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Journal articles on the topic 'Abuso, diritto'

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Grignani, Francesca. "Abuso psicologico all'infanzia: problematiche e intervento in sede penale." MALTRATTAMENTO E ABUSO ALL'INFANZIA, no. 2 (June 2010): 73–85. http://dx.doi.org/10.3280/mal2010-002006.

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Abstract:
Il presente contributo č dedicato al fenomeno del maltrattamento psicologico intrafamiliare sul minore e, in particolare, al suo trattamento in sede penale. Le principali tematiche affrontate riguardano l'esplicitazione delle problematiche che tale tipologia di abuso č destinata ad incontrare nell'ambito del diritto penale, la costruzione di un modello di procedimento in sede penale, quale č stata suggerita da due Pubblici Ministeri e da un Giudice del Tribunale Ordinario di Milano e l'analisi di una sentenza di secondo e di terzo grado relativa ad un reato di tal genere. La conclusione cui si arriva sottolinea come bisognerebbe agire sempre in base all'interesse del minore propendendo, dunque, per una maggiore definizione del fenomeno a livello normativo e per l'uso dello strumento penale, laddove necessario e prevedendo, invece, un percorso di ricostruzione familiare in caso di recuperabilitŕ genitoriale.
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Terranova, Giulia. "Una bella intersecazione fra trust e diritto societario (Trib. Milano, 22 novembre 2021)." settembre-ottobre, no. 5 (October 6, 2022): 945–50. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.195.

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Abstract:
Tesi La pronuncia in commento, facendo propria l’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria, dà una definizione di «abuso di maggioranza» e ne esclude la sussistenza nella fattispecie sottoposta alla sua attenzione. L’ordinanza del Tribunale di Milano è interessante inoltre perché riguarda un caso di impiego del trust in funzione successoria e in particolare per garantire il passaggio intergenerazionale dell’impresa. Come correttamente sottolinea il giudice milanese, attraverso il trasferimento di un pacchetto azionario rilevante ad un trust è possibile assicurare continuità nella gestione dell’impresa, anche dopo la morte del disponente, evitando l’instaurazione di una comunione tra i coeredi e scongiurando quindi il rischio di smembramento della società. The author’s view The decision gives a definition to the «abuse of the majority» alike the one given by the majority of the Italian jurisprudence and it concludes that in the case examined the majority shareholder did not abuse of his majority. The decision is interested also because it is about a case of use of the trust for the efficient succession of a company between different generations. As the Court correctly underlines, through the transfer of a block of shares to a trust, it is possible to give continuity to the management of the company, even after the settlor’s death, avoiding the community of property between the heirs and preventing the risk of the dissolution of the company.
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3

Kennett, Wendy. "Book Review: L’abuso Del Diritto, by Guilio Levi. (Guiffré, 1993)." European Review of Private Law 3, Issue 3 (September 1, 1995): 536–38. http://dx.doi.org/10.54648/erpl1995040.

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4

Pröbstl, Julian. "Gaspare Falsitta: Unità e pluralità del concetto di abuso del diritto nell´ordinamento interno e nel sistema comunitario (Rivista di Diritto Tributario 2018, S. 333-350)." Steuer und Wirtschaft - StuW 96, no. 1 (February 1, 2019): 101–2. http://dx.doi.org/10.9785/stuw-2019-960111.

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5

Litwiniuk, Przemyslaw. "Abuso di diritto da parte del beneficiario della Politica agricola comune (creazione di condizioni artificiali al fine di ricevere assistenza finanziaria)." AGRICOLTURA ISTITUZIONI MERCATI, no. 1 (April 2015): 29–45. http://dx.doi.org/10.3280/aim2013-001003.

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Vasapolli, Andrea. "Trust fiscalmente inesistente (Risposta a interpello 4 luglio 2022, n. 359)." Trusts, no. 6 (December 1, 2022): 1135–47. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.226.

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Abstract:
Tesi La casistica con riferimento alla quale l’Agenzia delle Entrate definisce i trust come «fiscalmente inesistenti» non trova supporto nella legge ed è il frutto di interpretazioni storiche riferite a trust esteri utilizzati quali strumenti di mera evasione. La legge fiscale non fornisce una autonoma definizione di trust, per cui anche ai fini fiscali devono essere riconosciuti come trust, e in quanto tali come enti dotati di autonoma soggettività tributaria, i trust che siano riconoscibili sulla base delle condizioni previste dalla Convenzione de L’Aja. Deve essere considerato inesistente, conseguentemente anche non produttivo di effetti ai fini fiscali, un trust non riconoscibile come tale in Italia sulla base della Convenzione de L’Aja, mentre devono esserne solo disconosciuti gli effetti ai fini fiscali qualora il trust sia stato validamente istituito ma trovino applicazione le disposizioni in tema di abuso del diritto. The author’s view The cases with reference to which the Italian Tax Authority defines trust as «fiscally non-existent» do not find support in the law and are the result of historical interpretations referring to foreign trust used as instruments of mere evasion. The tax law does not provide an autonomous definition of trust, so that trust that are recognisable on the basis of the conditions set out in the Aja Convention must be recognised as trust, and as such as entities with autonomous tax subjectivity for tax purposes. A trust which is not recognisable as such in Italy on the basis of the Aja Convention must be regarded as non-existent, and consequently also as not producing any effects for tax purposes, whereas its effects for tax purposes must only be disallowed where the trust has been validly set up but the provisions on abuse of rights apply.
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7

Battistelli, Stefania, and Piera Campanella. "Comando e controllo nel lavoro agile: prime riflessioni." PRISMA Economia - Società - Lavoro, no. 2 (February 2022): 52–67. http://dx.doi.org/10.3280/pri2020-002004.

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Abstract:
La normativa italiana in materia di lavoro agile (L. n. 81 del 2017) delinea le ca-ratteristiche di una nuova modalità di lavoro flessibile, senza vincoli specifici di orario e luogo di lavoro. L'istituto, che nasce con finalità di incrementare la com-petitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, solleva questioni nuove, concernenti tanto l'organizzazione e la produttività del lavoro, quanto il benessere dei lavoratori, aprendo nuovi spazi di riflessione e di studio a riguardo. Alla luce di queste prime considerazioni, il contributo in oggetto si concentra sull'impatto del lavoro agile, e più in generale del lavoro a distanza, nei confronti dei poteri tipici del datore di lavoro rispetto alle relazioni industriali-tipo. Con l'introduzione di nuove tecnologie e di nuovi modelli di organizzazione del lavoro, il potere di controllo del datore di lavoro tende a rafforzarsi, esponendo i lavoratori a nuove forme di sorveglianza costante. In questo (nuovo) contesto, ci si chiede, in particolare, in che modo il potere di controllo o vigilanza si atteggi nel lavoro a distanza, quale funzione sia deputato ad assolvere e se e in che misura risulti com-patibile con la disciplina avente ad oggetto la vigilanza sull'esatto adempimento degli obblighi contrattuali da parte dei dipendenti di cui all'art. 4 St. lav. Analoga-mente, ci si chiede quali siano gli effetti della flessibilità dell'orario di lavoro sul potere, sui doveri e sulle responsabilità del datore, chiamato a garantire la discon-nessione del lavoratore dagli strumenti tecnologici di lavoro attraverso l'adozione di apposite misure tecniche e organizzative (art. 19, co. 1, L. 81/2017). D'altro can-to, lo scopo del diritto alla disconnessione non è solo quello di tutelare la salute del lavoratore e garantire il rispetto della sua vita personale, ma anche quello di evita-re il rischio di abuso di potere del datore di lavoro, comunemente definito "time porosity". Tuttavia, un modo adeguato per garantire efficacemente il diritto del lavoratore alla disconnessione non è ancora stato individuato e la questione meri-ta di essere approfondita. Tenuto conto di ciò, sarebbe opportuno ripensare al ruo-lo, da una parte, della contrattazione collettiva e delle parti sociali e, dall'altra, della legge nell'ottica di innalzare la qualità del lavoro a distanza.
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Menis, Claudio. "Les rapports entre le droit communautaire et la nouvelle loi italienne relative à la protection de la concurrence." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 79–92. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344974.

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Abstract:
Abstract La nuova legge italiana sulla concorrenza s’inserisce in un contesto economico e giuridico caratterizzato dall’esistenza del diritto comunitario della concorrenza, che è applicable a tutti i comportamenti delle imprese che producono effetti nella Comunità economica europea.Il diritto comunitario non esclude che gli Stati membri introducano leggi nazionali per la protezione della concorrenza, che anzi possono coesistere legittimamente con il diritto comunitario e anche svolgere un ruolo importante in seno alla Comunità.Pertanto, è utile esaminare quale sia l’incidenza del diritto comunitario della concorrenza sulla legge italiana e, inoltre, quale sia il ruolo che la legge italiana può svolgere per contribuire ad assicurare il buon funzionamento del mercato comune.In primo luogo, è necessario esaminare i rapporti tra gli articoli 85 e 86 del Trattato CEE e i diritti nazionali della concorrenza.Tali articoli si applicano esclusivamente ai comportamenti delle imprese che sono suscettibili d’influenzare gli scambi commerciali tra Stati membri. Essi non hanno quindi il compito di sostituirsi ai diversi diritti nazionali della concorrenza ma, al contrario, lasciano aperta agli Stati membri la possibilità di emanare norme specifiche per il controllo delle imprese i cui comportamenti hanno effetto nei rispettivi territori nazionali.Peraltro, secondo quanto ha stabilito nel 1969 la Corte di Giustizia delle Comunità europee, l’applicazione parallela del diritto comunitario e del diritto nazionale non può essere ammessa che nella misura in cui non pregiudichi l’applicazione uniforme, in tutto il mercato comune, delle norme comunitarie.Tra i diversi casi possibili, quelli in cui le autorità nazionali possono agire sono sia il caso in cui la Commissione abbia ritenuto di vietare gli accordi o le pratiche in discussione, ed in cui un divieto a livello nazionale potrebbe contribuire ad elevare le sanzioni nei riguardi dell’impresa incriminata (pur tenendosi conto del fatto che per motivi di equità le sanzioni cumulate non possono superare un certo livello), sia il caso in cui la Commissione abbia dichiarato che un accordo o una pratica non rientrano nel campo d’applicazione degli articoli 85 o 86; in quest’ultimo caso, secondo la dottrina prevalente, un’attestazione negativa non priverebbe le autorità nazionali del diritto di applicare la loro legislazione sulla concorrenza. Un caso analogo è quello in cui la Corte, con una speciale lettera amministrativa (lettre de classement), abbia espresso l’opinione di non dover intervenire in applicazione dell’art. 85, e nel quale le autorità nazionali possono applicare le loro norme più ristrette.Per quanto riguarda, poi, il regolamento comunitario attinente alle concentrazioni nei suoi rapporti con i diritti nazionali di concorrenza, esso non determina il suo campo di applicazione sulla base dell’influenza esercitata sugli scambi tra Stati membri, ma in funzione del criterio della dimensione comunitaria dell’operazione di concentrazione. In questo caso, contrariamente a quanto accade per l’applicazione degli articoli 85 ed 86 del Trattato CEE, viene escluso qualsiasi intervento dei sistemi nazionali nei riguardi delle concentrazioni di dimensione comunitaria (con due eccezioni: quando la concentrazione rischia di determinare una «posizione dominante” all’interno di uno Stato membro e quando uno Stato membro intenda assicurare la protezione di interessi legittimi che non sono tutelati dal regolamento comunitario).Gli Stati membri possono, invece, applicare la loro legislazione alle concentrazioni che non abbiano dimensione comunitaria.Tutto quanto precede riguarda i rapporti tra normative CEE e diritti nazionali degli Stati membri. Vediamo adesso la posizione della legge italiana con riguardo al diritto comunitario della concorrenza.A questo riguardo, vi sono alcune difficoltà interpretative. Infatti, secondo il primo comma dell’art. l della legge, quest’ultima si applicherebbe alle intese, agli abusi di posizione dominante ed alle concentrazioni d’imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie. Pertanto, l’Autorità italiana, dopo aver constatato che un caso sottopostole non rientra nell’ambito di applicazione della legge, ne informa la Commissione delle Comunità europee, trasmettendole tutte le informazioni in suo possesso.Se ci si attenesse, quindi, ai due primi’ paragrafi, si potrebbe ritenere che la legge italiana non possa mai essere applicata a casi che rientrano nella competenza del diritto comunitario della concorrenza; tale limitazione del diritto italiano della concorrenza, come si è visto, non è richiesta dal diritto comunitario (salvo per le concentrazioni di dimensione comunitaria).Il terzo paragrafo dell’art. 1, tuttavia, sembra introdurre un’eccezione a questa limitazione, affermando che, per quanto riguarda i casi per i quali la Commissione delle Comunità europee ha gia iniziato una procedura, l’Autorità italiana deve sospendere l’istruttoria, «salvo per gli eventuali aspetti di esclusiva rilevanza nazionale».Due interpretazioni sono possibili: che gli «aspetti di esclusiva rilevanza nazionale” si riferiscano soltanto a comportamenti che non sono suscettibili d’influenzare gli scambi tra Stati, oppure che si riferiscano anche a comportamenti che possono influenzare tali scambi e, di conseguenza, la legge italiana potrebbe applicarsi anche a comportamenti che rientrano nel diritto comunitario della concorrenza. In quest’ultimo caso potrebbe esservi un’applicazione parallela dei due ordinamenti della concorrenza, sempre con il rispetto del primato del diritto comunitario (salvo che per le concentrazioni di dimensione nazionale).Sara compito dell’Autorità scegliere tra queste due possibili interpretazioni.
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Charrier, Guy. "Parallèle entre la loi italienne pour la protection de la concurrence et le système français." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 103–15. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345045.

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Abstract:
Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato presenta una notevole analogia, sia nei concetti che nei principali meccanismi applicativi, con le principali legislazioni dei Paesi membri della CEE e soprattutto con quelle che sono state introdotte negli anni più recenti.Il campo d’applicazione riguarda, almeno in principio, tutti i settori di attività, sia nel sistema italiano che in quello francese, poiché nessuna deroga è prevista, salvo per alcune particolari attività, come gli audio-visivi, la stampa, le banche e le assicurazioni.Questa estensione del campo di applicazione della legislazione si spiega con il fatto che essa riguarda tutte le pratiche anti-concorrenziali che vadano a detrimento del buon funzionamento del mercato e che tali pratiche siano suscettibili di provenire da tutti gli operatori economici.In Francia, peraltro, vige una distinzione tra comportamenti diretti a falsare il mercato, e che ricadono sotto le categorie di cartelli e di abuso di posizione dominante, di cui si occupa il Consiglio della concorrenza, e le pratiche restrittive, come il rifiuto di vendere, la subordinazione delle vendite, le discriminazioni e l’imposizione di prezzi, che sono di competenza dei tribunali perché in principio riguardano soltanto i rapporti tra imprese.Un secondo aspetto riguarda l’applicazione delle regole della concorrenza alle persone pubbliche. In principio, le disposizioni della legge italiana circa le imprese pubbliche (art. 8) e quelle della legge francese (art. 53) rispondono soltanto in parte alla questione. Nel diritto francese, quando una persona pubblica agisce da privato, è sottoposta alle leggi che riguardano il comportamento dei privati. Una difficoltà sorge, invece, quando questa persona pubblica, agendo nell’ambito dei suoi poteri, genera sul mercato effetti che danneggiano la concorrenza. Una recente sentenza del Tribunale dei conflitti ha concluso che le regole della concorrenza non si applicano alle persone pubbliche se non nella misura in cui esse diano luogo ad attività di produzione (di distribuzione o di servizi).La legge italiana non dà alcuna definizione del concetto di concorrenza nè dà alcun elemento che ne consenta la giustificazione economica. Altrettanto avviene con la legge vigente in Francia, ove sono i testi delle decisioni che forniscono indicazioni al riguardo.Il principio generate del divieto dei cartelli, come anche l’elenco dei casi suscettibili di costituire intese di carattere anti-concorrenziale, sono presentati in modo molto simile sia nella legge italiana che in quella francese. Ambedue riprendono, d’altronde, la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma.Tutto fa pensare che l’Autorità italiana si troverà di fronte a casi analoghi a quelli di cui si è in varie occasioni occupato il Consiglio della concorrenza francese: cartelli orizzontali (accordi sui prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sull’esclusione di un’impresa del mercato, ecc.); intese verticali (risultanti da accordi tra un produttore ed i suoi distributori nell’ambito di contratti di distribuzione selettiva o esclusiva); imprese comuni (la cui creazione può rientrare nel campo della proibizione di cartelli o costituire un’operazione di concentrazione); intese tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (nel quadro dei mercati pubblici, il Consiglio ha ritenuto che non sia contrario alle norme concorrenziali, per imprese con legami giuridici o finanziari, rinunciare alla loro autonomia commerciale e concertarsi per rispondere a delle offerte pubbliche).Sull’abuso di posizione dominante, così come per i cartelli, i due sistemi italiano e francese presentano molte somiglianze. Tuttavia, contrariamente al diritto francese ed a quello tedesco, nella legislazione italiana non si fa alcun riferimento alle situazioni di «dipendenza economica». Peraltro, l’identificazione di questo caso è alquanto complessa e, sinora, il Consiglio non ha rilevato alcun caso che rientri nello sfruttamento abusivo di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, si può forse concludere che il legislatore italiano sia stato, a questo riguardo, più saggio di quello francese. Più in generale, per quanto riguarda i casi di abuso di posizione dominante, il Consiglio deBa concorrenza ha seguito un’impostazione piuttosto tradizionalista.Anche sul controllo delle concentrazioni, il testo della legge italiana richiama quello francese e anche quello della normativa comunitaria, pur se è diversa la ripartizione delle competenze tra Autorità incaricata della concorrenza e Governo. Nella legge italiana, d’altra parte, vi sono delle norme relative alla partecipazione al capitale bancario che fanno pensare ad un dibattito molto vivo su questo tema.I livelli «soglia” per l’obbligo di notifica delle concentrazioni sono più elevati in Francia. Bisognerà poi vedere con quale frequenza il Governo italiano farà ricorso all’art. 25, che gli conferisce il potere di fissare criteri di carattere generale che consentono di autorizzare operazioni di concentrazione per ragioni d’interesse generale, nel quadro dell’integrazione europea.L’interesse delle autorità amministrative francesi nei riguardi delle concentrazioni, che un tempo era molto limitato, è divenuto più intenso negli anni più recenti, anche se i casi di divieto di concentrazioni sono stati sinora molto limitati.In conclusione, si può ricordare che un organismo competente in materia di protezione della concorrenza ha un triplice compito: pedagogico (attraverso la pubblicazione delle decisioni, delle motivazioni e delle ordinanze su questioni di carattere generale e sui rapporti attinenti al funzionamento del mercato), correttivo (per distogliere gli operatori economici da comportamenti anti-concorrenziali) e, infine, dissuasivo (poiché l’esperienza di applicazione delle leggi relative alla concorrenza dimostra che la loro efficacia dipende in modo decisivo dalla comminazione di sanzioni).
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Chiappetta, Giovanna. "Cittadinanza europea: opportunità e abusi nel diritto internazionale privato della famiglia." CITTADINANZA EUROPEA (LA), no. 2 (January 2021): 105–34. http://dx.doi.org/10.3280/ceu2020-002005.

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Abstract:
Il saggio si incentra sulla funzione dell'autonomia negoziale nella regolamentazione degli status e dei rapporti familiari tra componenti il nucleo familiare tipico o atipico. Ciò in quanto il ruolo dell'autonomia negoziale è stato ampliato anche dalla cittadinanza europea intesa dalla Corte di giustizia europea come fonte autonoma di diritti. Tale cittadinanza, che si aggiunge a quella nazionale, ha consentito alla coppia ‘statica', pur in assenza del carattere transnazionale della situazione familiare, di scegliere la legge e gli strumenti di ordinamenti stranieri da applicare ai rapporti patrimoniali ed esistenziali della comunità di vita. Il saggio si propone di dimostrare come i Regolamenti UE in materia familiare possano applicarsi anche ai cittadini europei ‘statici', consentendo la scelta di leggi straniere con soluzioni estranee all'ordinamento nazionale, nel rispetto del limite dell'ordine pubblico costituzionale di ciascun Paese membro.
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Lacey, Eric F. "Some Comparative and Contrasting Features of OECD Countries’ Competition Laws*." Journal of Public Finance and Public Choice 7, no. 1 (April 1, 1989): 81–87. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907344703.

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Abstract:
Abstract La legislazione sulla concorrenza nei paesi OCSE presenta, nei rispettivi ordinamenti, profonde diversità, sia sostanziali che procedurali.La relativa regolamentazione riguarda, soprattutto: 1) accordi orizzontali tra imprese concorrenti, con esclusione di quelli che non sono considerati anti-competitivi, come gli accordi a fini di ricerca e sviluppo e quelli attinenti ai diritti di proprietà intellettuale; 2) accordi verticali; 3) abuso di posizione dominante (con ampie differenze, sia nella definizione di « posizione dominante » che di « abuso »); 4) fusioni e concentrazioni, con « soglie », anche in questo caso, molto diverse, ma generalmente con un uso limitato del potere di controllo delle autorità, per evitare interferenze con il mercato.Le procedure per l’applicazione della liquidazione sono caratterizzate in tutti i paesi OCSE dalla distinzione tra l’attività investigativa e quella decisionale, ma gli organi preposti possono anche essere numerosi (come nel Regno Unito), con conseguenti complicazioni.
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Salardi, Silvia. "‘Usi’ e ‘abusi’ nel diritto: Una riflessione critica sulla normativa in materia di analisi genetiche." Filozofija i drustvo 24, no. 2 (2013): 239–54. http://dx.doi.org/10.2298/fid1302239s.

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Abstract:
Al centro di questo contributo vi ? l?analisi eticogiuridica degli atti normativi disciplinanti le analisi genetiche in vari contesti, ad esempio, ricerca medica, terapia, medicina legale e cos? dicendo. Lo scopo ? di mettere in evidenza i valori ai quali sono state improntate alcune risposte normative. Pertanto, dopo una ricognizione delle varie tipologie di analisi genetiche e dei loro possibili impieghi, il presente lavoro confronta i testi normativi internazionali, europei e nazionali (Austria, Francia, Germania, Svizzera), al fine di individuare la strada percorsa e da percorrere per salvaguardare il pi? possibile certi valori ritenuti fondamentali per la preservazione sia dell?autonomia individuale, sia dell?eguaglianza tra i consociati. Si concluder? che non tutte le norme che disciplinano le analisi genetiche possono considerarsi rispettose dei diritti fondamentali garantiti a tutti gli individui.
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Lacey, Eric F. "The Italian Competition Law Compared with Other OECD Countries’ Competition Laws." Journal of Public Finance and Public Choice 8, no. 2 (October 1, 1990): 147–51. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345090.

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Abstract:
Abstract L’ltalia è il penultimo Paese membro dell’OCSE che abbia adottato una legge sulla protezione della concorrenza (adesso solo la Turchia non ha alcuna legge al riguardo).Peraltro, la legislazione vigente nei Paesi OCSE non è del tutto identica. Vi è, per esempio, una notevole differenza tra la legislazione anti-trust degli Stati Uniti, con proibizione (rafforzata da sanzioni penali) della fissazione di prezzi e di ripartizione dei mercati, ed il progetto di legge belga contro l’abuso di potere economico, che da luogo ad un tipo di controllo molto tenue.Per quanto riguarda, in particolare, le norme attinenti alle concentrazioni, l’ltalia è il quindicesimo Paese OCSE ad avere una normativa. Questo significa non soltanto che nove Paesi OCSE devono ancora convincersi dell’utilità del controllo delle concentrazioni, ma che, date le divergenze tra le diverse normative in vigore, sono anche diversi i criteri e le procedure mediante cui possono essere valutate fusioni ed acquisizioni.Si può affermare che l’impostazione della legge italiana, di carattere dichiaratamente proibitivo, quanto ad accordi restrittivi ed abuso di posizione dominante segue l’attuale tendenza dei Paesi OCSE a favore di questo metodo di controllo piuttosto che del metodo del caso per caso, che e ancora vigente nei Paesi nordici, in Irlanda e nel Regno Unito.Per quanto attiene, invece, alle concentrazioni, l’impostazione di carattere proibitivo non si estende normalmente al loro controllo. Molti ordinamenti preferiscono il sistema del «caso per caso» e così fa anche la legge italiana, anche se questa procedura richiede un giusto equilibrio tra l’esigenza di completare in tempi stretti l’indagine, per non danneggiare le imprese interessate, e l’altrettanto legittima esigenza di avere tempo sufficiente per un esame accurato. Su questo ultimo aspetto, i tempi previsti dalla legge italiana sembrano più brevi della media dei Paesi OCSE. In particolare, il periodo di tempo previsto dalla legge italiana perché l’Autorità effettui l’indagine è di quarantacinque giorni, mentre il tempo mediamente previsto nei Paesi OCSE è di tre mesi.Un elemento molto positivo della legge italiana è quello di sottoporre le concentrazioni ad una valutazione di natura strettamente concorrenziale, senza introdurre dementi di natura politica o sociale. Inoltre, in molti Paesi il Governo ha il potere di dire l’ultima parola sull’autorizzazione o meno delle concentrazioni.Bisogna anche notare che, mentre molti Paesi hanno costruito poco per volta la loro legislazione concorrenziale, partendo dagli accordi orizzontali per poi estendere il controllo all’abuso del potere di mercato e giungendo quindi al controllo delle concentrazioni, la legge italiana include tutti e tre questi tipi di restrizioni della concorrenza. Essa riguarda, inoltre, sia il mercato dei beni che quello dei servizi.La legge italiana si applicherà sia alle imprese private che a quelle pubbliche, con l’eccezione dei monopoli pubblici. Per quanto riguarda le banche e le assicurazioni, la legge italiana riserva ad essi un trattamento analogo a quello di altre leggi della concorrenza, anche se adesso sembra emergere la tendenza a restringere le esenzioni dalle leggi sulla concorrenza di cui godono questi settori.L’Autorità italiana per l’applicazione della legislazione concorrenziale ha ampi poteri di investigazione, di decisione e anche di sanzione, attraverso la comminazione di multe, nonche importanti funzioni consultive. In altri ordinamenti vi è una distinzione tra gli organi che nelle diverse fasi applicano la legislazione della concorrenza. La legge italiana, dato che l’Autorità è responsabile delle varie fasi, potrà essere applicata più facilmente, anche se si potrebbe rilevare che la distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisionali dà maggiori garanzie (in ogni caso, le parti hanno comunque diritto di ricorrere contro le decisioni dell’Autorità).L’applicazione di sanzioni, che è un aspetto essenziale del sistema di controllo, è modellata nella legge italiana sulla base della normativa CEE e sembra adeguata.Per quanto riguarda il particolare trattamento riservato alle istituzioni finanziarie, sebbene in diversi Paesi vi siano norme speciali nei riguardi delle concentrazioni bancarie (con approvazione da parte delle autorità bancarie, in sostituzione delle autorità che si occupano della concorrenza o in aggiunta all’approvazione di queste ultime), non si riscontra in altri ordinamenti una norma come quella secondo cui anche l’acquisizione di una quota del cinque per cento del capitale debba essere sottoposta ad autorizzazione. Soltanto l’Olanda, forse, ha una regola analoga, mentre l’Australia ha una regola che stabilisce un limite generale del quindici per cento per un solo investitore.Nel complesso, la legge italiana per la concorrenza sembra fornire una buona base per una efficiente politica della concorrenza. Evidentemente, tutto dipenderà dal modo in cui l’Autorità assicurerà che le norme siano effettivamente applicate, soprattutto per quanto riguarda l’art. 4 (che prevede deroghe per le intese) e l’art. 8, paragrafo 2, sulle deroghe per le imprese che forniscono servizi d’interesse economico generale. Sarebbe molto spiacevole se questa norma fosse utilizzata per non applicare la legge allo stesso modo, sia alle imprese private che a quelle pubbliche.
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Corigliano, Alessandra. "Web scraping e diritti di proprietà intellettuale nell'intermediazione di biglietti aerei low cost." RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO DEL TURISMO, no. 22 (November 2018): 120–64. http://dx.doi.org/10.3280/dt2018-022005.

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Abstract:
Nella sentenza di seguito commentata, la Corte d'Appello di Milano, in merito alla decisione di Ryanair di escludere qualsiasi intermediazione commerciale nella vendita dei propri biglietti aerei, si è pronunciata nella vertenza tra la compagnia aerea irlandese e l'agenzia di viaggi italiana Viaggiare che, in primo grado, ha denunciato il comportamento di Ryanair in quanto avrebbe ostacolato con il proprio comportamento l'agenzia di viaggio nella vendita dei biglietti aerei di Ryanair direttamente ai consumatori, costringendo l'agenzia stessa a riutilizzare i dati forniti dal database di Ryanair al fine di vendere indirettamente i biglietti sul suo sito web. La Corte (in parziale riforma della sentenza del Tribunale di primo grado) ha ritenuto che la decisione della compagnia aerea di riservarsi la vendita di biglietti aerei non costituisse un abuso di posizione dominante come previsto dall'articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, in quanto Ryanair deteneva nel mercato dei voli europei solo il 10%, quota questa molto bassa, che varrebbe a escludere una posizione dominante della compagnia su detto mercato. Nell'ottica della normativa antitrust, è stata accolta la mozione di Ryanair volta ad escludere una posizione dominante sul mercato dei voli europei, mentre nell'ottica dei diritti di proprietà intellettuale la domanda di Ryanair è stata respinta. A questo proposito, la Corte non ha accolto la mozione di Ryanair in base alla quale l'uso dei suoi marchi da parte di Viaggiare violasse i diritti privativi di Ryanair; la Corte ha inoltre stabilito che il database di Ryanair non potesse essere considerato di proprietà di quest'ultima, in quanto lo stesso, essendo del tutto svincolato da specifiche tecniche e funzionali che ne dettano la scelta e l'organizzazione dei dati, non può essere considerato alla stregua di una manifestazione creativa e, quindi, proprietà intellettuale ai sensi dell'art. 2, 64-quinques e 64-sexies della Legge sul Copyright. La Corte ha quindi ritenuto che non vi fosse nemmeno protezione ai sensi della cosiddetta dottrina "sui generis" del database Rynair poiché la protezione di tale database era finalizzata ad escludere la commercializzazione dei biglietti aerei e non a proteggere gli sforzi di investimento di Ryanair. La condotta di Viagiare di "screen scraping" dei dati Ryanair relativi all'offerta di biglietti aerei è stata considerata legittima in quanto Ryanair - nei Termini di Utilizzo del suo sito web - ha fornito l'accesso (concessione di licenza) a terzi dei suoi dati
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Lanfranco, Lorena. "Abusi sessuali su minori istituzionalizzati. Strasburgo condanna la Bulgaria innovando la giurisprudenza sull'art. 3 Conv. eur. dir. Umani." MINORIGIUSTIZIA, no. 2 (January 2022): 232–39. http://dx.doi.org/10.3280/mg2021-002021.

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Abstract:
Con sentenza del 2 febbraio 2021, nel caso X e altri c. Bulgaria, la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato lo Stato convenuto per violazione dell'art. 3 Conv. eur. dir. umani (norma che vieta la tortura e le pene e i trattamenti inumani o degradanti) a fronte delle denunce dei tre ricorrenti che lamentavano di aver subito, durante la loro infanzia in orfanotrofio, abusi sessuali e altri maltrattamenti. Il presente contributo ripercorre l'iter argomentativo seguito dalla Corte di Strasburgo nel sancire il principio per cui, nei casi di violenza perpetrata su minori istituzionalizzati, gli Stati Parti hanno l'onere di svolgere indagini efficaci (qualificabili come tali alla luce della giurisprudenza convenzionale integrata dalle norme della Convenzione di Lanzarote), e le ragioni per cui l'operato delle autorità bulgare non sia stato rispettoso degli obblighi convenzionali. La sentenza in commento è quindi l'occasione per riflettere sui caratteri del sistema di tutela convenzionale dei minori che si trovino in situazioni di vulnerabilità e sulla ratio che muove la Corte nel delineare gli obblighi di tutela, prevenzione e repressione degli stati aderenti al Consiglio d'Europa.
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Passanante, Luca. "Oligarchi e azione revocatoria: profili di diritto processuale inglese (<i>Akhmedova</i> v <i>Akhmedov</i>, 21 aprile 2021)." settembre-ottobre, no. 5 (October 6, 2022): 902–11. http://dx.doi.org/10.35948/1590-5586/2022.190.

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Abstract:
Tesi Talvolta accade che il trust sia utilizzato a fini abusivi. La vicenda decisa dalla sentenza in commento ne è un esempio emblematico. Le intricate vicende processuali fanno nel complesso emergere alcuni dei tratti più tipici della giustizia civile inglese: l’intolleranza all’abuso del diritto e alle manifestazioni di slealtà nei confronti dell’amministrazione della giustizia. Le decisioni interlocutorie e definitive di questa vicenda giudiziaria sanciscono l’inevitabile ripetuta soccombenza di chi si sottrae ad uno dei doveri fondamentali delle parti nel processo: quello di full and frank disclosure. In definitiva, i trust abusivi, avendo irrimediabilmente consonanti implicazioni sul piano processuale, hanno ben poche chance di sopravvivere al controllo del giudice inglese. The author’s view The case decided by the judgment under review shows that it sometimes happens that the trust is used for abusive purposes. The intricate procedural steps of this case bring out some of the most typical features of English civil justice system: intolerance towards abuse of rights and towards unfairness to the administration of justice. The interlocutory and final decisions in this case show how those who fail to comply with one of the fundamental duties of parties in the process - that of full and frank disclosure - are likely to lose. Ultimately, abusive trust, having consistent procedural implications, have little chance of surviving the scrutiny of English courts.
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Osterloh-Konrad, Christine. "Silvia Cipollina: Le „General Anti Avoidance (Abuse) Rules“ in Italia e nel Regno Unito: Un’Analisi Comparatistica — (Rivista di diritto finanzario e scienza delle finanze, Vol. LXXVI/1, 2017, S. 4–50) ." Steuer und Wirtschaft - StuW 95, no. 1 (February 1, 2018): 93–94. http://dx.doi.org/10.9785/stuw-2018-950112.

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Long, Joelle. "A proposito di una recente condanna dell'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Alcune riflessioni sui tempi e i modi dell'intervento civile in situazioni di sospetto abuso sessuale intrafamiliare." MINORIGIUSTIZIA, no. 2 (July 2009): 277–90. http://dx.doi.org/10.3280/mg2009-002030.

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Patrizi, Elena. "La Corte europea dei diritti umani sull'importanza di rafforzare garanzie e tutele nell'ambito dei procedimenti penali aventi a oggetto l'accertamento della condotta di abuso sessuale a danno di minore: il caso N.Ç. c. Turchia." MINORIGIUSTIZIA, no. 1 (January 2023): 83–90. http://dx.doi.org/10.3280/mg2022-001008.

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Furiosi, M. Loredana. "Etica della pace e bioetica." Medicina e Morale 51, no. 4 (August 31, 2002): 667–709. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2002.689.

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Abstract:
Esiste una connessione tra l’etica della pace e la bioetica? Lo scritto, muovendo da questo interrogativo, analizza dapprima le problematiche che coinvolgono strettamente tanto l’etica della pace quanto la bioetica. Lungo tre direttrici fondamentali che contemplano il rispetto dei diritti umani fondamentali, la giustizia sociale globale e lo sfruttamento della natura, si sono voluti evidenziare non soltanto le grandi sfide e i pericoli per l’attuazione della pace nel nostro tempo, ma anche la sfida e l’impegno concreto per la bioetica. Bioetica che, dal canto suo, come etica della vita e per la vita e come disciplina in dialogo con diversi saperi interessati al problema della vita umana e della biosfera, può dare un oggettivo contributo nel delineare delle coordinate etiche che possano permettere o quanto meno coadiuvare e corroborare il recupero di valori fondamentali per garantire la pace, il ripristino delle condizioni di dialogo per la pace, laddove siano state smarrite, la prevenzione della guerra, la efficace attività di educazione degli animi alla solidarietà, che porta a riconoscere l’altro come un altro me stesso pur nelle fenomeniche diversità. In tale direzione si è inteso analizzare come in particolare la bioetica personalista, basata su una fondata ontologia e specifica antropologia, possa, lontano da gratuite ingenuità e paralizzanti scetticismi, aiutare a costruire una “cultura di pace”, ponendo proprio alla sua base la centralità del valore della vita ed il bene integrale della persona. Nell’ultima sezione del lavoro si è volta poi l’attenzione a delineare quali possano essere i punti di contatto e di confronto tra l’etica della pace e l’etica medica, essendo il confine tra le due aree non invalicabile, anzi quanto mai, almeno per certi aspetti, sovrapponibile ed intersecabile. Si è posto l’accento su come l’etica medica in particolare e la bioetica possano essere strumenti di promozione alla pace, ovvero come il medico, il bioingegnere siano per loro intrinseca natura per la pace, proprio in virtù del fatto che sono anzitutto uomini di scienza a servizio dell’uomo stesso. Infine si è evidenziato come la medicina possa contribuire non soltanto alla costruzione della pace, soprattutto sul piano della prevenzione, ad esempio riguardo alle situazioni di guerra e di soccorso in caso di catastrofe e nel negare l’uso della stessa scienza medica per scopi sbagliati e abusi delle conoscenze, ma anche nell’ottica di un nuovo “giuramento” che vada oltre quello ippocratico, che tuteli tanto l’uomo sano quanto quello malato, nella più ampia prospettiva non soltanto di riumanizzare tutto il sistema sanitario, ma di garantire una reale giustizia sanitaria: entrambi punti nodali per la costruzione di una trama sociale egalitaria e pacifica.
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Mello, Celso Antônio Bandeira de. "Responsabilidade do funcionário por ação direta do lesado." Revista de Direito Administrativo e Infraestrutura - RDAI 4, no. 13 (May 30, 2020): 415–24. http://dx.doi.org/10.48143/rdai.13.cab.mello.

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Abstract:
Todo sujeito de direito capaz é responsável pelos próprios atos. Assim, aquele que desatende as obrigações que contraiu ou os deveres a que estava legalmente adstrito sofrerá a consequente responsabilização. O Código Civil (LGL\2002\400) brasileiro, em seu ·art. 159, substancia este preceito, que não é apenas uma regra de direito Civil, mas de teoria geral do Direito, inobstante encartado em diploma normativo concernente, mais que tudo, às relações privadas. Reza o preceptivo em causa: “Aquele que por ação ou omissão voluntária, negligência ou imprudência, violar direito ou causar prejuízo a outrem, fica brigado a reparar o dano”. Outrossim, o art. 1.518 do mesmo Código estatui: “Os bens do responsável pela ofensa ou violação do direito de outrem ficam sujeitos à reparação do dano causado; e se tiver mais de um autor a ofensa, todos responderão solidariamente pela reparação”. Tal regramento exprime, do mesmo modo, um cânone genérico no que atina à responsabilidade patrimonial, comumente chamada de responsabilidade civil. 2. Nada há de estranhável em que estes ditames normativos, embora topograficamente alojados no Código Civil (LGL\2002\400), sejam havidos como princípios ou como regras que transcendem a restrita esfera desta província jurídica, para se qualificarem como disposições aplicáveis integralmente em distintos ramos do Direito. Com efeito, de um lado, inúmeras disposições residentes naquele diploma concernem ao vestíbulo dos vários segmentos do Direito, isto é, assistem no patamar comum aos diferentes ramos em que ele se espraia; de outro lado, no Código Civil (LGL\2002\400) há múltiplos artigos explícita e especificamente voltados para a regência de questões de direito público, notadamente de direito administrativo. Estas são observações · cediças e que já foram expendidas e profundadas por autores da máxima suposição. Sobre isto, o eminente Seabra Fagundes, em clássico sobre o tema, averbou: “Os princípios gerais expressos no Código Civil (LGL\2002\400) são também valiosos para o Direito Administrativo. O ordenamento sistemático e completo de preceitos gerais, traduzidos em linguagem sempre escorreita e as mais das vezes precisa, fazem tais preceitos de grande préstimo para a urdidura e o desate das relações entre Administração e administrado. Aliás, somente por circunstâncias de fundo histórico os princípios genéricos do direito escrito se situam nos textos do Direito Civil, pois como diz Ernesto Forsthoff, são eles, em essência, pertinentes. também, às relações disciplinadas Direito Administrativo”. De seguida, reportando-se às normas dispostas na Lei de Introdução e na Parte Geral, aduziu: “Tais normas, pelo cunho de generalidade, que as faz de e comum a vários setores do direito escrito, e não apenas ao direito civil, antes deveriam constituir a lei dos princípios gerais, abrangedora das relações jurídicas disciplinados por quaisquer dos ramos da legislação” (''Da Contribuição do Código Civil (LGL\2002\400) para o Direito Administrativo”, in RDA 68/6). Assim, o preceito segundo o qual fica obrigado a indenizar o agravado quem lhe ferir direito, causando dano deliberadamente, ou por negligência, imprudência ou imperícia, não é regra apenas de direito civil. É cânone da geral do Direito e por isso também se aplica no âmbito do direito administrativo. 3. Para que tão basilar princípio estivesse eludido na seara do direito administrativo seria necessário regra que explícita e incontrovertivelmente o negasse ou lhe modificasse a compostura. Donde, tirante a hipótese de disposição cujo teor seja inequívoco em afastar a responsabilidade do agente do dano ou que, de modo incontendível, interdite ao lesado proceder diretamente contra o indivíduo responsável pelo comportamento danoso, haver-se-á de concluir que os funcionários públicos respondem com o próprio patrimônio, perante o agravado, se lhe houverem causado prejuízo mediante conduta contrária ao Direito. Estas assertivas, por límpidas e confortadas em bases tão relevantes, hão de se reputar pacíficas, livres de questionamento. Aliás, na tradição do Direito, antes de se pôr princípio geral da responsabilidade do Estado, já era assente a responsabilidade do funcionário que houvesse agido mal, lesando o administrado. Ou seja: a pessoa estatal poderia escapar à responsabilização; não, porém, o agente direto do dano, aquela pessoa cuja conduta injurídica agravasse terceiro ao desempenhar funções públicas. Veja-se, a respeito, exemplificativamente, para .a Inglaterra, Maria Graeiriz (Responsabilidad del Estado, Eudeba, 1969, p. 123) e H. R. Wade (Diritto Amministrativo Inglese, Giuffre, 1969, p. 371); para os Estados Unidos da América do Norte, Frank Goodnow (Les Príncipes du Droit Administratif aux États-Unis, Giard et E. Breire, 1907, p. 454) e John Clarke Adams (El Derecho Administrativo Norteamericano, Eudeba, 1964, p. 84); para a Alemanha, Fritz Fleiner (lnstituciones de Derecho Administrativo, Ed. Labor, p. 222) e Ernst Forsthoff (Traité de Droit Administratif Allemand, Établissements E. Bruylant, 1969, pp. 463 e ss.); para a França, Francis Paul (Le Droit Administratif Français, Dalloz, 1968, pp. 178 e ss.) e Jean Rivero (Droit Administratif, Dalloz, 2.ª ed., 1962, pp. 236-237). 4. Por certo, a garantia de reparação do lesado através do patrimônio do funcionário causador do dano não dá ao administrado toda a proteção necessária acobertá-lo contra agravos que possam resultar da ação do Poder. Isto por uma tripla razão a seguir esclarecida. Em primeiro lugar, porque, assaz de vezes, o agente público não disporá de patrimônio suficiente para responder pelo montante do dano. O vulto dos prejuízos que a atuação estatal pode causar. em vários casos. excederá as possibilidades de suprimento comportadas pelo patrimônio do funcionário. Em segundo lugar, a responsabilidade do funcionário cifra-se às hipóteses em que este haja atuado com dolo ou culpa, seja esta por negligência, imprudência ou imperícia, implicando violação do Direito. Ora, nem sempre o gravame econômico lesivo aos direitos do administrado resultará de conduta estatal (comissiva ou omissiva) na qual se possa reconhecer, individualmente, um específico ou alguns específicos agentes, como causadores do evento lesivo. Com frequência estar-se-á perante situação em que mais não se poderá dizer senão que o serviço estatal, em si mesmo, falhou por haver procedido abaixo dos padrões que seria lícito dele esperar, disto resultando o dano sofrido. Vale dizer, o próprio serviço como um todo é que haverá tido, por negligência, imprudência ou imperícia, um desempenho insatisfatório, causador da lesão ao bem juridicamente protegido do sujeito agravado. Em casos que tais - e serão legião - o administrado ficaria a descoberto por não ser, obviamente, engajável a responsabilidade de algum ou alguns específicos funcionários. Demais disso, em uma terceira hipótese reproduzir-se-ia situação em que o administrado ficaria desvalido. É o caso de danos nos quais um bem juridicamente protegido é lesado pelo Estado, ainda que sem o intuito de fazê-lo, mediante comportamento lícito, cauto, diligente, irrepreensível. Pense-se em atos jurídicos ou em atos materiais da seguinte compostura: Fechamento do perímetro central da cidade a veículos automotores, determinado com base em lei e por razões de interesse público incontendível (salubridade pública, tranquilidade pública, ordem pública), e que acarreta, inevitavelmente, seríssimo gravame patrimonial aos proprietários de edifícios-garagem, edificados e licenciados, inclusive para a correspondente exploração econômica na área interditada à circulação dos citados veículos; nivelamento de rua que, pelas características físicas do local, resulta, de modo inexorável, em ficarem edificações marginais ao seu leito em nível mais elevado ou em nível inferior a ela, inobstante realizada a obra com todos os recursos e cautelas técnicas, causando, destarte, depreciação significativa aos prédios lindeiros afetados, além de acarretar insuperáveis incômodos a sua utilização. Situações deste jaez, como é claro a todas as luzes, demandam recomposição patrimonial do lesado, para que não seja ferido o preceito isonômico, exigente de igualitária repartição dos encargos públicos. B bem de ver que a simples responsabilidade do funcionário, cabível tão-só quando identificável conduta sua contrária ao Direito, por comportamento deliberado ou por negligência, imprudência ou imperícia, de nada serviria para enfrentar estas hipóteses, posto que não estariam em pauta as condições suscitadoras de seu engajamento. 5. A fim de que os administrados desfrutassem de proteção mais completa ante comportamentos danosos ocorridos no transcurso de atividade pública — e não a fim de proteger os funcionários contra demandas promovidos pelos lesados — é que se instaurou o princípio geral da responsabilidade do Estado. Ou seja: a difusão e acatamento, nos vários países, da tese da responsabilidade estatal objetivou e significa tão-só a ampliação das garantias de indenização em favor dos lesados. Nada traz consigo em favor do funcionário e muito menos em restrição ao administrado em seu direito de demandar contra quem lhe tenha causado dano. Em suma: a exposição de um patrimônio sempre solvente, como o é o do Estado, e bem assim a abertura do campo mais largo à responsabilização, nada tem a ver com qualquer propósito de colocar os funcionários públicos à salvo de ações contra eles intentáveis pelos agravados patrimonialmente em decorrência de atos contrários ao direito. Tanto isso é exato, tanto são estranhas as duas questões – responsabilidade do Estado e proteção ao funcionário contra ações intentáveis por terceiros – que os vários sistemas jurídicos, quando desejaram beneficiar os agentes públicos com este resguardo, fizeram-no explicitamente e de· maneira bem conhecida, antes mesmo de ser acolhida a tese da responsabilidade do Estado, o que demonstra a independência entre os dois tópicos. É notório que no passado existiu, em distintos países, uma chamada “garantia administrativa dos funcionários”. Por força dela, estes só poderiam ser acionados em decorrência de comportamentos vinculados a suas funções, se houvesse prévia concordância do Estado. Disposição deste teor, como é notório, existia na Constituição Francesa do ano VIII (art. 75) e prevaleceu até 1870, quando foi derrubada por um decreto-lei de 18 de setembro, época em que a ida Constituição não mais estava em vigor, mas o dispositivo sobrevivia com força de lei, nos termos da concepção francesa, segundo a qual normas Constitucionais compatíveis com a superveniente Constituição persistiam com vigor de lei ordinária (cf. ao respeito Francis Paul Benoit, Droit Administratif, Dalloz, 1968, pp. 718-719). Houve, igualmente, preceitos análogos na Alemanha, nas legislações da Prússia, da Baviera e de Baden e Hesse, como noticia Forsthoff. Tambéma Espanha conheceu regramento análogo e que haveria de perdurar até 1879 (cf. Eduardo Garcia de Enterría - Curso de Derecho Administrativo, Civitas, 2.ª ed., 1981, vol. II, p. 327). Não é difícil concluir que se a responsabilidade do Estado não veio para escudar o funcionário em face de demandas que os lesados almejassem propor contra eles mas, como é de todos sabido, para ampliar a proteção aos administrados, não faz qualquer sentido extrair de regra defensora dos direitos dos agravados a conclusão de que lhes é interdito proceder contra quem, violando o direito, foi o próprio agente do dano. 6. Isto posto, vejamos se ao lume do nosso Direito devem-se reputar absolvidas as regras dos arts. 159 e 1.518 do CC (LGL\2002\400), no que tange à relação entre o funcionário público e o administrado por ele lesado, em face das disposições sobre a responsabilidade estatal. Reafirma-se, neste passo, que as aludidas disposições do Código Civil (LGL\2002\400) são, em rigor de verdade, autênticas normas sagradoras de princípios da teoria geral do Direito. Antes do advento do Código Civil (LGL\2002\400) inexistia regra estabelecendo responsabilidade do Estado. Havia tão-só preceptivos estatuindo responsabilidade dos servidores do Estado por atos lesivos a terceiros. A Constituição de 1824, em seu art. 178, 29 e a Constituição de 1891, no art. 82, estabeleciam apenas a responsabilidade dos “empregados públicos” (na expressão da primeira delas) e dos funcionários públicos (na linguagem da segunda), “por abusos e omissões”, bem como os dos superiores que, por indulgência, não responsabilizassem os subalternos. É bem verdade que, nada obstante, entendia-se haver responsabilidade solidária do Estado, como anota Pimenta Bueno (Direito Público Brasileiro, Rio, 1850, §§ 602 e 603). 7. Foi o Código Civil (LGL\2002\400), em seu art. 15, que consagrou normativamente a responsabilidade do Estado, dispondo: “As pessoas jurídicas de direito público são civilmente responsáveis por atos dos seus representantes que nessa qualidade causem danos a terceiros, procedendo de modo contrário ao direito o faltando a dever prescrito por lei, salvo o direito regressivo contra os causadores do dano”. Posteriormente, a Constituição de 1934, no art. 171 e ade1937, no art. 158, em dispositivos idênticos, estatuíram: “Os funcionários públicos são responsáveis solidariamente com a Fazenda nacional, Estadual ou Municipal, por quaisquer prejuízos decorrentes de negligência, omissão ou abuso no exercício de seus cargos”. Note-se que vigorou, até então, a tese da responsabilidade subjetiva do Estado, ou seja, vinculada à ideia do dolo ou culpa. A partir da Constituição de 1946, por força de seu art. 194, ingressa em nosso sistema normativo a responsabilidade objetiva, pois, tal como ocorreria com os textos constitucionais ulteriores - de 1967 e de 1969, respectivamente em seus arts. 105 e 107 - deixou-se de fazer qualquer menção a “procedimento contrário ao direito” ou a “negligência”, “abuso”, etc. Contentaram-se os novos dispositivos em se referir a “danos que os seus funcionários nessa qualidade causem a terceiros” ou “causarem”, como consta da Carta de 1969 (dita Emenda 1 à “Constituição de 1967”). Em suma: ocorreu uma claríssima evolução. De início, só estava prevista a responsabilidade dos funcionários, tal como ocorria nos direitos alienígenas. Ao depois, aceitou-se a responsabilidade do Poder Público, em sua modalidade subjetiva. Finalmente, desde 1946, consagra-se — e no próprio texto Constitucional — a admissibilidade da responsabilidade objetiva. É evidente que o ciclo evolutivo teve em mira a ampliação do resguardo do administrado pois lhe veio proporcionar a busca de reparação econômica em casos que não seriam acobertáveis pela simples responsabilidade dos funcionários. Além disso, trouxe-lhe a garantia de um patrimônio sempre solvente. Esta evolução, insista-se, nunca almejou senão estes resultados. Não há, pois, como pretender atrelar a ela uma presumida intenção de colocar os funcionários numa redoma, tornando-os intangíveis pelos particulares lesados. 8. O atual texto impositivo do princípio geral da responsabilidade do Estado substancia-se no art. 107 da Carta do País. Estes são seus dizeres: “As pessoas jurídicas de direito público responderão pelos danos que seus funcionários, nessa qualidade, causarem a terceiros. Parágrafo único. Caberá ação regressiva contra o funcionário responsável, nos casos de culpa ou dolo”. Que se lê no sobredito regramento? Que estatui ele? Tão-só e unicamente que o Poder Público responderá pelos danos causados pelos funcionários, enquanto tais, e que ficam sujeitos à ação de regresso promovida pelo Estado, se agiram com dolo ou culpa. Outorga-se aí, ao particular lesado, um direito contra o Estado, o que evidentemente não significa que, por tal razão, se lhe esteja retirando o de acionar o funcionário. A atribuição de um benefício jurídico não significa subtração de outro direito, salvo quando com ele incompatível. Por isso, como bem observou o Prof. Oswaldo Aranha Bandeira de Mello, a vítima pode propor ação contra o Estado, contra o funcionário, à sua escolha, ou contra ambos solidariamente, sendo certo que se agir contra o funcionário deverá provar culpa ou dolo, para que prospere a demanda (Princípios Gerais de Direito Administrativo, Forense, vol. II, 1974, pp. 481 e 482). De outra parte, o parágrafo único do art. 107 outorga, ao Estado, direito de regresso contra o funcionário que agiu dolosa ou culposamente. Este preceito é protetor do interesse do Estado. Prevê forma de seu ressarcimento pela despesa que lhe haja resultado da condenação. Também nele nada há de proteção ao funcionário. A indicação da via pela qual o Poder Público vai se recompor não é indicação, nem mesmo implícita, de que a vítima não pode acionar o funcionário. 9. Por isso discordamos do entendimento de Hely Lopes Meirelles que extrai dos preceitos em causa vedação a que o lesado acione o agente público (Administrativo Brasileiro, Ed. RT, 10.ª ed. atualizada, 1984, p. 538). Não nos parece de boa técnica interpretativa atribuir a uma norma dicções que nela não se contêm ou ler nela o que ali não está escrito. Tal procedimento é sobremodo vitando quando implica erigir sobre dada regra uma regra de conteúdo diverso e estranho aos propósitos que engendraram a norma da qual se quer sacar outras consequências além das estatuídas. Daí havermos, de outra feita, averbado: “Entendemos que o art. 107 e seu parágrafo único não tem caráter defensivo do funcionário. A cabeça do artigo visa proteger o administrado, oferecendo-lhe um patrimônio sempre solvente e a possibilidade da responsabilidade objetiva em muitos casos. Daí não se segue que haja restringido sua possibilidade de proceder quem lhe causou dano. Sendo um dispositivo protetor do administrado dele extrair restrições ao lesado. A interpretação deve coincidir com o sentido para o qual caminha a norma, ao invés de sacar dela conclusões que caminham na direção inversa, benéfica apenas ao presumido autor do dano. A seu turno, o parágrafo único, que prevê o regresso do Estado contra o funcionário responsável, volta-se à proteção do patrimônio público. Daí, na cabeça do artigo e em seu parágrafo só há preceptivos volvidos à defesa do administrado e do Estado, não se podendo vislumbrar intenções salvaguardadoras do funcionário. A circunstância de haverem acautelado os interesses do primeiro e do segundo não autoriza concluir que acobertaram o agente público, limitando sua responsabilização ao caso de ação regressiva movida pelo Poder Público judicialmente condenado” (Ato administrativo e Direitos dos Administrados, Ed. RT, 1981, pp. 168-169). De resto, entendimento contrário ao que esposamos, sobre não trazer em seu abono qualquer interesse público que o justifique, acarreta, pelo contrário, consequência antinômica a ele. É que o Poder Público dificilmente moverá a ação regressiva, como, aliás, os fatos o comprovam de sobejo. Tirante casos de regresso contra motoristas de veículos oficiais — praticamente os únicos fustigados por esta via de retorno — não se vê o Estado regredir contra seus funcionários. Diversas razões concorrem para isto. De fora parte o sentimento de classe ou de solidariedade com o subalterno (já de si conducente a uma contenção estatal na matéria), assaz de vezes o funcionário causador do dano age incorretamente com respaldo do superior, quando não em conluio com ele ou, pelo menos, sob sua complacência. É lógico que este não tem interesse em estimular a ação regressiva que poria a nu sua responsabilidade conjunta. Demais disso, ao ser acionado, o Estado sistematicamente se defende — e é esta mesma sua natural defesa — alegando não ter existido a causalidade invocada e haver sido absolutamente regular a conduta increpada, por isenta de qualquer falha, imperfeição ou culpa. Diante disto, é evidente que, ao depois, em eventual ação de regresso, enfrentará situação profundamente constrangedora e carente de qualquer credibilidade, pois terá de desdizer-se às completas, de renegar tudo o que dantes disse e proclamar exatamente o oposto do que afincadamente alegara. A consequência é a impunidade do funcionário, seja porque depois de o Estado haver assentado uma dada posição na ação de responsabilidade fica impedido de mover a ação de regresso, seja porque, se o fizer, topará com o que havia previamente estabelecido e que agora milita contra si próprio e em prol do funcionário, convertendo-se em robusta defesa deste último, de tal sorte que Poder Público no pleito anterior prepara de antemão sua derrota na lide sucessiva. Estas são as razões pelas quais, tirante o caso dos humildes motoristas de veículos oficiais, praticamente funcionário algum é molestado com ação regressiva. Pode confiar que ficará impune, mesmo quando negligente. Não precisa coibir-se de abusos e até de atos dolosos lesivos aos administrados. O Estado pagará por ele. A solidariedade de classe ou o comprometimento dos superiores com os superiores inquinados de viciosos (quando menos por complacência), a ingratidão da posição do Estado na duplicidade de ações, pois nelas terá de adotar posturas antagônicas, garantem ao funcionário a não desmentida expectativa de escapar a ações regressivas. 10. Assim, sobre nada existir que justifique juridicamente a imunização do funcionário contra pleitos intentados pelos lesados, tudo concorre para admitir o cabimento de tais ações. Tanto razões de interesse público como razões de direito estrito falam em favor delas. Consoante inicialmente se disse, para que houvesse elusão da regra geral de direito que impõe a responsabilidade direta daquele que, violando a ordem jurídica, causou dano a outrem, seria preciso que existisse norma absolutória suprimindo sua positividade de modo claro e inequívoco. Conforme visto, nada há neste sentido. Daí que o Supremo Tribunal Federal, no RE 90.071, publicado na RDA 142/93, de out.-nov./1980, frisou com hialina clareza esta conclusão, assim sintetizada na ementa do Acórdão: “O fato da Constituição prever direito regressivo contra o funcionário responsável pelo dano não impede que este último seja acionado conjuntamente com a pessoa jurídica de direito público, configurando-se típico litisconsórcio facultativo”. O Relator, Min. Cunha Peixoto, averbou com absoluta precisão: “E a interpretação do dispositivo constitucional, no sentido de permitir, facultativamente, admissibilidade da ação também contra o funcionário, autor do dano, sobre não acarretar nenhum prejuízo, quer à administração, seja ao funcionário, mais se coaduna com os princípios que disciplinam a matéria. Isto porque a administração, sobre não poder nunca isentar de responsabilidade a seus servidores, vez que não possui disponibilidade sobre o patrimônio público, não se prejudica com a integração do funcionário na lide, já que a confissão dos fatos alegados pelo autor, por parte do funcionário, afetaria sua defesa, e não da administração, cuja responsabilidade se baseia na teoria do risco administrativo. Ao funcionário interessa intervir na ação, não só para assegurar o justo valor da indenização, como também para evitar as despesas de dois processos: o mviido contra a administração e a defesa contra ele. A letra e o espírito do art. 107, que reproduz o art. 194 da Constituição de 1946 e art. 105 de 1967, permitem a participação no processo, do funcionário que o Poder Público, executado por ato de seu representante, lesivo a terceiro, tem direito de exigir, diante do princípio de regressividade, do autor do dano, aquilo que pagou ao prejudicado”. É de ressaltar igualmente a concisa e exata fundamentação do voto do Min. Décio Miranda: “Sr. Presidente, o art. 107, e respectivo parágrafo único, da Constituição atual não revogaram o art. 159 do Código Civil (LGL\2002\400). Estes dispositivos, aliás, já vêm das Constituições anteriores, afirmam a responsabilidade objetiva do Estado, mas sem modificar em nada a responsabilidade em razão da culpa, que se possa increpar ao agente do Estado. Estou de acordo com o Relator, conhecendo o recurso e lhe dando provimento”. Isto posto, procede concluir que o sujeito lesado por conduta de funcionário público negligente, imprudente, imperito ou doloso em sua atuação, pode ser acionado pela vítima, que agirá apenas contra ele ou contra ele e o Estado, solidariamente, em litisconsórcio, a menos que deseje acionar tão-só o Estado.
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"Diritto italiano. Penale." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 4 (February 2011): 211–25. http://dx.doi.org/10.3280/diri2010-004016.

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Abstract:
1. Corte di cassazione 3.2/17.5.2010 n. 18527 - espulsione a titolo di misura di sicurezza per violazione legge stupefacenti - imputato coniuge e parente di cittadini italiani - divieto di espulsione applicabile a tutte le espulsioni giudiziali - rispetto della vita privata e familiare - preminenza dell'interesse del minore alla permanenza del genitore sul territorio - in difetto del divieto di espulsione obbligo di accertamento in concreto della pericolositŕ sociale e di adeguata motivazione.2. Corte di cassazione 19.4/26.7.2010 n. 29338 - epiteto "razzista" rivolto a poliziotto - supposto abuso o vessazione nei confronti di straniero - adeguatezza del termine rispetto al contenuto della critica - insussistenza dell'ingiuria perché il fatto non costituisce reato.3. Tribunale di Torino 23.4.2010 - reato di permanenza illegale nel territorio dello Stato di destinatario di nuova espulsione e nuovo ordine questorile - presupposto: necessitŕ di accertamento giudiziale definitivo della violazione del preesistente ordine del questore.
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"Recensione a Ciro Santoriello, Abuso del diritto e conseguenze penali." Archivio penale, no. 3 (2018). http://dx.doi.org/10.12871/978883318013724.

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Mazzariol, Riccardo. "Riflessioni in tema di abuso del diritto: aspetti sostanziali e processuali." Cultura e diritti, no. 4 (2015). http://dx.doi.org/10.12871/978886741516812.

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Milani, Daniela. "Chiesa cattolica e abusi nella riforma del diritto penale canonico: il fascino ancora incerto del diritto secolare." Stato, Chiese e pluralismo confessionale, January 3, 2023. http://dx.doi.org/10.54103/1971-8543/19582.

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Abstract:
The Catholic Church and abuses in the reform of canonical criminal law: the still uncertain appeal of secular law ABSTRACT: Sanctioning clergy abuse without denying the soul of canonical criminal law is a challenge that the Catholic Church has been confronted with for two decades now, ever since John Paul II promulgated the Apostolic Letter Sacramentorum Sanctitatis Tutela in 2001 intending to combat this scourge. This process has recently resulted in the reform of Book VI of the Code of Canon Law. In investigating the new elements introduced by this reform, this contribution questions the relationship between canon law and secular criminal law. SOMMARIO: 1. Sanzionare gli abusi senza rinnegare l’anima del diritto penale canonico - 2. Dagli scandali alla certezza della pena: nuovi principi a garanzia dell’effettività del diritto penale della Chiesa - 3. Le fattispecie: un’attenzione crescente per i diritti inviolabili della persona - 4. Sulla natura e la funzione dello ius Ecclesiae in dialogo con lo “ius civile”.
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Nardi, Guest Editors: R., P. Gnerre, A. Salsi, A. Fontanella, and D. Manfellotto. "I diritti negati agli anziani: quali implicazioni per la salute?" Italian Journal of Medicine, May 10, 2019, 1–78. http://dx.doi.org/10.4081/itjm.q.2019.4.

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Abstract:
Perchè gli internisti devono occuparsi dei diritti negati agli anziani?M. Campanini, P. Gnerre, A. Fontanella Diritti negati, abusi, maltrattamenti e neglect nell’anziano: macrofenomeno mondiale sommerso, sostanzialmente misconosciuto o trascuratoP. Calogero, A. Salsi Il diritto al coordinamento delle cure e alla continuità assistenziale nella gestione delle malattie croniche: strumenti disponibili oggi e quali potenzialmente fruibili in futuro?F. Orlandini La mancata pianificazione dei fabbisogni di medici e di specialisti in Italia nel Servizio Sanitario pubblico. Quali conseguenze in rapporto all’invecchiamento della popolazione?D. Montemurro, M. D’Arienzo, C. Rivetti, E. Marcante, F. Ragazzo, P. Di Silverio, A. Rossi, C. Palermo I rischi di un eccesso di cure negli anziani: fare di più non significa fare meglio anche nell’anzianoM. Bobbio Pensionamento: ritirarsi dal lavoro, non dalla vita né da un futuro di buona saluteR. Nardi, D. Borioni, D. Tirotta, F. Berti, G. Pinna¸ S. Ehrlich, G. Pentella, P. Cosma, R. Rapetti, A. Fontanella Gestione della depressione, inevitabile compagna del paziente anzianoE. Pecoraro, S. La Carrubba La sessualità nell’anzianoV. Duretto, G. Pinna Gli ostacoli metodologici nella comunicazione con il paziente anzianoM. Felici, A. Tufi, A. Pulerà, S. Lenti L’importanza della capacità di educare all’autogestione delle malattie croniche (self-management) per prevenire l’aggravamento e i ricoveri ripetuti non programmatiM. La Regina, A. Greco Le cure di fine vita negli anziani: il diritto di morire beneL. Lusiani, C. Santini Il programma delle otto R: utopia o possibile realtà per migliorare l’assistenza agli anziani?F. D’Amore
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Boni, Geraldina. "Il Libro VI De sanctionibus poenalibus in Ecclesia: novità e qualche spigolatura critica." Stato, Chiese e pluralismo confessionale, June 14, 2022. http://dx.doi.org/10.54103/1971-8543/18051.

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Abstract:
SOMMARIO: Sezione I - Dalla fine del Concilio Vaticano II alla codificazione giovanneo-paolina: premesse alla Costituzione Apostolica Pascite gregem Dei del 2021 - 1. Il diffuso antigiuridismo postconciliare e i caratteri del Libro VI del Codex Iuris Canonici promulgato nel 1983 - 2. Lo scarso ‘riscontro sperimentale’ e gli ostacoli attuativi incontrati. Il trauma della cosiddetta ‘pedofilia’, l’impulso di Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, in particolare nella repressione dei delicta graviora, e il progressivo smantellamento delle garanzie codiciali - 3. I protratti lavori preparatori in una stagione di concitate riforme legislative: gli ultimi provvedimenti normativi di papa Francesco prima della promulgazione del Libro VI De sanctionibus poenalibus in Ecclesia - Sezione II - La Pars I, De delictis et poenis in genere. 1. ‘Munus pastorale’ e pena nel prisma di una triplice ma unitaria finalità - 2. Un indiscusso passo avanti nella definizione delle pene, con alcune criticità da dipanare nel tragitto verso il maggior rigore - 3. Titulus IV, De poenis aliisque punitionibus: le novità - 4. A cavallo tra diritto penale sostanziale e processuale. Annotazioni sparse: dal risarcimento del danno alla procedura giudiziale versus quella amministrativa, dalla presunzione di innocenza alla prescrizione - Sezione III - La Pars II, De singulis delictis deque poenis in eadem constitutis - 1. Pregi sistematici, new entries e alcune ombre residue cagionate da una tecnica redazionale talora claudicante - 2. Problematicità di alcune fattispecie - 3. Il clou della riforma: i delitti di abuso, volano della riforma del diritto penale della Chiesa. Le fattispecie previste nel Codex Iuris Canonici - 4. Una non semplice sovrapposizione normativa - Sezione IV - Pronostici e auspici, ancora, de iure condendo - 1. Riprendere in mano il Libro VII De processibus - 2. Adeguare il Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium - 3. Ripensare competenza e organizzazione giudiziaria. The Book VI De sanctionibus poenalibus in Ecclesia: innovations and some critical gleanings ABSTRACT: Following a description of the development of Penal Canon Law after the Second Vatican Council and the 1983 codification, the essay dwells on an analysis of the most relevant innovations that were introduced in the new Book VI of the Code of Canon Law, which entered into forces as of December 8, 2021. It consists in a depiction that underlines the qualities and the improvements that were produced by the amendment promulgated by Pope Francis: but it also highlights some flaws regarding the drafting and the overall coordination of the Penal Canon legislation, both within and outside the Code. The most problematic profile among those that are examined is the one concerning the prevention and the repression of sexual abuses, of conscience and of authority: which is the dramatic challenge that the ecclesial community has had to face in the last thirty years. Lastly, in a de iure condendo perspective, we present some other interventions that the supreme legislator should promptly adopt in order to finally provide the Church with a Penal system that - both on the substantial and on the procedural side - is balanced, efficient and, above all, responding to justice.
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"Diritto italiano. Famiglia." DIRITTO, IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA, no. 2 (September 2011): 176–94. http://dx.doi.org/10.3280/diri2011-002013.

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Abstract:
1. Corte di cassazione 15.4.2011 n. 8795 - permesso di soggiorno per motivi familiari - condizioni per il rinnovo in relazione a pregresse condanne penali - automatismo ostativo - esclusione - necessitŕ di formulare un giudizio di pericolositŕ sociale concreta ed attuale e di esporne le ragioni, tenendo conto anche dei legami familiari e della durata della permanenza in Italia 2. Corte appello di Venezia 9.2.2011 - minore affidata con atto di kafala giudiziale a cittadino italiano di origine marocchina - applicazione della disciplina di cui all'art. 3 co. 2 d.lgs. 30/07 - ordine di rilascio del visto 3. Corte appello di Roma 31.1.2011 - minore affidata con atto di kafala giudiziale a cittadino italiano - applicazione della disciplina di cui al d.lgs. 30/07 - diniego del visto 4. Tribunale di Tivoli 18.6.2010 - minore affidata con atto di kafala giudiziale a cittadino italiano - applicazione della disciplina di cui al d.lgs. 30/07 - rilascio del vistoRASSEGNA DI GIURISPRUDENZA5. Corte appello di Venezia 3.2.2009 - sorella straniera di cittadina italiana - richiesta di visto per motivi familiari - sussistenza di gravi motivi di salute e del carico familiare - diritto al rilascio del visto 6. Tribunale di Torino 26.11.2010 - coniuge di cittadino italiano - disciplina applicabile - necessitŕ di evitare abusi o frodi - effettivitŕ del legame coniugale - prova documentale e testimoniale della convivenza tra i coniugi
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Gianfreda, Anna. "La salvaguardia dei minori e vulnerabili nella Chiesa: un approccio sistemico “in ascolto della realtà”." Stato, Chiese e pluralismo confessionale, January 3, 2023. http://dx.doi.org/10.54103/1971-8543/19580.

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Abstract:
Safeguarding minors and the vulnerable in the Church: a systemic approach "listening to reality" ABSTRACT: The dialogue and the "virtuous contamination" between canon law and extra-juridical disciplines, mainly of a socio-humanistic nature, are the main novelty in the management of the phenomenon of sexual abuse by the clergy against minors and vulnerable people, both from a practical point of view as well as from a juridical-normative one. With this aim, the paper deals with some "lessons" drawn from the experience gained in the painful circumstances of the abuses of the clergy, analyzing the contribution and the impact of some extra- juridical disciplines on a model of canon law that is not self-referential but open and transdisciplinary. SOMMARIO: 1. - La Chiesa “oltre” il diritto canonico: dialogo transdisciplinare e specificità ecclesiali - 2. Protezione vs salvaguardia: Child protection vs safeguarding - 3. Le lezioni dalla realtà e la loro “integrazione” nel diritto canonico - 3.1. L’ascolto delle vittime - 3.2. Non c’è prevenzione senza formazione - 3.3. Non c’è prevenzione senza cura - 3.4. Progettare le sanzioni e immaginare la riparazione - 4. Conclusioni. Salvaguardia dei minori e transdisciplinarietà del diritto canonico come cifra di una “Chiesa in uscita”. Luci e ombre di un percorso appena iniziato.
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Gonçalves, Natamy de Almeida, and Camila Santos Dias. "Abusi sessuali su minori: aspetti storici, legali e danni allo sviluppo del bambino." Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento, September 9, 2021, 183–208. http://dx.doi.org/10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/psicologia-it/aspetti-storici.

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Abstract:
Poiché è una violenza che affligge diversi bambini e adolescenti nel mondo nel corso della storia, l’abuso sessuale sui minori richiede molta attenzione, considerando che si tratta di un fenomeno complesso e, in molti casi, difficile da identificare, essendo l’abusatore di solito una persona fidata della famiglia e che ci si aspetta che si prenda cura della vittima, come genitori biologici, patrigno, zii o amici intimi, per esempio. Inoltre, la maggior parte dei casi di abuso sessuale si verificano nella casa della vittima, dove ci si aspetta poco dal bambino e dall’adolescente che si trovano in una situazione vulnerabile. Sulla base dei fattori descritti, questa ricerca presenta la seguente domanda guida: cos’è l’abuso sessuale e quali sono i suoi impatti sullo sviluppo del bambino? Questo articolo mirava a rivedere gli aspetti storici e legali dell’abuso sessuale, esplorando le complessità delle sue definizioni e presentando i possibili effetti sulla vittima. Per questo è stata fatta una rassegna bibliografica di carattere qualitativo, descrittivo ed esplorativo, suscitando riflessioni sul tema. Si è visto che il bambino e l’adolescente non avevano sempre il supporto legale, avendo subito diverse violenze senza la dovuta punizione per i loro aggressori. Nel corso del tempo, sono state istituite leggi e, in Brasile, lo Statuto dei bambini e degli adolescenti (ECA) aveva segnato un momento di determinazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, stabilendo meccanismi di protezione, anche contro la violenza come l’abuso sessuale. Infine, è stato considerato in questo studio che vi è una mancanza di informazioni alla popolazione sull’argomento, che corrobora la riproduzione del suddetto reato. È stato osservato che, considerando i danni alla salute biopsicosociale della vittima e della sua famiglia, sono stati realizzati studi e progetti di prevenzione, nonché istituito diverse forme di denuncia di questo crimine. Si è concluso che è necessario preparare strategie per preparare le famiglie, i professionisti e le istituzioni responsabili di garantire i diritti dei bambini e degli adolescenti in modo che possano contribuire a rafforzare la lotta contro gli abusi sessuali.
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Tozzo, Pamela, Mario Picozzi, and Luciana Caenazzo. "Bioetica clinica - La protezione dei diritti del minore nella Sindrome di Münchausen per procura: una riflessione etica." Medicina e Morale 64, no. 2 (April 30, 2015). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2015.28.

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Abstract:
Per Sindrome di Münchausen by Proxy si intende la produzione fittizia di malattia in un bambino sano da parte di un adulto, solitamente un genitore, attraverso la produzione di racconti non veritieri, sino ad arrivare alla produzione o alla provocazione di false prove. Tale sindrome può presentarsi con i più svariati segni e sintomi di malattia, con uno spettro di manifestazioni che vanno da moderate a molto severe e che possono essere rappresentate principalmente da: simulazione di segni e sintomi di malattie di varia natura di cui il bambino non è affetto, esagerazione di sintomi di una malattia di cui il bambino è realmente affetto, induzione, e quindi provocazione, di segni e sintomi di malattia. Quando vi sia il sospetto di tale patologia, per i professionisti coinvolti il principale dilemma etico è tra il porre in essere accertamenti diagnostici – a volte invasivi, dolorosi e non privi di rischi per salute del minore – senza il consenso dei genitori allo scopo di verificare la natura organica o fittizia dei segni/sintomi presentati, o se continuare nella prescrizione ed esecuzione di test diagnostici, potenzialmente inutili, ma per i quali il genitore maltrattante ha prestato e presterà il proprio consenso, con il rischio di alimentare la volontà maltrattante del genitore e di prolungare l’azione lesiva a danno del minore. La consapevolezza delle problematiche etiche che emergono nel corso della gestione clinica di sospetti casi MSBP può rappresentare il punto di partenza per la pianificazione del progetto diagnostico-terapeutico del minore ed in questo il team curante potrebbe beneficiare dell’apporto qualificato di una riflessione etica strutturata, che consenta di bilanciare i diritti in gioco. ---------- Münchausen syndrome by proxy is a form of child abuse in which a subject, usually a parent, surreptitiously induces real or apparent symptoms of disease in a child. People with Münchausen syndrome by proxy (MSBP) may create or exaggerate a child’s symptoms in several ways. They may simply lie about symptoms, alter tests (such as contaminating a urine sample), falsify medical records, tampering with specimens or instruments, or they may actually induce symptoms through various means, such as poisoning, suffocating, starving, and causing infection, thus leading to a serious and real danger to the child’s life. For health care professionals, in such cases, the ethical dilemma is between doing medical tests (even painful tests, procedures, and surgeries) without the parental knowledge – with the aim to verify the MSBP condition – or to do only medical assessments for which parents have given consent. In the latter case, there is a risk of triggering attitudes masking the disease, up to push the perpetrator to steal the child from the health care setting, thus potentially damaging the victim. Furthermore, health care staff members may become unwitting participants to the abuse, as they do multiple tests and procedures aimed at diagnosing and treating the child, ordering invasive tests that may not be needed. Multiple ethical dilemmas in the field of child abuse create challenges to making decisions that are in the best interest of the child. The clinician should have command of these ethical issues to render the most appropriate and compassionate care to the child. Awareness of these ethical implications is the beginning step in planning care for these children. Continued support for healthcare members is necessary throughout the diagnostic process. Specific protocols, discussion of clinical cases and open communication of feelings will help them to deal more effectively with these families and to ensure that the treatment decision is in the best interest of the child.
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Licastro, Angelo. "Il rapporto di lavoro degli insegnanti di religione nelle scuole pubbliche italiane davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea." Stato, Chiese e pluralismo confessionale, February 27, 2022. http://dx.doi.org/10.54103/1971-8543/17431.

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Abstract:
SOMMARIO: 1. La direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato e i meccanismi di definizione della politica sociale europea - 2. Cenni sulla disciplina generale del rapporto di lavoro a tempo determinato risultante dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, attuativo della direttiva 1999/70/CE, e dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 - 3. La posizione ricoperta dall’insegnante di religione nell’ambito dell’ordinamento del personale docente della scuola - 4. La vertenza riguardante gli insegnanti di religione cattolica e le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di giustizia - 5. L’eventuale incidenza dell’impegno dell’Unione a salvaguardare lo status previsto per le confessioni religiose dal diritto nazionale (art. 17 TFUE) - 6. La tutela antidiscriminatoria degli insegnanti di religione: a) l’assenza di una discriminazione per motivi di religione rispetto alla posizione degli altri supplenti della scuola pubblica - 7. (segue) b) L’inapplicabilità della clausola 4 dell’Accordo quadro - 8. La prevenzione degli abusi della successione dei contratti a tempo determinato per gli insegnanti di religione: in particolare le “ragioni obiettive” che possono giustificare il rinnovo - 9. Conclusioni. The Employment Relationship of Religious Education Teachers in Italian State Schools before the Court of Justice of the European Union ABSTRACT: The Italian legislation excludes the transformation of successive fixed-term contracts into contracts of indefinite duration in the teaching sector. This also applies to Catholic religious education teachers. The present paper analyses the decision of the Court of Justice of the European Union in case C-282/19, which dealt with the issue of the compatibility of such a rule with the framework agreement on fixed-term work concluded by ETUC, UNICE and CEEP (annexed to Council Directive 1999/70/EC of 28 June 1999) and with the prohibition of discrimination on grounds of religion (Article 21 of the Charter of Fundamental Rights of the European Union; Council Directive 2000/78/EC of 27 November 2000). According to the Author, the Court’s final indication for the referring court, to verify whether an interpretation of the national provisions which is consistent with the framework agreement is possible, is not easily practicable, because the “obligation on a national court to refer to the content of a directive when interpreting and applying the relevant rules of domestic law […] cannot serve as the basis for an interpretation contra legem”, as noted by the Court.
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