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Zeitschriftenartikel zum Thema „Principio di autonomia delle masse“

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Reichlin, Massimo. „Il concetto di "beneficence" nella bioetica contemporanea“. Medicina e Morale 44, Nr. 1 (28.02.1995): 33–58. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1995.990.

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Vengono analizzate le principali interpretazioni del concetto di beneficenza nella bioetica contemporanea e i loro referenti filosofici. In particolare, vengono presentate le posizioni di Ross e di Frankena, che hanno avuto una rilevante influenza sulla formazione del paradigma dei principi, dominante nella bioetica anglosassone dello scorso decennio: in tale paradigma, esemplificato dal Belmont Report e dal classico Principles of Biomedical Ethics, la beneficenza è uno tra i principi fondamentali e risulta per lo più distinta dall'utilità. L'utilitarismo della preferenza propone invece un concetto di beneficenza allargata come principio assoluto e lo intende come equivalente al principio di utilità; al contrario il neocontrattualismo libertario considera la beneficenza decisamente secondaria rispetto al principio di autonomia, costitutivo della moralità. In quest'ultima posizione la figura del bene viene sostanzialmente rimossa, mentre in quella utilitaristica essa sembra assumere la forma soggettiva del benessere. Benché nel deontologismo misto il bene mantenga una qualche dimensione sostanziale, il tentativo meno insoddisfacente sembra quello operato da Pellegrino e Thomasma; questi Autori riformulano il principio di beneficenza nel tentativo di sottrarlo alla deriva paternalistica ritenuta inevitabile da molta parte della riflessione contemporanea. ln particolare, distinguono quattro livelli di predicazione del bene, in forza dei quali possono evitare l'identificazione assoluta tra principio di beneficenza e indicazioni cliniche e, d'altro canto, mantenere una reale distinzione tra beneficenza e autonomia, evitando la riduzione della prima alla mera esecuzione delle preferenze liberamente espresse dal paziente.
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Furnari, Marianna Gensabella. „Dall’autonomia alla responsabilità: il desiderio di maternità e la possibilità della FIVET“. Medicina e Morale 49, Nr. 5 (31.10.2000): 879–907. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2000.769.

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Fino a che punto il desiderio di maternità, frustrato dalla sterilità, può servirsi delle nuove possibilità offerte dalla FIVET? Quale criterio ci consente di distinguere tra un dominio ragionevole ed uno irragionevole sulla natura? Il ripensamento dell’indissolubilità del nesso corpo-persona, e dell’imperativo kantiano, che impone di non considerare mai l’umanità solo come messo, aiutano a trovare una misura che appare smarrita. Ma è possibile applicare l’imperativo kantiano a tutti i soggetti coinvolti nella FIVET? Attraverso una discussione con le tesi della bioetica laica, si evidenzia come quell’imperativo vada inteso, non solo a tutela del diritto dei genitori al consenso libero e informato, ma anche a tutela dell’embrione. Al di là delle distinzioni strumentali tra pre-embrione ed embrione, e al di là della diversità di opinioni se l’embrione si o no persona, sta la certezza che l’embrione è un essere umano, certezza che impone di rispettarlo “come uno di noi”. Nel confronto con tale imperativo il desiderio di maternità trova un limite che è spesso dimenticato. Iscritto nella sfera intima, inviolabile della corporeità, il desiderio di maternità sembra regolato solo dal principio di autonomia, che su quella sfera domina. Occorre però ripensare il principio di autonomia e il modio in cui intendiamo la nostra corporeità. Rifletto come nomos che si dà un autos che è corpo/persona, il principio di autonomia trova il limite della mia indipendenza non solo nella non interferenza con gli altri, ma nella legge iscritta nella stessa corporeità, cioè nella difesa della vita, mia e altrui. È lo stesso desiderio di maternità a guidarci in questa rilettura del principio di autonomia: iscritto nel corpo, tale desiderio va oltre il corpo proprio, aprendosi alla corporeità dell’altro perché un terzo abbia vita. Di fronte alla rivendicazione dell’autonomia del procreare si leva la voce della responsabilità, da sempre insita nell’esser-madre: una voce che invita a tutelare la vita che chiamiamo al mondo sin dal suo primo apparire, e a vigilare perché le siano assicurati i diritti fondamentali dell’identità parentale e della famiglia. Inteso nella sua verità, non come desiderio di avere un figlio ma come desiderio di essere madre, il desiderio di maternità, trova in se stesso la propria regola, il correttivo a quel dilatarsi indefinito dei fini, quasi una “festa del desiderio” a cui la FIVET eterologa apre. Ciò significa imparare a cadenzare, o addirittura a fermare, il passo del desiderio, seguendo le voci antiche di Logos e Cura.
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Saruis, Tatiana, und Leonardo Catena. „Le politiche socio-assistenziali in Italia, tra discrezionalitŕ istituzionale e discrezionalitŕ operativa“. RIVISTA TRIMESTRALE DI SCIENZA DELL'AMMINISTRAZIONE, Nr. 2 (Juli 2012): 145–60. http://dx.doi.org/10.3280/sa2012-002009.

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La riorganizzazione del Welfare ha visto una redistribuzione di funzioni, compiti e spazi di autonomia decisionale tra livelli istituzionali, organizzazioni ed attori. In Italia, questi processi hanno interessato sia il versante della programmazione delle politiche, sia quello della loro effettiva realizzazione. La combinazione tra le indicazioni normative e le specificitŕ regionali e locali hanno dato vita ad un sistema di Welfare territorialmente diversificato. L'assunzione del principio di sussidiarietŕ e di una prospettiva di governance porta con sé dilemmi irrisolti, che definiscono esiti differenziati, anche potenzialmente divergenti. Sono numerosi ed interessanti gli interrogativi che sorgono intorno alla possibilitŕ di bilanciare i principi di autonomia ed equitŕ e di contenere gli "spazi" di una discrezionalitŕ che si po- trebbe definire "istituzionale". Il rischio č di sancire dal punto di vista istituzionale squilibri subnazionali e diseguaglianze fra i cittadini. Nell'area delle politiche sociali, dove l'esigibilitŕ dei diritti appare, per molti versi, ridotta, si combina una spesso rilevante discrezionalitŕ "operativa", affidata agli attori preposti alla complessa fase dell'implementazione. In un quadro normativo dai tratti incerti ed indefiniti, sostenuto da risorse spesso contenute, si intrecciano competenze, organizzazioni e professionalitŕ, nell'affrontare bisogni complessi ed in rapida trasformazione. In un mutevole bilanciamento tra specificitŕ ed equitŕ delle prestazioni, flessibilitŕ e garanzia dei servizi, diritti, eccezioni ed emergenze.
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Di Pietro, Maria Luisa. „La comunicazione della verità al paziente: diritti e doveri nel nursing“. Medicina e Morale 39, Nr. 6 (31.12.1990): 1223–38. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1990.1157.

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Il diritto del paziente a conoscere la verità e il corrispondente obbligo di informativa da parte dell'operatore sanitario hanno subito nel tempo molteplici e controverse interpretazioni: questo è dovuto anche al modificarsi della relazione tra il paziente e l'operatore sanitario, che ai nostri tempi appare sempre di più fondata, anche fino all'estreme conseguenze, sul principio di autonomia e di autodeterminazione del malato. Nel presente articolo, partendo dall'analisi di un caso clinico e alla luce dei principi dell'etica personalista (il principio di libertà-responsabilità, la regola della fiduciarietà e della veridicità), della deontologia medica ed applicata al nursing, delle Carte sui diritti dei pazienti, si cerca di dare una risposta ai due principali interrogativi posti dal tema in esame: il paziente ha diritto a conoscere la verità sul proprio stato di salute? A chi spetta il compito di comunjcare la verità? Al medico, all'infermiere o a un familiare?
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Guarriello, Fausta. „I diritti di contrattazione collettiva in un'economia globalizzata“. GIORNALE DI DIRITTO DEL LAVORO E DI RELAZIONI INDUSTRIALI, Nr. 135 (September 2012): 341–59. http://dx.doi.org/10.3280/gdl2012-135001.

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Il saggio esamina la tensione esistente tra il riconoscimento del diritto di contrattazione collettiva come diritto sociale fondamentale nelle fonti internazionali ed europee e gli effetti di destrutturazione dei sistemi contrattuali, ancora prevalentemente ancorati a livello nazionale, indotti dalla globalizzazione. L'assenza di effettive misure di sostegno alla contrattazione collettiva su scala sovranazionale, dove le decisioni economiche vengono prese, l'interpretazione restrittiva della Corte di giustizia, lesiva del principio di autonomia collettiva e di libertŕ sindacale, la subordinazione alle libertŕ economiche sottesa alla visione funzionalista delle istituzioni europee, rischiano di indebolire e snaturare il diritto di contrattazione collettiva anche all'interno dei sistemi nazionali, dove esso si č storicamente sviluppato.
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Piccoli, Giorgina Barbara, Martina Ferraresi, Federica Neve Vigotti und Gerardo Di Giorgio. „Esiste oggi un ruolo per l'emodialisi domiciliare e che cos'è oggi l'emodialisi domiciliare?“ Giornale di Clinica Nefrologica e Dialisi 26, Nr. 2 (07.02.2014): 102–11. http://dx.doi.org/10.33393/gcnd.2014.875.

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La crisi economica globale, l'indicazione alla massima deospedalizzazione dei pazienti cronici e le innovazioni nel trattamento dell'uremia cronica sono alla base del rinnovato interesse per trattamenti dialitici “non convenzionali o intensivi”, spesso od obbligatoriamente domiciliari. Un primo punto evidenziato da questa revisione narrativa della letteratura è il superamento dell'antagonismo storico tra emodialisi domiciliare (HHD) e dialisi peritoneale (PD), all'insegna del motto “home dialysis first”: ascrivere il successo di una metodica domiciliare alla competizione con l'altra è riduttivo quanto il considerare che i pazienti ideali per l'HHD siano principalmente i soggetti che hanno dovuto interrompere la dialisi peritoneale. Ciò detto, è possibile scomporre il problema della dialisi domiciliare non solo secondo criteri clinici, ma anche secondo i quattro principi etici di beneficio, non maleficio, giustizia e autonomia. Se il beneficio non è facile da dimostrare, anche per la peculiare selezione dei pazienti, il non maleficio è evidente: in tutti gli studi analizzati, l'emodialisi domiciliare, sia essa standard o quotidiana o intensiva, non risulta mai significativamente inferiore ai trattamenti convenzionali. Il principio della giustizia, inteso in maniera un po' riduttiva come giustizia distributiva, può essere analizzato valutando i costi del trattamento, divisi tra costi diretti (disposable e macchine) e costo del personale medico e infermieristico; il vantaggio economico della riduzione del personale è ovvio, ma va anche ricordato che un sistema domiciliare necessita di una massa critica per essere favorevole dal punto di vista economico e che i costi “indiretti” (struttura ospedaliera in particolare) sono difficili da quantificare. Il quarto principio è l'autonomia dei pazienti: per questo sarebbe necessario offrire l'emodialisi domiciliare a tutti coloro che ne hanno le indicazioni, creando dei Centri di riferimento accessibili, dove i pazienti possano ascoltare il parere di medici, infermieri e pazienti con esperienza specifica.
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Furfori, P. A., F. Pala und M. Messina. „Bioetica clinica. Il problema dei pazienti affetti da broncopatia cronica ostruttiva.“ Medicina e Morale 43, Nr. 2 (30.04.1994): 319–31. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1994.1022.

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Dato che nell'opinione comune si pensa alla rianimazione ed alla terapia intensiva come le branche della pratica medica più facilmente tacciabili di disumanizzazione, gli Autori ritengono possibile parlare di umanizzazione di tali discipline mediche portando due casi clinici di pazienti affetti da insufficienza respiratoria cronica. In tali situazioni i problemi etico-deontologici sollevati sarebbero: il principio di autonomia del paziente, quest'ultimo spesso quasi impossibilitato, per le sue condizioni, a dare un consenso sereno e consapevole; il principio di verità, da calibrare sulle caratteristiche psicologiche della persona; la libertà-responsabilità dei familiari; il principio di beneficialità-non maleficialità, da valutare attentamente in questo caso. Vengono elaborate delle possibili linee-guida, fatte salve le peculiarità di ciascun paziente: la promozione dello sviluppo fisico, psichico e sociale della persona; il rispetto prioritario della vita fisica; il rispetto per la dignità della persona; il diritto al consenso informato - quando possibile - del paziente, coinvolgendo anche i familiari nell'informazione; non instaurare un trattamento se ritenuto inutile e previo accordo col paziente, se possibile. In definitiva gli Autori ritengono che, alla luce delle considerazioni sopra esposte, le vie percorribili nell'umanizzazione dell'assistenza al paziente con broncopatia cronica ostruttiva (BPCO) sono due: nel caso dell 'individuazione dei pazienti con BPCO in fase iniziale è possibile mettere in atto, di comune accordo con l'ammalato ed informati familiari e medico di famiglia, la strategia da seguire in caso di acuzie della patologia. Nell'altro caso, quando cioè il paziente arriva all'attenzione del rianimatore senza conoscenza o in fase acuta, occorre tentare di umanizzare al massimo la degenza nella rianimazione.
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Illari, Silvia, und Ilaria De Cesare. „Ordini e collegi professionali tra dimensione collettiva e diritti individuali“. DIRITTO COSTITUZIONALE, Nr. 2 (Juni 2021): 81–103. http://dx.doi.org/10.3280/dc2021-002005.

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Gli ordini e i collegi professionali sono tradizionalmente annoverati tra le formazioni sociali che operano nell'ordinamento giuridico, trovando anche esplicito riconoscimento normativo, sebbene non a livello costituzionale. Il presente lavoro ha lo scopo di indagare gli aspetti peculiari degli ordini, a cominciare dalla loro natura giuridica, che si pone in equilibrio tra autonomia e regolazione. Nell'esaminare le modalità di esercizio delle funzioni loro riconosciute, le autrici evidenzieranno di volta in volta i punti di contatto tra la dimensione collettiva, di cui gli ordini sono espressione e custodi, e quella individuale, che attiene ai singoli professionisti. Emergerà come, in ragione anche di previsioni normative generiche, non sempre vi sia compiuta corrispondenza col principio solidarista che dovrebbe regolare tali interazioni
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Corsi, Michele. „Il limite, il bisogno e il desiderio“. EDUCATION SCIENCES AND SOCIETY, Nr. 2 (November 2020): 65–88. http://dx.doi.org/10.3280/ess2-2020oa9311.

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L'articolo verte sulla triade limite, bisogno e desiderio. Partendo dal riconoscimento che il limite è consustanziale all'educazione. Anzi, che il limite è la meta-regola che dovrebbe ispirare le singole regole. Per passare, poi, ad analizzare il desiderio sulla scorta di Lacan, Freud e di altri Autori. Col desiderio che è altro dal piacere e dal godimento. E con l'oggetto del desiderio che è un fantasma o un'illusione. Col bisogno, infine, che è la risposta pedagogica al desiderio, definendo uno stato di urgenza reale, connotato fisiologicamente, del soggetto. Quello stesso bisogno, riconosciuto e limitato, che è la risposta a un godimento possibile e praticabile e, ugualmente, a una domanda ben posta e articolata. Un bisogno attualizzato, per quantità e qualità, dall'educazione. Nell'ottica delle tre grandi finalità dell'educazione: libertà, autonomia e responsabilità. E con la pedagogia medesima che non legifera, ma offre strumenti per il loro corretto esercizio. In grado così, il rapporto educativo, di educare i desideri, di sottometterli al principio del piacere e, laddove questo fallisse, di riportare il tutto al principio di realtà, faro e fondamento dell'educazione.
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Charrier, Guy. „Parallèle entre la loi italienne pour la protection de la concurrence et le système français“. Journal of Public Finance and Public Choice 8, Nr. 2 (01.10.1990): 103–15. http://dx.doi.org/10.1332/251569298x15668907345045.

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Abstract La nuova legge italiana per la protezione della concorrenza e del mercato presenta una notevole analogia, sia nei concetti che nei principali meccanismi applicativi, con le principali legislazioni dei Paesi membri della CEE e soprattutto con quelle che sono state introdotte negli anni più recenti.Il campo d’applicazione riguarda, almeno in principio, tutti i settori di attività, sia nel sistema italiano che in quello francese, poiché nessuna deroga è prevista, salvo per alcune particolari attività, come gli audio-visivi, la stampa, le banche e le assicurazioni.Questa estensione del campo di applicazione della legislazione si spiega con il fatto che essa riguarda tutte le pratiche anti-concorrenziali che vadano a detrimento del buon funzionamento del mercato e che tali pratiche siano suscettibili di provenire da tutti gli operatori economici.In Francia, peraltro, vige una distinzione tra comportamenti diretti a falsare il mercato, e che ricadono sotto le categorie di cartelli e di abuso di posizione dominante, di cui si occupa il Consiglio della concorrenza, e le pratiche restrittive, come il rifiuto di vendere, la subordinazione delle vendite, le discriminazioni e l’imposizione di prezzi, che sono di competenza dei tribunali perché in principio riguardano soltanto i rapporti tra imprese.Un secondo aspetto riguarda l’applicazione delle regole della concorrenza alle persone pubbliche. In principio, le disposizioni della legge italiana circa le imprese pubbliche (art. 8) e quelle della legge francese (art. 53) rispondono soltanto in parte alla questione. Nel diritto francese, quando una persona pubblica agisce da privato, è sottoposta alle leggi che riguardano il comportamento dei privati. Una difficoltà sorge, invece, quando questa persona pubblica, agendo nell’ambito dei suoi poteri, genera sul mercato effetti che danneggiano la concorrenza. Una recente sentenza del Tribunale dei conflitti ha concluso che le regole della concorrenza non si applicano alle persone pubbliche se non nella misura in cui esse diano luogo ad attività di produzione (di distribuzione o di servizi).La legge italiana non dà alcuna definizione del concetto di concorrenza nè dà alcun elemento che ne consenta la giustificazione economica. Altrettanto avviene con la legge vigente in Francia, ove sono i testi delle decisioni che forniscono indicazioni al riguardo.Il principio generate del divieto dei cartelli, come anche l’elenco dei casi suscettibili di costituire intese di carattere anti-concorrenziale, sono presentati in modo molto simile sia nella legge italiana che in quella francese. Ambedue riprendono, d’altronde, la formulazione dell’art. 85 del Trattato di Roma.Tutto fa pensare che l’Autorità italiana si troverà di fronte a casi analoghi a quelli di cui si è in varie occasioni occupato il Consiglio della concorrenza francese: cartelli orizzontali (accordi sui prezzi, sulla ripartizione dei mercati, sull’esclusione di un’impresa del mercato, ecc.); intese verticali (risultanti da accordi tra un produttore ed i suoi distributori nell’ambito di contratti di distribuzione selettiva o esclusiva); imprese comuni (la cui creazione può rientrare nel campo della proibizione di cartelli o costituire un’operazione di concentrazione); intese tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (nel quadro dei mercati pubblici, il Consiglio ha ritenuto che non sia contrario alle norme concorrenziali, per imprese con legami giuridici o finanziari, rinunciare alla loro autonomia commerciale e concertarsi per rispondere a delle offerte pubbliche).Sull’abuso di posizione dominante, così come per i cartelli, i due sistemi italiano e francese presentano molte somiglianze. Tuttavia, contrariamente al diritto francese ed a quello tedesco, nella legislazione italiana non si fa alcun riferimento alle situazioni di «dipendenza economica». Peraltro, l’identificazione di questo caso è alquanto complessa e, sinora, il Consiglio non ha rilevato alcun caso che rientri nello sfruttamento abusivo di una situazione di dipendenza economica. Pertanto, si può forse concludere che il legislatore italiano sia stato, a questo riguardo, più saggio di quello francese. Più in generale, per quanto riguarda i casi di abuso di posizione dominante, il Consiglio deBa concorrenza ha seguito un’impostazione piuttosto tradizionalista.Anche sul controllo delle concentrazioni, il testo della legge italiana richiama quello francese e anche quello della normativa comunitaria, pur se è diversa la ripartizione delle competenze tra Autorità incaricata della concorrenza e Governo. Nella legge italiana, d’altra parte, vi sono delle norme relative alla partecipazione al capitale bancario che fanno pensare ad un dibattito molto vivo su questo tema.I livelli «soglia” per l’obbligo di notifica delle concentrazioni sono più elevati in Francia. Bisognerà poi vedere con quale frequenza il Governo italiano farà ricorso all’art. 25, che gli conferisce il potere di fissare criteri di carattere generale che consentono di autorizzare operazioni di concentrazione per ragioni d’interesse generale, nel quadro dell’integrazione europea.L’interesse delle autorità amministrative francesi nei riguardi delle concentrazioni, che un tempo era molto limitato, è divenuto più intenso negli anni più recenti, anche se i casi di divieto di concentrazioni sono stati sinora molto limitati.In conclusione, si può ricordare che un organismo competente in materia di protezione della concorrenza ha un triplice compito: pedagogico (attraverso la pubblicazione delle decisioni, delle motivazioni e delle ordinanze su questioni di carattere generale e sui rapporti attinenti al funzionamento del mercato), correttivo (per distogliere gli operatori economici da comportamenti anti-concorrenziali) e, infine, dissuasivo (poiché l’esperienza di applicazione delle leggi relative alla concorrenza dimostra che la loro efficacia dipende in modo decisivo dalla comminazione di sanzioni).
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Majone, Giandomenico. „LA CRESCITA DEI POTERI REGOLATIVI NELLA COMUNITÀ EUROPEA“. Italian Political Science Review/Rivista Italiana di Scienza Politica 25, Nr. 3 (Dezember 1995): 409–39. http://dx.doi.org/10.1017/s0048840200023790.

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IntroduzioneLa rilevanza conferita dal Trattato di Maastricht al principio di sussidiarietà se da un lato rivela una diffusa preoccupazione circa la tendenza alla crescita dei poteri di regolazione di Bruxelles, solleva anche diversi interrogativi interessanti sotto il profilo teorico. In primo luogo, è possibile una sovra-regolazione al livello europeo, nonostante che i governi nazionali siano fortemente rappresentati ad ogni livello del processo decisionale? In secondo luogo, se è vero che gli stati membri si sforzano di preservare il più ampio margine possibile di sovranità e di autonomia nel policy-making, come dimostrano le forti resistenze agli interventi comunitari in aree quali la politica macroeconomica e la tassazione indiretta, perché allora essi hanno accettato molte misure regolative non previste dai trattati originari e non strettamente necessarie per il funzionamento del mercato comune? Infine, per quello che riguarda la qualità più che la quantità delle regole comunitarie, quanto è davvero possibile l'innovazione in un sistema dove i poteri formali di iniziativa della Commissione, così come le sue funzioni esecutive, sembrano essere così severamente controllati?
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Pasetti, Carlo, und Giovanna Zanini. „La presa in carico del paziente con sclerosi laterale amiotrofica: questioni etiche nelle varie fasi della malattia“. Medicina e Morale 53, Nr. 5 (31.10.2004): 939–67. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2004.626.

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Molti sono stati i cambiamenti che si sono verificati in questi ultimi anni nella prassi clinica e nella presa in carico del paziente con sclerosi laterale amiotrofica, nonostante la perdurante assenza di terapie farmacologiche efficaci. Tali cambiamenti possono essere così riassunti: a) sul piano clinico: l’istituzione di unità interdisciplinari di trattamento alla SLA; la possibilità di impiego di nuove procedure terapeutiche in grado non di modificare la prognosi della malattia ma di prolungarne la sopravvivenza; una sempre maggiore attenzione per la riabilitazione e le malattie croniche progressive; b) sul piano etico: il progressivo affermarsi del principio di autonomia; l’evoluzione di nuovi modelli di relazione medico-paziente. Questi fattori hanno comportato per gli operatori coinvolti nella presa in carico la irrinunciabile necessità di confrontarsi con nuove questioni etiche, solo pochi anni or sono ritenute del tutto impensabili: 1. la comunicazione della diagnosi e della prognosi; 2. i processi decisionali nelle fasi più avanzate della malattia; 3. l’accompagnamento alla morte e al morente. Vengono discusse in dettaglio le singoli questioni etiche, arrivando alle seguenti considerazioni conclusive: 1. in tutti i punti nodali della presa in carico del paziente con SLA una corretta informazione e una buona capacità di comunicazione dei terapeuti sono considerati elementi chiave per una gestione clinica che eviti nel paziente rischi di comportamenti autolesivi o di fughe nella medicina alternativa e nel medico rischi di disimpegno terapeutico, angoscia decisionale, burn out; 2. è indispensabile fare evolvere nuovi modelli di relazione medico-paziente, diversi da quelli di tipo paternalistico ma anche da quelli di tipo contrattualistico o utilitaristico, ritenuti più adeguati in questo contesto, come il modello dell’alleanza terapeutica; 3. il rispetto del principio di autonomia e degli strumenti che ne derivano (consenso informato e direttive anticipate in particolare) vengono ritenuti certo un punto forte, ma non l’unico télos etico dell’azione, che deve comunque sempre tendere ad ispirarsi anche, e soprattutto, al principio di beneficenza; 4. un accompagnamento farmaco-protetto alla morte e al morente, calato in un’attenta presenza e in un elevato livello relazionale, secondo un’etica delle virtù che valorizzi le buone intenzioni, può configurarsi come una terza via tra i due opposti errori etici costituiti dall’eutanasia e dall’accanimento terapeutico, terza via che consente di superare annose diatribe tra differenti orientamenti e appare più in linea con paradigmi universalmente accettati e accettabili.
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Migone, Luigi. „Le risposte mediche e sociali alle richieste eutanasiche“. Medicina e Morale 47, Nr. 5 (31.10.1998): 935–67. http://dx.doi.org/10.4081/mem.1998.820.

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I moderni mezzi di terapia e di sostegno vitale mirano a rimuovere in modo duraturo le malattie, ma quando guarigioni o miglioramenti non sono più possibili, lo scopo è quello di ritardare l’esito mortale. Da qui i timori dei mala ti di non riuscire a sopportare le ultime fasi di malattia e il conseguente radicarsi di tendenze ad anticipare la morte con pratiche eutanasiche. Il presente articolo intende proprio soffermarsi sulle richieste dei pazienti coscienti di anticipare la morte. L’Autore distingue e analizza tre diverse forme di eutanasia: suicidio concesso dal medico, intervento mortale del medico, rifiuto di iniziare o proseguire le cure vitali. Successivamente vengono affrontati gli aspetti epidemiiologici del fenomeno, i limiti del principio di autonomia che non può assolutamente giustificare l’eliminazione della ragione di essere dell’individuo, il perché delle richieste eutanasiche, le risposte sociali e le cure palliative, l’importanza dell’assistenza psicologica al morente, l’”ortotanasia” come alternativa all’eutanasia (consiste nell’opporsi agli istinti di autodistruzione e ai diversi fattori emotivi che rifiutano la morte, attraverso un atteggiamento razionale di preparazione a questo inevitabile percorso di vita), l’assistenza spirituale, la questione del “duplice effetto”: tutte questioni che aprono un acceso dibattito sui molteplici problemi etici riguardanti le pratiche eutanasiche.
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Binetti, Paola. „Etica della relazione terapeutica in psichiatria“. Medicina e Morale 49, Nr. 1 (28.02.2000): 85–102. http://dx.doi.org/10.4081/mem.2000.751.

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L’etica pone alla psichiatria una serie di interrogativi molto precisi, che possono essere sintetizzati in una triade così strutturata definizione del quadro antropologico di riferimento: identificazione dei criteri di qualità della relazione terapeutica; consapevolezza che il contesto in cui il paziente inserito è contestualmente fattore di sofferenza e risorsa irrinunciabile. Le tre domande rispondono ad un’ottica multifocale che assume di volta in volta come punto di vista privilegiato Chi è il paziente; il Chi siamo del rapporto medico paziente; il Chi sono del contesto socio-familiare. Dalla conoscenza e dal rispetto reciproco scaturiscono modelli decisionali eticamente accettabili perché centrati su di una comune tensione verso il bene reciproco. Il rischio della manipolazione nella relazione terapeutica in psichiatria è però costantemente in agguato e scaturisce dalla sostanziale diffidenza nelle capacità dell’altro, sia sul piano della comprensione degli eventi che su quello della loro corretta gestione. Verità ed errore in psichiatria vanno analizzati nella concretezza delle situazioni individuali e vanno collocati nell’ottica della gradualità e della progressività con cui l’uomo si accosta alla conoscenza, sempre attraverso tentativi ed errori. Un aspetto etico irrinunciabile nella relazione in psichiatria è quello che permette al soggetto malato di potersi esprimere con piena autenticità, evitando sostituzioni indebite si da parte dei familiari che del personale sanitario. L’autenticità come espressione singolare della propria identità, accettata da sé stesso e sa chi prede incarico la sua sofferenza è un fattore terapeutico dei più importanti ed efficaci. Una decisione per essere eticamente valida deve essere presa in piena libertà e nel pieno rispetto della coscienza soggettiva, per questo è essenziale l’aiuto offerto al paziente perché esprima le sue scelte e gradatamente ne comprenda la rilevanza attraverso le conseguenze operative. La libertà nella relazione con il paziente psichiatrico va sempre intesa come una conquista continua, che lo psichiatra presidia senza manipolazioni falsificazionistiche. Il problema del rapporto tra eticità come responsabilità personale ed oggettività come referente normativo universale si chiarisce solo se ci si pone nell’ottica dei diritti umani: diritto a conoscere la verità, diritto a formulare scelte coerenti, diritto a ricevere l’aiuto necessario a riscattare la propria libertà da condizionamenti di vario tipo e genere. Ossia assumendo il principio della autonomia personale come fondamento della relazione di aiuto psico-terapeutico, anche quando l’autonomia presente come diritto va sostenuta fino al punto di acquisizione come altro nome quello della responsabilità verso sé stesso e verso gli altri.
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Colao, Floriana. „La sovranità della Chiesa cattolica e lo Stato sovrano. Un campo di tensione dalla crisi dello Stato liberale ai Patti Lateranensi, con un epilogo nell'articolo 7 primo comma della Costituzione“. Italian Review of Legal History, Nr. 8 (21.12.2022): 257–312. http://dx.doi.org/10.54103/2464-8914/19255.

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Il saggio ricostruisce la genesi della ‘Premessa’ al Trattato del Laterano del 1929, in cui le Due Alte Parti – governo italiano e Santa Sede, con le firme di Mussolini e del cardinale Gasparri – garantirono alla Chiesa «una sovranità indiscutibile pur nel campo internazionale». Da qui la «necessità di costituire, con particolari modalità, la Città del Vaticano […] con giurisdizione sovrana della Santa Sede», e l’art. 2, «l’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione». Il saggio considera che i giuristi – Vittorio Emanuele Orlando, che, da presidente del Consiglio nel maggio giugno 1919 tentò una trattativa con la Santa Sede per la risoluzione della Questione romana, e Amedeo Giannini, che tra i primi suggerì a Mussolini un «nuovo codice della legislazione ecclesiastica» – legarono la Conciliazione alla crisi dello Stato liberale ed al «regime diverso», insediatosi in Italia il 28 Ottobre 1922. Il saggio considera che già nel 1925 il guardasigilli Alfredo Rocco coglieva nelle ‘due sovranità’ una pietra d’inciampo nella costruzione dello Stato totalitario, anche se dichiarava di dover abbandonare l’«agnostico disinteresse del vecchio dottrinarismo liberale». Il saggio considera che Rocco rimase ai margini delle trattative con la Santa Sede, dal momento che metteva in guardia dal riconoscimento del «Pontefice sovrano, soggetto di diritto internazionale», e da «un altro Stato nello Stato», principio su cui convergevano giuristi quali Ruffini, Scaduto, Schiappoli, Orlando. Le trattative segrete furono affidate a Domenico Barone – consigliere di Stato, fiduciario del Duce – e Francesco Pacelli, avvocato concistoriale e fiduciario del cardinal Gasparri; la sovranità della Chiesa ed un suo ‘Stato’ appariva come la posta in gioco. Il saggio considera che la nascita dello Stato della Città del Vaticano complicava l’‘immagine’ del Regno d’Italia persona giuridica unitaria, ‘costruita’ dalla giuspubblicistica nazionale, difesa anche da Giovanni Gentile sul «Corriere della Sera». Mostra che il fascismo intese riconoscere il cattolicesimo «religione dominante dello Stato» per rafforzare la legge 13 Maggio 1871 n. 214, «sulle guarentigie pontificie e le relazioni fra Stato e Chiesa», che aveva previsto un favor religionis per la Chiesa cattolica. La Conciliazione risalta come l’approdo di un lungo processo storico, che offriva forma giuridica al ruolo che il cattolicesimo aveva e avrebbe rivestito per l’identità italiana; non a caso nel Marzo 1929 Agostino Gemelli celebrava una «nuova Italia riconciliata con la Chiesa e con sè stessa, con la propria storia e la propria bimillenaria civiltà». Il saggio mostra che la sovranità della Chiesa e lo Stato della Città del Vaticano furono molto discusse nel dibattito parlamentare sulla ratifica dei Patti firmati l’11 Febbraio 1929, con i toni duri di Mussolini, che definì la Chiesa «non sovrana e nemmeno libera». Rocco affermò che il «regime fascista» riconosceva «de iure» una sovranità «immutabile de facto»; rispondeva agli «improvvisati e non sinceri zelatori dello Stato sovrano, ma anticlericale», che «lo Stato è fascista, non abbandona parte alcuna della sua sovranità». Jemolo e Del Giudice – estimatori delle « nuove basi del diritto ecclesiastico – colsero il senso di questa «pace armata» tra governo e Santa Sede. Il saggio esamina l’ampio dibattito sulla «natura giuridica» della sovranità della Chiesa e sulla «statualità» dello Stato della Città del Vaticano, tra diritto pubblico, ecclesiastico, internazionale, teoria generale dello Stato. Coglie uno snodo nel pensiero di Santi Romano, indicato da Giuseppe Dossetti alla Costituente come assertore del «principio della pluralità degli ordinamenti giuridici». Il saggio esamina poi il confronto sullo Stato italiano come Stato confessionale, teoria sostenuta da Santi Romano, negata da Francesco Scaduto. Taluni – Calisse, Solmi, Checchini, Schiappoli – guardavano ai Patti Lateranensi come terreno del rafforzamento della sovranità dello Stato; Meacci scriveva di «Stato superconfessionale, cioè al di sopra di tutte le confessioni»; Piola e Del Giudice tematizzavano uno «Stato confessionista». Jemolo – che nel 1927 definiva la «sovranità della Chiesa questione forse insolubile» – affermava che, dopo gli Accordi, «il nostro Stato non sarà classificabile tra i Paesi separatisti, ma tra quelli confessionali». Il saggio esamina poi il dibattito sulla sovranità internazionale della Chiesa – discussa, tra gli altri, da Anzillotti, Diena, Morelli – a proposito della distinzione o unità tra la Santa Sede e lo Stato Città del Vaticano – prosecuzione dello Stato pontificio o «Stato nuovo» – e della titolarità della sovranità. Il saggio si sofferma poi sul dilemma di Ruffini, «ma cos’è precisamente questo Stato», analizzando uno degli ultimi scritti del maestro torinese, il pensiero di Orlando, Jemolo, Giannini, una monografia di Donato Donati e una di Mario Bracci, due dense «Lectures» di Mario Falco sul Vatican city, tenute ad Oxford, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del Vaticano di Federico Cammeo, in cui assumeva particolare rilievo la «sovranità, esercitata dal Sommo Pontefice», per l’«importanza speciale» nei «rapporti con l’Italia». Quanto agli ecclesiasticisti, il saggio esamina le prospettive poi sviluppate nell’Assemblea Costituente, uno scritto del giovane Giuseppe Dossetti – docente alla Cattolica – sulla Chiesa come ordinamento giuridico primario, connotato da sovranità ed autonomia assoluta non solo in spiritualibus; le pagine di Jannaccone e D’Avack sulla «convergenza tra potestas ecclesiastica e sovranità dello Stato come coesistenza necessaria della Chiesa e dello Stato e delle relative potestà»; un ‘opuscolo’ di Jemolo «per la pace religiosa in Italia», che nel 1944 poneva la libertà come architrave di nuove relazioni tra Stato e Chiesa. Il saggio conclude il percorso della «parola sovranità» – così Aldo Moro all’Assemblea Costituente – nell’esame del sofferto approdo all’articolo 7 primo comma della Costituzione, con la questione definita da Orlando «zona infiammabile». Sull’‘antico’ statualismo liberale e sul ‘monismo giuridico’ si imponeva il romaniano pluralismo; Dossetti ricordava la «dottrina dell’ultimo trentennio contro la tesi esclusivista della statualità del diritto». Rispondeva alle obiezioni dei Cevolotto, Calamandrei, Croce, Orlando, Nenni, Basso in nome di un «dato storico», «la Chiesa cattolica […] ordinamento originario […] senza alcuna compressione della sovranità dello Stato». Quanto al discusso voto comunista a favore dell’art. 7 in nome della «pace religiosa», Togliatti ricordava anche le Dispense del 1912 di Ruffini – imparate negli anni universitari a Torino – a suo dire ispiratrici della «formulazione Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Tra continuità giuridiche e discontinuità politiche, il campo di tensione tra ‘le due sovranità’ si è rivelato uno degli elementi costitutivi dell’identità italiana, nel segnare la storia nazionale dei rapporti tra Stato e Chiesa dall’Italia liberale a quella fascista a quella repubblicana, in un prisma di temi-problemi, che ancora oggi ci interroga.
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Nicolussi, Andrea. „Limiti del pacta sunt servanda, buona fede equitativa e dimensione sociale del contratto“. Revista de Direito da Cidade 13, Nr. 3 (23.09.2021). http://dx.doi.org/10.12957/rdc.2021.62312.

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Il contratto come ogni atto dell’uomo nasce storicamente condizionato, come ogni testo esso si forma dentro un certo contesto. Inoltre, il contratto è bensì applicazione del principio di autonomia, e quindi esplicazione del potere/libertà di darsi delle regole e così vincolarsi alla parola data: pacta sunt servanda; tuttavia l’autonomia in questo ambito è da intendere nel senso di un’autonomia relazionale in cui svolgono il loro ruolo almeno due altri principi fondamentali di carattere etico-giuridico. Questi principi sono la buona fede e il Ssinalagma. Nell'articolo, tali principi sono analizzati soprattutto per quanto riguarda l'equilibrio o proporzionalità tradizionale differenza tra buona fede ed equità e viene esaminata la contaminazione tra buona fede ed equità: la buona fede equitativa. La buona fede equitativa in giurisprudenza è anche analizzata in modo proficuo e l'articolo si concentra sul rapporto tra diritto, buona fede e la questione delle modifiche delle circostanze del contratto. Viene definita la ed equità di fronte alla sopravvenienza tipica e alla sopravvenienza atipica.
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Mele, Vincenza, Daniela Vantaggiato und Marcello Chiarotti. „Il doping biotecnologico: una proposta di lettura tra medicina, bioetica e diritto“. Medicina e Morale 58, Nr. 3 (30.06.2009). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2009.244.

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Le point de départe dell’articolo è offrire una review della letteratura medico- scientifica sul doping biotecnologico; il secondo step è illustrare il panorama dello stato dell’arte in materia legislativa, con particolare attenzione alla situazione italiana; last but not least è argomentata l’inaccettabilità etica del doping, nella doppia prospettiva, della filosofia del diritto e della bioetica. L’argomentazione bioetica si snoda secondo i criteri dell’ethos ippocratico che impone al medico prima ancora di fare del bene, di non danneggiare la salute psico-fisica della persona (primum non nocere) e dell’ethos dell’attività sportiva, intesa come palestra educativa della persona, finalizzata alla fioritura delle capacità dell’atleta, in armonia a quanto recita il Codice Mondiale Antidoping: etica, fair play ed onestà, salute, eccellenza della prestazione, carattere ed educazione, divertimento e gioia, lavoro di gruppo, dedizione ed impegno, rispetto delle norme e delle leggi, rispetto per se stessi e per gli altri concorrenti, coraggio, unione e solidarietà. L’argomentazione filosoficogiuridica si basa sull’inaccettabilità del doping in ossequio al principio di giustizia, nel senso sia di equità che di giustizia distributiva ed al principio di autonomia, che gli Autori dimostrano – avvalendosi della teoria dei giochi e dell’interpretazione biopolitica del fenomeno – verrebbe “paradossalmente” infranto qualora l’uso delle sostanze dopanti nello sport diventasse giuridicamente lecito. ---------- Le point de départe of the article is to offer a review of the medical literature on biotechnological doping; the second step is to show the state of the art on legal aspect, with particular attention to the Italian situation; last but not least, arguing the ethical unacceptableness of doping, both in Philosophy of law and Bioethics. The bioethical reasoning unwinds itself according to the criterions of the Hippocratic ethos imposing on the physician, even before doing the good, not to damage one’s psico-physics health (primum non nocere) and that one concerning to the sport activity, intended as “educational gym” of every person, aimed to the flowering of the abilities of the athlete, according to the World Anti-Doping Code: ethics, fair play and honesty, health, performance excellence, character and education, fun and joy, team work, devotion and appointment, respect of the norms and laws, self-respect, respect for others, courage, union and solidarity. The philosophical-legal reasoning is based on unacceptableness of doping according to the principle of justice, intended as both equity and distributive justice and to the principle of autonomy, demonstrated by the Authors to be “paradoxically” broken – through the game theory and the biopolitical interpretation of the phenomenon – whereas the use of doping substances becames legally permissible within the sport.
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Casini, Marina. „L'indisponibilità della vita umana nella prospettiva del Biodiritto“. Medicina e Morale 59, Nr. 2 (30.04.2010). http://dx.doi.org/10.4081/mem.2010.217.

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Il presente contributo si muove nell’ambito della riflessione giuridica e si chiede se risponde a giustizia la “libertà” di scegliere la morte quale diritto umano essenziale. Il principio “non uccidere”, ovvero “non cagionare la morte”, posto alla base di tutti gli ordinamenti giuridici moderni e democratici, viene esaminato sia con riferimento alla vita altrui sia quando il soggetto non si esprime o addirittura non vuole la morte; sia quando il soggetto esprime la volontà di porre fine alla propria vita e chiede che altri adempiano tale volontà. L’Autrice osserva che nel secondo caso, si chiede che il “terzo” (medico) assecondi l’autoderminazione di chi vuole disporre della propria vita solo quando la vita versa in condizioni di malattia inguaribile e devastante disabilità. È evidente, allora, che la vita umana propria diventa disponibile quando prevale la sofferenza e il criterio decisivo non è l’autodeterminazione individuale, ma la valutazione sociale del valore della vita. In questa prospettiva viene toccato anche il tema del “rifiuto delle cure” e posta la distinzione tra “autodeterminazione sui trattamenti” e “autodeterminazione sulla vita”. Nel delicato e complesso ambito del “fine vita”, se la morte è il limite inesorabile dell’esistenza che occorre saper accettare, occorre anche saper armonizzare il principio di autonomia e il principio del “non cagionare la morte”, fondato sul riconoscimento dell’uguale dignità del vivere. ---------- This contribution deals with the legal reflection and wonders whether “freedom” to choose death as an essential human right is fair. The “no kill” principle, at the base of all modern legal and democratic systems, is examined with reference to both someone else’s life and the situation in which a person is unable to express himeself or he does not want death; or when a person wants death and asks other people to fulfil this wish. The author notes that in the latter case, one asks the “third” (physician) fulfil the self-determination of persons who want to dispose of their own life when life is compromised. Therefore, human life is disposable when pain prevails. Finally, treatment refusal is dealt.
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