presenza di ritmi brevi nella curva della prestazione, con periodi compresi tra 2,5 e 20 minuti nei tempi di reazione semplici, con una larga variabilita inter-soggetto. A differenza del ritmo circadiano, i ritmi ultradiani, non corrispondono apparentemente a nessuna periodicita ambientale, e non sono noti finora fattori che intervengano nella loro modulazione. Lo studio dell'influenza di fattori esterni sui parametri dei ritmi ultradiani potrebbe chiarire le basi e processi endogeni implicati nella generazione e modulazione di tali ritmi. Nei 3 esperimenti proposti in questa indagine si e indagata la presenza di ritmi ultradiani nell'attenzione sostenuta in modalita visiva, tentando di arricchire la loro caratterizzazione mediante lo studio di un eventuale effetto della complessita di esecuzione del compito. I risultati hanno confermato l'esistenza di ritmi brevi stabili nell'attenzione sostenuta umana, ed e stata osservata inoltre la presenza di una modulazione differenziale dei ritmi ad opera della complessita.
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Bitencourt, Emanoelen Bitencourt e., Karina Miranda de Almeida, Luana Mariza Morais dos Santos, and Antônio Pereira Júnior. "Caratterizzazione fisica e microbiologica dell’influenza dei residui sulla qualità dell’acqua del fiume Tocantins, sinistra Bank (MARAB-PA)." Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento 11, no. 06 (July 8, 2019): 05–26. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/ingegneria-ambientale-it/influenza-dei-rifiuti.

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Paoli, Marco. "Spunti per un’analisi del processo di ibridismo tra l’hard-boiled americano e il giallo italiano nella serie Duca Lamberti di Giorgio Scerbanenco." Quaderni d'italianistica 37, no. 1 (June 9, 2017): 17–34. http://dx.doi.org/10.33137/q.i..v37i1.28276.

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Abstract:
Nelle opere di Giorgio Scerbanenco il giallo ha quasi sempre avuto un ruolo prominente che tuttavia ha lasciato spazio a una vasta possibilità di intrecci con forme stilistiche, tematiche e narrative di varia natura. Uno dei principali riconoscimenti che fanno di Scerbanenco uno dei padri fondatori del giallo italiano è l’aver saputo introdurre in modo originale e credibile un elemento contaminante come l’hard-boiled americano nel contesto del poliziesco italiano. Questo ha permesso di porre l’attenzione sull’ambiente sociale e sulla psicologia dei personaggi, che si riflettono, da un lato, nella rilevanza dei luoghi e dell’inquadramento storico-sociale in cui sono ambientate le trame, dall’altro, nella meticolosa opera di caratterizzazione dei personaggi dei quattro romanzi della serie Duca Lamberti. Lo scopo di questo articolo è quello di mostrare come l’esperienza dello scrittore italo-ucraino in qualità di direttore e redattore di diverse riviste femminili del dopoguerra abbia ricoperto un ruolo fondamentale nella caratterizzazione di alcuni personaggi, in particolare quelli femminili, e nella descrizione della loro condizione sociale in quel determinato periodo storico.
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6

Mercuri, A., G. Cultrera, L. Minarelli, M. Quintiliani, P. Bordoni, D. Famiani, P. Casale, et al. "CRISP: an archive for the site characterization of permanent Italian seismic stations." Bulletin of Earthquake Engineering, January 27, 2023. http://dx.doi.org/10.1007/s10518-023-01618-w.

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Abstract:
AbstractIn this paper we describe an advanced database for the site characterization of seismic stations, named “CRISP—Caratterizzazione della RIsposta sismica dei Siti Permanenti della rete sismica” (http://crisp.ingv.it, quoted with https://doi.org/10.13127/crisp), designed for the Italian National Seismic Network (Rete Sismica Nazionale, RSN, operated by Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia). For each site, CRISP collects easily accessible station information, such as position, type(s) of instrumentation, instrument housing, thematic map(s) and descriptive attributes (e.g., geological characteristics, etc.), seismic analysis of recordings, and available geophysical investigations (shear-wave velocity [VS] profile, non-linear decay curve). The archive also provides key proxy indicators derived from the available data, such as the time-averaged shear-wave velocity of the upper 30 m from the surface (VS30) and site and topographic classes according to the different seismic codes. Standardized procedures have been applied as motivated by the need for a homogenous set of information for all the stations. According to European Plate Observing System infrastructural objectives for the standardization of seismological data, CRISP is integrated into pre-existing INGV instrument infrastructures, shares content with the Italian Accelerometric Archive, and complies map information about the stations, as well as local geology, through web services managed by Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. The design of the CRISP archive allows the database to be continually updated and expanded whenever new data are available from the scientific community, such as the ones related to new seismic stations, map information, geophysical surveys, and seismological analyses.
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Tuccimei, Paola. "Caratterizzazione idrogeochimica delle aree termali perivulcaniche dell’Italia centrale. Implicazioni ambientali." Acque Sotterranee - Italian Journal of Groundwater, December 30, 2013. http://dx.doi.org/10.7343/as-054-13-0081.

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Dissertations / Theses on the topic "Caratterizzazione ambientale"

1

Liberi, Stefano <1990&gt. "CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE DELL’ALBUMINA SIERICA UMANA IN COMPLESSO CON UN CONTAMINANTE AMBIENTALE." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2020. http://hdl.handle.net/10579/16297.

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Abstract:
Alcuni contaminanti ambientali sono non biodegradabili e pericolosi per la salute umana con effetti tossici su svariati target nell’organismo. Ad oggi diversi studi suggeriscono il legame di alcuni di questi contaminanti alle proteine plasmatiche, prima fra tutte l’albumina sierica umana (HSA). L’oggetto del lavoro di tesi è stato dimostrare il legame di uno di questi contaminanti ad HSA sfruttando la tecnica della cristallografia ai raggi X. La risoluzione della struttura tridimensionale della proteina HSA in complesso con il contaminante ed il miristato di sodio ha permesso di identificare i siti e la stechiometria di legame. Utilizzando un approccio competitivo fra ligandi basato su differenti rapporti molari di contaminante, miristato di sodio ed HSA è stato infine possibile ipotizzare diverse affinità di legame per i siti stessi.
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Finotti, Giada <1994&gt. "Caratterizzazione ambientale di habitat riproduttivi di Aphanius fasciatus nella Laguna di Venezia." Master's Degree Thesis, Università Ca' Foscari Venezia, 2018. http://hdl.handle.net/10579/13965.

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Abstract:
CARATTERIZZAZIONE AMBIENTALE DI HABITAT RIPRODUTTIVI DI Aphanius fasciatus IN LAGUNA DI VENEZIA Gli ambienti di transizione che si trovano all’interfaccia tra l’ambiente terrestre, marino e fluviale, come la Laguna di Venezia, sono caratterizzati da diversi habitat di acque poco profonde e supportano associazioni di specie e interazioni ecologiche uniche e di grande importanza (Kennish; 2002). Sono ecosistemi sono ricchi di microhabitat come le barene, le quali hanno un ruolo ecologico molto importante: grazie alla loro complessità strutturale fungono da zone di riparo dai predatori ed essendo ricche di risorse trofiche sono zone nursery e di riproduzione per molte specie di uccelli e pesci. Studi recenti hanno messo in luce come le stesse funzioni siano svolte anche da habitat artificiali, i quali sembrano essere un valido rifugio alternativo rispetto alle barene naturali ed infatti, sono risultati avere un’alta densità di fauna ittica (Cavraro et al; 2017). Analisi effettuate in precedenza, hanno messo in evidenza come, in laguna di Venezia, Aphanius fasciatus sia un elemento che contraddistingue la comunità ittica degli habitat di barena (Franco et al., 2006; Franzoi et al., 2010) e delle canalizzazioni artificiali (Cavraro et al.; 2017) Questo lavoro di tesi ha l’obiettivo di caratterizzare diversi siti di barena naturale e siti di canalizzazioni artificiali della Laguna di Venezia, habitat riproduttivi di A. fasciatus (inserito nell’Allegato II della Direttiva Habitat), per verificare se, tra ambienti naturali e ambienti artificiali, sussistano significative differenze in termini di: 1) disponibilità basale trofica 2) fattori e 3) parametri correlati alla produzione primaria rappresentata dalla disponibilità di diatomee, dalla concentrazione di clorofilla in acqua e nel sedimento e dalla copertura e posizione sistematica delle macroalghe presenti. Sono stati caratterizzati sette siti, di cui tre habitat di barena naturale e quattro canalizzazioni artificiali, al fine di comprendere quale sia l’habitat più ottimale per la specie in esame, e per indirizzare le azioni di conservazione.
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3

Virgili, Sara. "Caratterizzazione ionica ed elementare di aerosol ambientale progetto Moniter (sorveglianza inceneritori) campagna invernale." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2010. http://amslaurea.unibo.it/1583/.

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Mazzali, Ugo. "Caratterizzazione di componenti speciali dell'involucro edilizio." Doctoral thesis, Università degli studi di Padova, 2014. http://hdl.handle.net/11577/3423514.

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Abstract:
In last decades, environmental aspects and in particular energy consumptions related to whole building life cycle have become an important field of research both at institutional level and in the discussions of a public opinion which is increasingly sensible to these aspects. This research study aims to investigate thermophysical behaviour of Living Walls, a new kind of vertical green cladding installed on external facades of building envelope. In the first chapter, the state of the art of the international research panorama on vertical greenery and in particular on Living Walls is proposed. What comes out from the research is that many aspects of this particular kind of green cladding are actually object of study and in this context new sperimental and theoretical informations and evaluations are needed. In the second chapter two of the most important kinds of green claddings are presented and in the third chapter heat transmission theory is analysed and focused on Living Wall behaviour. Others specific phenomenon and features typical of green claddings, such as evapotranspiration and Leaf Area Index, have been analysed. Results of two monitoring campaigns are presented in the fourth chapter. These field measurements have been performed on two prototypes of Living Walls, made available during the research period. Interactions between the cladding and the back wall in terms of surface temperatures and heat fluxes are presented. In the fifth chapter, a numerical model, which aims to reproduce the energetic behaviour of the two monitored green claddings, is developed and validated against field measurements. In the subsequent chapter a sensitivity analysis is performed on the mathematical model considering the most important variables. In the last chapter the U-Value calculation, for a facade with a Living Wall installed on, is proposed. The calculation is performed by means of the numerical model proposed in the fifth chapter and results are compared to those achievable by means of actual regulations. In Appendix A, the VBA code of the numerical model, developed in the fifth chapter, is entirely reported.
Negli ultimi decenni, gli aspetti energetici ed in particolare i consumi di energia legati all’intera vita utile degli edifici sono divenuti oggetto di studio e confronto sia nelle sedi istituzionali di tutto il mondo sia nei dibattiti di una opinione pubblica fortemente sensibilizzata. In quest’ottica si colloca questo lavoro che indaga il comportamento termofisico dei Living Walls, un nuovo tipo di rivestimento vegetale d’involucro direttamente installato sulle facciate degli edifici. Nel primo capitolo viene proposto l’attuale stato dell’arte che offre il panorama della ricerca internazionale sul tema dei rivestimenti vegetali ed in particolare dei Living Walls. Come emerge dalle ricerche effettuate vi sono molti aspetti ancora in fase di studio e conoscenza per i quali sono necessarie valutazioni di tipo teorico e sperimentale. Nel secondo e terzo capitolo vengono introdotte le due principali tipologie di rivestimento d’involucro e vengono ripresi i concetti generali di trasmissione del calore calandoli nello studio dei Living Walls. Vengono inoltre caratterizzati alcuni fenomeni e parametri tipici dei rivestimenti vegetali come l’evapotraspirazione e il Leaf Area Index. Nel quarto capitolo vengono riportati i risultati di due campagne di monitoraggio effettuate su prototipi di Living Walls resi disponibili durante la fase di ricerca. Evidenti sono apparse le interazioni tra il rivestimento e la parete dell’edificio retrostante in termini di temperatura superficiale e flussi di calore. Nel quinto capitolo viene proposto un modello numerico il cui obiettivo è quello di riprodurre il comportamento energetico dei due tipi di Living Wall monitorati. Il modello è stato validato utilizzando i dati delle campagne microclimatiche effettuate sui prototipi. Nel capitolo successivo viene effettuata l’analisi di sensitività del modello considerando le variabili ritenute più significative. Nell’ultimo capitolo viene proposto il calcolo della trasmittanza termica di una parete dotata di Living Wall, attraverso l’utilizzo del modello numerico sviluppato nei capitoli precedenti e i risultati vengono affiancati ai possibili risultati ottenibili con l’utilizzo della normativa attuale. Infine, in Appendice A, viene riportato il codice di calcolo scritto per il modello numerico sviluppato nel quinto capitolo.
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Colonna, Marco. "Sviluppo di un sistema di monitoraggio ambientale per la caratterizzazione di rivelatori al silicio." Bachelor's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2021. http://amslaurea.unibo.it/23892/.

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Abstract:
Inner Tracker (ITK) è il nome del futuro tracciatore dell'esperimento ATLAS, sostituto dell’attuale Inner Detector (ID). ITK sarà costituito solo da rivelatori al silicio con geometria a strip e a pixel. ITK è un upgrade necessario perchè ATLAS lavori durante la Fase II del Large Hadron Collider (LHC): High-Luminosity LHC. Le condizioni di lavoro a HL LHC richiedono una maggiore granularità, rispetto al detector attuale, per far fronte alla maggiore molteplicità delle tracce cariche. Le correnti più elevate dei fasci, e la maggiore luminosità, si riflettono in un maggiore flusso di radiazione. Per garantire le operazioni del detector nel lungo periodo ITK dovrà avere una robustezza alle radiazioni superiore rispetto a ID. Uno dei compiti del gruppo dell'INFN di Bologna è la qualifica di una parte dei moduli del rivelatore che comporrà gli strati più interni di ITK. È previsto che ciascun modulo (insieme di materiale attivo, chip di readout e PCB per le connessioni) sia sottoposto a cicli termici per verificare la robustezza del collegamento tra le sue parti. I moduli devono anche essere messi in funzione in ambienti a temperature diverse, in particolare a quelle previste durante la presa dati. In questi passaggi è importante associare alle misure fatte sui moduli le misure delle condizioni ambientali. Si tengono sotto controllo temperatura e umidità dell'ambiente e la temperatura del modulo stesso. Misurare la temperatura permette di controllare che i test avvengano secondo le specifiche e a temperature che non pregiudichino la qualità dei risultati. Misurare l’umidità permette di garantire che le operazioni avvengano a temperature lontane dal punto di rugiada, eliminando il rischio di condensazione di acqua sui moduli. L’elaborato presenta il mio lavoro per lo sviluppo del sistema di monitoraggio delle condizioni ambientali. Il sistema ha permesso di misurare la temperatura e l'umidità durante i test dei moduli e di registrare le misure su un database.
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Kaleb, Sara. "Caratterizzazione del Coralligeno del Nord Adriatico: analisi della biodiversità e della variabilità spaziale delle comunità macroalgali." Doctoral thesis, Università degli studi di Trieste, 2013. http://hdl.handle.net/10077/8599.

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Abstract:
2011/2012
I fondali che si estendono dal Golfo di Venezia fino alle coste Slovene (Nord Adriatico) prevalentemente fangosi o detritici, sono interrotti da numerosi affioramenti rocciosi distribuiti a profondità tra 7 e 25 m. e distanti dalla costa 0.5-25 miglia nautiche. Tali affioramenti localmente chiamati “tegnùe”, “trezze”, “grebeni”, sono maggiormente concentrati tra il Delta del Po e il Golfo di Trieste (Fig. 1). Stefanon (1967) è stato il primo a descrivere alcuni di questi affioramenti, inizialmente definiti come beachrocks; la loro genesi è invece attualmente connessa alle emissioni di gas metano [1]. La migrazione di gas poco profondi attraverso i sedimenti marini induce la deposizione di carbonato di calcio, cementificando il substrato altrimenti non consolidato.La maggior parte degli affioramenti del Nord Adriatico, che mostrano un ampio spettro di morfologie e dimensioni, è formata da una base rocciosa colonizzata da bioconcrezioni calcaree [1]. Le tegnùe sono state definite formazioni coralligene, anche se differiscono dal tipico coralligeno mediterraneo sensu stricto (Ballesteros, 2006). Il coralligeno e i fondi a maërl e rodoliti sono considerati tra i principali hot-spots di biodiversità in Mediterraneo. Il coralligeno è prodotto dal concrezionamento di alghe calcaree, briozoi, serpulidi, coralli e spugne che si accrescono in condizioni sciafile (Hong, 1980; Ballesteros, 2006), mentre i fondi a rodoliti e maërl sono substrati sedimentari ricoperti da alghe calcaree libere (Corallinales o Peyssonneliaceae) (UNEP-MAP-RAC/SPA, 2008). La conoscenza dell’estensione e struttura delle formazioni coralligene in Mediterraneo è essenziale per l’individuazione di attività di gestione e protezione di questi habitat, così come indicato dalle più recenti Direttive europee e Convenzioni internazionali. Nell’ambito della Marine Strategy Framework Directive 2008/56/CE (MSFD) il “Coralligeno (C)” e i “Fondi a maërl e rodoliti” sono stati inseriti tra gli Special Habitat da caratterizzare e di cui valutare lo Stato Ecologico (GES). Lo scopo ultimo di questo studio, basato sia su attività sperimentali di campo e di laboratorio che sull’analisi di dati di letteratura, è quello di contribuire ad una più approfondita conoscenza delle comunità biotiche degli affioramenti rocciosi del Nord Adriatico. La maggior parte dell’attività di ricerca è stata incentrata sullo studio della struttura e variabilità delle comunità macroalgali, in relazione alle principali variabili ambientali e caratteristiche morfologiche degli affioramenti rocciosi del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. È stata inoltre analizzata la componente algale dei fondi a maërl e rodoliti, che si estendono dalle coste venete fino al circalitorale Sloveno. HABITAT FONDI A MAËRL E RODOLITI Per il Nord Adriatico non sono disponibili dati recenti e rappresentativi sulla distribuzione di maërl e rodoliti. La loro presenza è stata segnalata per la prima volta nel Golfo di Trieste nell’area prospiciente le lagune di Grado e Marano (Giaccone, 1978; Orel et al., 1981-82). Successivamente uno studio condotto da Nichetto (1990) ha rilevato la presenza di talli di maërl, prevalentemente morti, sui fondali sabbiosi che si estendono da Grado a Venezia. Infine, Bressan e Giaccone (2005) hanno riportato la presenza di maërl fossile nei sedimenti del Dosso di Santa Croce posto al centro del Golfo di Trieste. Per meglio definire l’estensione di questo Habitat a scala di sottoregione, a partire dal 2008, sono state campionate 46 stazioni nel versante italiano del Golfo di Trieste [1] e al largo della Slovenia [2]. Il campionamento in collaborazione con l’ARPA-FVG è tutt’ora in corso. I campioni sono stati raccolti in immersione o mediante bennate e dragaggi. Considerando anche i dati di letteratura sui fondi mobili dal Veneto alle coste Slovene sono state rinvenute 23 Corallinales, la cui distribuzione batimetrica è compresa tra 9 e 24 m (Orel et al., 1981-82; Nichetto, 1990; Bressan e Giaccone, 2005; [1]; [2]). 15 Corallinales sono state rinvenute sotto forma di rodoliti: Lithophyllum incrustans Philippi, Lithophyllum racemus (Lamarck) Foslie, Lithophyllum corallinae (P.L.Crouan & H.M.Crouan) Heydrich, Lithophyllum pustulatum (J.V. Lamouroux) Foslie, Lithothamnion corallioides (P.L.Crouan & H.M.Crouan) (P.L.Crouan & H.M.Crouan), Lithothamnion minervae Basso, Lithothamnion philippii Foslie, Lithothamnion sonderi Hauck, Lithothamnion valens Foslie, Neogoniolithon brassica-florida (Harvey) Setchell & Mason, Neogoniolithon mamillosum (Hauck) Setchell & L.R. Mason, Phymatolithon calcareum (Pallas) W.H. Adey & D.L. McKibbin, Phymatoltihon lenormandii (Areschoug) W.H. Adey, Spongites fruticulosa Kützing), Sporolithon ptycoides Heydrich. Delle 11 Corallinales raccolte mediante dragaggi nel circalitorale sloveno 5 taxa rappresentano nuove segnalazioni per l’area di studio: Hydrolithon boreale (Foslie) Y.M. Chamberlain, L. philippii, L. minervae, L. sonderi, N. brassica-florida [2]. Nella biocenosi del Detritico Costiero e presso i banchi di Cladocora caespitosa Linnaeus, L. philippii, L. sonderi, L. minervae, L. pustulatum, L. racemus, N. brassica-florida, N. mamillosum, P. lenormandii sono stati campionati come rodoliti vivi, morti o fossili. Alcuni siti sono risultati caratterizzati prevalentemente da rodoliti sub-fossili [2]. Sui fondi mobili da Venezia a Trieste sono state censite 15 Corallinales in forma di rodoliti, in prevalenza caratteristiche del Detritico Costiero. I dati degli anni ’90 avevano evidenziato la dominanza di talli morti in particolare nell’area di Grado, che risultava anche impoverita in termini di abbondanza. Il presente studio ha invece individuato proprio al largo di Grado la presenza di facies vive di maërl e rodoliti. In particolare i fondali sabbiosi sono risultati caratterizzati da L. racemus, mentre sul substrato pelitico-sabbioso sono stati rinvenuti per la prima volta nel Golfo di Trieste talli vivi di P. calcareum, assieme alle altre due specie caratteristiche del maërl mediterraneo (L. corallioides e L. minervae) (Curiel et al., 2009; AA.VV., 2010; [1]). Poiché l’analisi della morfologia dei rodoliti sembra essere indicativa delle caratteristiche idrodinamiche e del tasso di sedimentazione, i talli raccolti in due siti al largo di Grado caratterizzati da una più cospicua presenza di forme libere sono stati classificati in base all’indice di sfericità e alla densità delle ramificazioni [1]. HABITAT CORALLIGENO La posizione, la profondità, la topografia e la struttura geologica degli affioramenti rocciosi del Nord Adriatico sono ben documentati già da tempo, come lo sono la biodiversità e la variabilità spaziale delle comunità zoobentoniche. Al contrario solo pochi studi sono stati condotti sulle macroalghe [3]. Nel presente studio sono state analizzate la biodiversità e la variabilità spaziale delle comunità macroalgali di 37 affioramenti rocciosi situati sui fondali antistanti le lagune di Venezia e Grado-Marano, a distanze dalla costa comprese tra 0.5-10 miglia nautiche e profondità tra 7 e 25 m [3]. In base alla loro morfologia ed elevazione dal substrato tali affioramenti sono stati suddivisi in 3 tipologie: i) piccole rocce sparse con elevazione di 0.5-1m; ii) rocce raggruppate con elevazione di 0.5-1m; iii) strutture ampie con rilievo fino a 3-4m. Sulle superfici orizzontali superiori di ciascun affioramento le macroalghe sono state campionate mediante grattaggi di tre aree (2500 cm2). In laboratorio sono stati analizzati il numero di taxa, la copertura di Rhodophyta, Chlorophyta, Ochrophyta e dei gruppi morfo-funzionali (forme incrostanti, filamentose ed erette). Le relazioni di questi parametri con la tipologia del substrato, la profondità e la distanza dalla costa sono state valutate mediante analisi statistica [3]. In totale sono stati identificati 173 taxa, di cui 124 Rhodophyta, 25 Ochrophyta e 24 Chlorophyta. Con l’aggiunta di dati di letteratura il numero di macroalghe censite sugli affioramenti del Nord Adriatico è di 190 taxa., comprendendo gran parte della flora della regione. Considerando il contesto biogeografico e i fondali mobili circostanti le tegnùe presentano una elevata biodiversità algale, se comparata con le formazioni coralligene del Mediterraneo. L’analisi floristica ha portato al ritrovamento di Mesophyllum macroblastum (Foslie) Adey (Hapalidiaceae, Corallinales, Rhodophyta) componente importante del coralligeno nel Mediterraneo occidentale e prima segnalazione per il Nord Adriatico. I talli gametangiali sono stati invece rinvenuti per la prima volta in Mediterraneo [4]. La morfologia e l’anatomia dei talli raccolti nel Golfo di Trieste sono state analizzate al SEM e successivamente comparate con campioni d’erbario provenienti dal Tirreno e con dati di letteratura. In base alla struttura e anatomia dei concettacoli tetrasporangiali è stata proposta una nuova chiave dicotomica per l’identificazione dei taxa Mediterranei del genere Mesophyllum. È stato inoltre segnalato per la prima volta in Mediterraneo Phymatolithon lamii (Lemoine) Y. Chamberlain (Hapalidiaceae, Corallinales, Rhodophyta), specie aliena incrostante nord atlantica [5]. Lo studio morfo-anatomico al SEM dei campioni raccolti ha evidenziato alcune differenze rispetto ai tipi e ai campioni delle Isole Britanniche. Sono stati inoltre individuati e descritti i caratteri che distinguono P. lamii dalle altre due specie del genere ed è stata proposta una nuova chiave dicotomica basata sulla morfologia esterna del tallo e la struttura dei concettacoli. Il ritrovamento di P. lamii al di fuori del suo range ottimale di temperatura e la presenza di entrambe le fasi riproduttive sembrano indicare una maggiore capacità adattativa di questa specie. È quindi possibile che P. lamii sia presente anche in altre aree del Mediterraneo, ma confuso con il congenerico P. lenormandii. Oltre a P. lamii sugli affioramenti rocciosi campionati sono state rinvenute altre 7 specie aliene, già segnalate nella laguna di Venezia: Antithamnion hubbsii E.Y.Dawson, Desmarestia viridis (O.F.Müller) J.V.Lamouroux, Heterosiphonia japonica Yendo, Neosiphonia harveyi (J.W.Bailey) M.S.Kim, H.G.Choi, Guiry & G.W.Saunders, Polysiphonia morrowii Harvey, Polysiphonia stricta (Dillwyn) Greville, Solieria filiformis (Kützing) P.W.Gabrielson [3]. In totale sono state rinvenute 5 Peyssonneliaceae e 22 Corallinales, tra cui le più comuni sono L. pustulatum e L. philippii. È peculiare l’assenza di alcune alghe comuni nelle formazioni coralligene tipiche del Mediterraneo, che sono invece presenti sui substrati rocciosi sottocosta e poco profondi del Golfo di Trieste, quali Halimeda tuna (Ellis & Solander) J.V. Lamouroux e Flabellia petiolata (Turra) Nizamuddin. La copertura media (14.8 % ± 29.2 %) è bassa rispetto ai valori riportati per il Mediterraneo occidentale (>120 %) Le specie più abbondanti sono Peyssonnelia sp.pl., L. philippii, L. pustulatum e Zanardinia typus (Nardo) P.C.Silva. Per quanto riguarda i gruppi morfo-funzionali il numero delle alghe filamentose (13.4 ± 9.0 taxa) è maggiore rispetto alle forme incrostanti (6.4 ± 5.6 taxa) ed erette (5.4 ± 3.8 taxa). Risultati opposti sono stati ottenuti considerando invece le coperture medie (incrostanti: 8.2 % ± 19.3 %; erette: 4.2 % ± 8.6 % ; filamentose: 2.3 % ± 5.0 % ). Sia il numero di macroalghe che la copertura mostrano un'elevata variabilità correlata alla distanza dalla costa, alla topografia degli affioranti e alla profondità. Tale variabilità è più marcata sottocosta in vicinanza di sbocchi fluviali e alla laguna di Venezia. Questi affioramenti, sottoposti ad elevata sedimentazione, sono caratterizzati da bassi valori di copertura e dalla presenza di taxa a tallo eretto o comuni nelle acque di transizione e sulle strutture artificiali, quali ad esempio Ulva laetevirens Areschoug, Cryptonemia lomation (Bertoloni) J.Agardh, Rhodophyllis divaricata (Stackhouse) Papenfuss, Rhodymenia ardissonei (Kuntze) Feldmann, Ceramium diaphanum (Lightfoot) Roth, Chondria capillaris (Hudson) M.J.Wynne, Dictyota dichotoma v. intricata (C.Agardh) Greville. Gli affioramenti posti a maggior profondità al largo delle lagune di Grado e Venezia mostrano invece elevati valori di copertura di specie biocostruttrici, quali L. stictaeforme, L. philippi, N. mamillosum. In particolare gli affioramenti del Golfo di Trieste, caratterizzati da una minor torbidità e sedimentazione, presentano il numero di macroalghe e i valori di copertura di specie incrostanti maggiori. In generale le forme filamentose mostrano un elevato numero di taxa in entrambe le aree ma con bassi valori di copertura, ad eccezione di Pseudochlorodesmis furcellata (Zanardini) Børgesen . Dato che la MSFD richiede che il GES sia definito a livello ecosistemico, lo studio è stato integrato con dati relativi alle comunità zoobentoniche e alla fauna ittica [6]. È stata quindi ottenuta una check-list di 1001 taxa, che evidenzia la grande biodiversità degli affioramenti del Nord Adriatico. I gruppi principali presenti sugli affioramenti biogenici sono molluschi (256 taxa), alghe (190 taxa), policheti (144 taxa), crostacei (124 taxa), spugne (68 taxa), tunicati (40 taxa) e pesci (80 taxa). In generale gli affioramenti Adriatici sono contraddistinti da un maggior numero di sospensivori e da una ridotta complessità strutturale delle comunità biotiche rispetto al coralligeno mediterraneo. Gli affioramenti del Veneto, probabilmente anche in relazione al numero di studi condotti, presentano un maggior numero di taxa zoobentonici rispetto a quelli del Friuli Venezia Giulia e ai fondali Sloveni. I principali biocostruttori delle tegnùe sono rappresentati da alghe calcaree e policheti. C. caespitosa risulta rara sugli affioramenti italiani mentre mostra un’importante attività di biocostruzione in Slovenia. Complessivamente sono stati censiti 17 taxa considerati caratteristici del coralligeno (sensu Ballesteros, 2006), al contrario i grandi antozoi e briozoi sono assenti, ad eccezione di Myriapora truncata Pallas rinvenuta in Slovenia. L'assenza di queste specie è probabilmente legata alla scarsa elevazione degli affioramenti, alla risospensione dei sedimenti e alle ridotte dimensioni delle superfici colonizzabili. Il ruolo dei bioerosori sui processi di biocostruzione è stato poco indagato. In totale sono stati censiti 14 taxa bioerosori, di cui 4 poriferi, 2 sipunculidi, 4 bivalvi, 3 policheti e 1 echinoderma. In conclusione questo studio rappresenta un importante contributo alla caratterizzazione della componente macroalgale del coralligeno di fondo duro e mobile in Nord Adriatico. Sono state individuate facies vive di maërl in diversi siti al largo della laguna di Grado e definite le tipicità del coralligeno degli affioramenti rocciosi adriatici, adattato a elevati tassi di sedimentazione e ampie escursioni termiche e di salinità. Le tegnùe, per la ridotta profondità e particolare topografia, presentano caratteristiche in parte simili al coralligeno descritto per le coste Pugliesi (Sarà, 1969). Le conoscenze acquisite durante questa ricerca hanno permesso di: - designare due affioramenti come nuova area SIC per il Friuli Venezia Giulia (IT3330009 “Trezze San Pietro e Bardelli”) che con la Deliberazione della Giunta regionale n. 1623 del 20 settembre 2012 è entrata a far parte della rete Natura 2000. - includere ai fini dell’attuazione della MSFD il nord Adriatico tra le 11 assessment area per gli Habitat “Coralligeno” e “Fondi a maërl e rodoliti”. Lo Stato Ecologico è stato indicato in base al “giudizio esperto”, dato che per i due Habitat mancano a livello nazionale ed europeo indici validati per la definizione dei valori soglia del GES.
XXV Ciclo
1981
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7

Salsi, Giulia. "Fotocatalisi nelle piastrelle ceramiche: sviluppo e caratterizzazione di impasti per grès porcellanato a basso impatto ambientale." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2018.

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Abstract:
Questa tesi si inserisce nel progetto regionale MATER_SOS (Materiali sostenibili per il ripristino e la realizzazione di nuovi edifici) che punta al recupero degli scarti industriali per lo sviluppo di materiali da costruzione a basso impatto ambientale. Nell’ambito delle piastrelle ceramiche, la ricerca ha sviluppato un gres porcellanato ottenuto esclusivamente da materiali di scarto che ha il vantaggio di sinterizzare a temperature inferiori a quelle del materiale tradizionale. Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare se la piastrella di grès porcellanato ottenuta da materiale di riciclo possa essere resa fotocatalitica grazie al biossido di titanio (TiO2), il migliore fotocatalizzatore compatibile con i materiali ceramici. La fotocatalisi è un processo chimico che permette di decomporre rapidamente le sostanze inquinanti presenti nell’ambiente e sulla superficie del materiale. Si è proceduto ad implementare gli impasti già sviluppati con biossido di titanio a tutta massa utilizzando una polvere nanometrica e una polvere micrometrica. Diverse barbottine, additivate con TiO2 a tutta massa in percentuali sempre maggiori, sono state sinterizzate in muffola a varie temperature, tra i 800 e i 1100 °C, in base alla formulazione dell’impasto. I provini così ottenuti sono stati analizzati per valutarne la porosità, il ritiro, la composizione chimica e l’efficienza fotocatalitica. Si è inoltre applicato il biossido di titanio con un trattamento superficiale su campioni costituiti dal solo impasto base di riciclo mediante immersione (dip coating). Alcuni di questi campioni sono stati esposti in ambiente esterno per 30 e 90 giorni al fine di valutare la durabilità del trattamento fotocatalitico. I risultati dei due approcci hanno permesso un confronto fra diverse soluzioni applicative del biossido di titanio e di valutare l’interazione fra il TiO2 e i materiali di riciclo durante il processo di sinterizzazione.
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Mandanici, Emanuele <1982&gt. "Il contributo del telerilevamento multi ed iperspettrale per la caratterizzazione del territorio e la sostenibilità ambientale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3962/1/Mandanici_Emanuele_tesi.pdf.

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Abstract:
L’evoluzione dei sensori multispettrali e la prospettiva di sviluppo dei sensori iperspettrali nel campo del telerilevamento ottico offrono nuovi strumenti per l’indagine del territorio e rinnovano la necessità di ridefinire potenzialità, limiti e accuratezza delle metodologie tradizionali. Nel caso delle immagini iperspettrali, in particolare, l’elevatissima risoluzione spettrale apre nuove possibilità di sviluppo di modelli fisicamente basati per correlare grandezze radiometriche con indicatori fisico-chimici caratteristici delle superfici osservate, a prezzo però di maggiori oneri nella gestione del dato. Il presente lavoro mira appunto ad esaminare, per alcune applicazioni di carattere ambientale e attraverso casi di studio specifici, le criticità del problema del rilevamento da remoto nel suo complesso: dai problemi di correzione radiometrica delle immagini, all'acquisizione di dati di calibrazione sul campo, infine all'estrazione delle informazioni di interesse dal dato telerilevato. A tal fine sono stati sperimentati diversi modelli di trasferimento radiativo ed è stata sviluppata un’interfaccia per la gestione del modello 6SV. Per quest’ultimo sono state inoltre sviluppate routine specifiche per il supporto dei sensori Hyperion e World View 2. La ricerca svolta intende quindi offrire un contributo alla definizione di procedure operative ripetibili, per alcune applicazioni intimamente connesse all’indagine conoscitiva ed al monitoraggio dei processi in atto sul territorio. Nello specifico, si è scelto il caso di studio dell’oasi del Fayyum, in Egitto, per valutare il contenuto informativo delle immagini satellitari sotto tre diversi profili, soltanto in apparenza distinti: la classificazione della litologia superficiale, la valutazione dello stato di qualità delle acque ed il monitoraggio delle opere di bonifica. Trattandosi di un’oasi, le aree coltivate del Fayyum sono circondate dai suoli aridi del deserto libico. La mancanza di copertura vegetale rappresenta una condizione privilegiata per l’osservazione della litologia superficiale da remoto, auspicabile anche per la scarsa accessibilità di alcune aree. Il fabbisogno idrico dell’oasi è garantito dall’apporto di acque del fiume Nilo attraverso una rete di irrigazione che ha, come recettore finale, il lago Qarun, situato nella porzione più depressa dell’oasi. Questo lago, privo di emissari, soffre enormi problemi di salinizzazione, visto il clima iper-arido in cui si trova, e di inquinamento da fertilizzanti agricoli. Il problema della sostenibilità ambientale dello sfruttamento agricolo intensivo dell’oasi è un problema di deterioramento della qualità dell’acqua e della qualità dei suoli. È un problema che richiede una adeguata conoscenza del contesto geologico in cui questi terreni sono inseriti ed una capacità di monitoraggio degli interventi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto; entrambe conoscenze necessarie alla definizione di un piano di sviluppo economico sostenibile. Con l’intento di contribuire ad una valutazione delle effettive potenzialità del telerilevamento come strumento di informazione territoriale, sono state sperimentate tecniche di classificazione di immagini multispettrali ASTER ed iperspettrali Hyperion di archivio per discriminare la litologia superficiale sulle aree adiacenti al lago Qarun nell’oasi del Fayyum. Le stesse immagini Hyperion di archivio più altre appositamente acquisite sono state utilizzate, assieme ad immagini multispettrali ALI, per la valutazione qualitativa e quantitativa di parametri di qualità delle acque, attraverso l’applicazione di modelli empirici di correlazione. Infine, per valutare l’ipotesi che il deterioramento della qualità delle acque possa essere correlato ai processi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto negli ultimi decenni, le immagini dell’archivio Landsat sono state utilizzate per analisi di change detection. Per quanto riguarda il problema della validazione dei risultati, si è fatto uso di alcuni dati di verità a terra acquisiti nel corso di un survey preliminare effettuato nell’Ottobre 2010. I campioni di roccia prelevati e le misure di conducibilità elettrica delle acque del lago, benché in numero estremamente limitato per la brevità della missione e le ovvie difficoltà logistiche, consentono alcune valutazioni preliminari sui prodotti ottenuti dalle elaborazioni. Sui campioni di roccia e sabbie sciolte, in particolare, sono state effettuate misure di riflettività in laboratorio ed analisi mineralogiche dettagliate. Per la valutazione della qualità delle acque, più precisamente delle concentrazioni di clorofilla, la metodologia utilizzata per il caso di studio egiziano è stata applicata anche sul tratto costiero adriatico antistante le foci dei fiumi Tronto e Salinello. In questo sito sono state effettuate misure in situ di conducibilità elettrica ed il prelievo di campioni di acqua per la determinazione in laboratorio delle concentrazioni di clorofilla. I risultati ottenuti hanno evidenziato le potenzialità offerte dall’informazione spettrale contenuta nelle immagini satellitari e consentono l’individuazione di alcune pratiche operative. D’altro canto hanno anche messo in luce le carenze dei modelli attualmente esistenti, nonché le criticità legate alla correzione atmosferica delle grandezze radiometriche rilevate.
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Mandanici, Emanuele <1982&gt. "Il contributo del telerilevamento multi ed iperspettrale per la caratterizzazione del territorio e la sostenibilità ambientale." Doctoral thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2011. http://amsdottorato.unibo.it/3962/.

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L’evoluzione dei sensori multispettrali e la prospettiva di sviluppo dei sensori iperspettrali nel campo del telerilevamento ottico offrono nuovi strumenti per l’indagine del territorio e rinnovano la necessità di ridefinire potenzialità, limiti e accuratezza delle metodologie tradizionali. Nel caso delle immagini iperspettrali, in particolare, l’elevatissima risoluzione spettrale apre nuove possibilità di sviluppo di modelli fisicamente basati per correlare grandezze radiometriche con indicatori fisico-chimici caratteristici delle superfici osservate, a prezzo però di maggiori oneri nella gestione del dato. Il presente lavoro mira appunto ad esaminare, per alcune applicazioni di carattere ambientale e attraverso casi di studio specifici, le criticità del problema del rilevamento da remoto nel suo complesso: dai problemi di correzione radiometrica delle immagini, all'acquisizione di dati di calibrazione sul campo, infine all'estrazione delle informazioni di interesse dal dato telerilevato. A tal fine sono stati sperimentati diversi modelli di trasferimento radiativo ed è stata sviluppata un’interfaccia per la gestione del modello 6SV. Per quest’ultimo sono state inoltre sviluppate routine specifiche per il supporto dei sensori Hyperion e World View 2. La ricerca svolta intende quindi offrire un contributo alla definizione di procedure operative ripetibili, per alcune applicazioni intimamente connesse all’indagine conoscitiva ed al monitoraggio dei processi in atto sul territorio. Nello specifico, si è scelto il caso di studio dell’oasi del Fayyum, in Egitto, per valutare il contenuto informativo delle immagini satellitari sotto tre diversi profili, soltanto in apparenza distinti: la classificazione della litologia superficiale, la valutazione dello stato di qualità delle acque ed il monitoraggio delle opere di bonifica. Trattandosi di un’oasi, le aree coltivate del Fayyum sono circondate dai suoli aridi del deserto libico. La mancanza di copertura vegetale rappresenta una condizione privilegiata per l’osservazione della litologia superficiale da remoto, auspicabile anche per la scarsa accessibilità di alcune aree. Il fabbisogno idrico dell’oasi è garantito dall’apporto di acque del fiume Nilo attraverso una rete di irrigazione che ha, come recettore finale, il lago Qarun, situato nella porzione più depressa dell’oasi. Questo lago, privo di emissari, soffre enormi problemi di salinizzazione, visto il clima iper-arido in cui si trova, e di inquinamento da fertilizzanti agricoli. Il problema della sostenibilità ambientale dello sfruttamento agricolo intensivo dell’oasi è un problema di deterioramento della qualità dell’acqua e della qualità dei suoli. È un problema che richiede una adeguata conoscenza del contesto geologico in cui questi terreni sono inseriti ed una capacità di monitoraggio degli interventi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto; entrambe conoscenze necessarie alla definizione di un piano di sviluppo economico sostenibile. Con l’intento di contribuire ad una valutazione delle effettive potenzialità del telerilevamento come strumento di informazione territoriale, sono state sperimentate tecniche di classificazione di immagini multispettrali ASTER ed iperspettrali Hyperion di archivio per discriminare la litologia superficiale sulle aree adiacenti al lago Qarun nell’oasi del Fayyum. Le stesse immagini Hyperion di archivio più altre appositamente acquisite sono state utilizzate, assieme ad immagini multispettrali ALI, per la valutazione qualitativa e quantitativa di parametri di qualità delle acque, attraverso l’applicazione di modelli empirici di correlazione. Infine, per valutare l’ipotesi che il deterioramento della qualità delle acque possa essere correlato ai processi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto negli ultimi decenni, le immagini dell’archivio Landsat sono state utilizzate per analisi di change detection. Per quanto riguarda il problema della validazione dei risultati, si è fatto uso di alcuni dati di verità a terra acquisiti nel corso di un survey preliminare effettuato nell’Ottobre 2010. I campioni di roccia prelevati e le misure di conducibilità elettrica delle acque del lago, benché in numero estremamente limitato per la brevità della missione e le ovvie difficoltà logistiche, consentono alcune valutazioni preliminari sui prodotti ottenuti dalle elaborazioni. Sui campioni di roccia e sabbie sciolte, in particolare, sono state effettuate misure di riflettività in laboratorio ed analisi mineralogiche dettagliate. Per la valutazione della qualità delle acque, più precisamente delle concentrazioni di clorofilla, la metodologia utilizzata per il caso di studio egiziano è stata applicata anche sul tratto costiero adriatico antistante le foci dei fiumi Tronto e Salinello. In questo sito sono state effettuate misure in situ di conducibilità elettrica ed il prelievo di campioni di acqua per la determinazione in laboratorio delle concentrazioni di clorofilla. I risultati ottenuti hanno evidenziato le potenzialità offerte dall’informazione spettrale contenuta nelle immagini satellitari e consentono l’individuazione di alcune pratiche operative. D’altro canto hanno anche messo in luce le carenze dei modelli attualmente esistenti, nonché le criticità legate alla correzione atmosferica delle grandezze radiometriche rilevate.
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Delise, Riccardo. "Caratterizzazione sismica di tre siti della rete accelerometrica nazionale (ran) mediante elaborazione di terremoti e rumore ambientale." Master's thesis, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 2015. http://amslaurea.unibo.it/8249/.

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Abstract:
Il lavoro di questa tesi ha previsto l'acquisizione e l'elaborazione di dati geofisici al fine di determinare la risposta sismica di tre siti della Rete Accelerometrica Nazionale (RAN), collocandosi all'interno del progetto sismologico S2-2014 Constraining Observations into Seismic Hazard gestito dal Dipartimento di Protezione Civile Nazionale e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e di Vulcanologia. Tale necessità nasce dal fatto che il più delle volte le informazioni per la corretta caratterizzazione geofisica dei siti ospitanti le stazioni accelerometriche risultano essere insufficienti, rendendo così i dati acquisiti non idonei per l'utilizzo in sede di calcolo delle leggi di attenuazione dalle quali successivamente vengono derivate le mappe di pericolosità sismica a livello nazionale e locale. L'obbiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di determinare l'eventuale presenza di effetti di sito o effetti di interazione suolo-struttura, per tre stazioni ubicate in Friuli-Venezia Giulia (codici stazioni MAI, TLM1 e BRC), capaci di amplificare il moto del terreno nella parte di suolo compresa fra il bedrock sismico (inteso come strato che non amplifica) e il piano campagna. Le principali tecniche utilizzate sono le seguenti: HVSR ossia rapporto spettrale della componente orizzontale su quella verticale da misure di rumore ambientale acquisite e EHV ovvero rapporto spettrale della componente orizzontale su verticale da registrazione di terremoti scaricate dal database accelerometrico italiano ITACA. I risultati delle due tecniche sono stati poi confrontati al fine di verificare un'eventuale congruenza, portando alle seguenti conclusioni. La caratterizzazione della stazione TLM1 ha portato alla importante conclusione che il sito non è idoneo per l’acquisizione di dati accelerometrici da utilizzare per il calcolo di leggi predittive o di attenuazione. La stazione accelerometrica è ospitata all’interno di un box in lamiera su una collina nel comune di Verzegnis (UD). Il problema principale che riguarda questo sito è la vicinanza della diga Ambiesta e del relativo invaso. La stazione di BRC è collocata all’interno di una cabina di trasformazione dell’ENEL sul lato destro del torrente Cellina, al suo ingresso nel lago di Barcis (PN). Le condizioni topografiche della zona, molto impervie, non consentono la corretta acquisizione dei dati. Un ulteriore fattore di disturbo è dato dall’interazione suolo-struttura, causata dalla cabina ENEL in cui è alloggiata la strumentazione. La caratterizzazione della stazione MAI collocata all'interno di una cabina ENEL nel centro del comune di Majano (UD) ha portato alla conclusione che questa è l'unica delle tre stazioni considerate capace di acquisire dati utilizzabili per il processo di validazione per le stime di pericolosità sismica. Questo perché le condizioni topografiche dell’area, pianura con stratificazione 1D, hanno permesso di sfruttare a pieno le potenzialità delle metodologie utilizzate, consentendo anche la ricostruzione di profili di velocità delle onde di taglio S con i quali è stata assegnata la categoria C del suolo previsto dall'approccio semplificato presente nelle NTC08.
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Books on the topic "Caratterizzazione ambientale"

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Naddeo, Vincenzo, Vincenzo Belgiorno, and Tiziano Zarra. Caratterizzazione degli odori per la valutazione dell’impatto Ambientale. Lulu Press, Inc., 2010.

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L' incenerimento dei rifiuti: Caratterizzazione dei materiali in ingresso, tecnologie emergenti, controllo degli effluenti, impatto ambientale : atti del Convegno nazionale, Bologna 16-17 marzo 1995. Rimini: Maggioli, 1996.

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